E così non solo Graham Coxon ha ceduto al fascino tutt'altro che discreto delle colonne sonore, ma ci ha pure preso gusto con questo formato. A un anno e mezzo dall'uscita della soundtrack collegata alla prima stagione, riecco il volto occhialuto del britpop alle prese con il seguito di “The End Of The F***ing World”, la serie tv targata Netflix e Channel Four che, come si ricorderà, traspone sul piccolo schermo l'omonima graphic novel di Charles Foreman. Una serie che a quanto pare non cessa di fornire ispirazione al chitarrista londinese, uno che in versione solista, e non solo nella saga con i Blur, non ha mai nemmeno lontanamente sfiorato le perigliose acque della stanchezza o – peggio ancora – della banalità.
Men che meno in queste due Ost pubblicate ad appena un anno e mezzo di distanza, assecondando i ritmi di una industria filmica dai tempi ancora più ristretti rispetto a quelli della già frenetica industria musicale. Coxon, comunque, non è uno che si fa problemi, e dunque rieccolo cimentarsi in quello che è a tutti gli effetti il seguito della precedente colonna sonora non solo a livello concettuale, ma anche di sound. Una parte consistente del repertorio continua a ruotare attorno al folk-rock, talvolta con risultati piuttosto balzani (la cantilena acustica “Mash Potato” potrebbe uscire da qualche fattoria americana), ma d'altro canto tra i solchi di questi venti brani - taluni semplici sketch - Graham Coxon dà anche ampio sfoggio del suo stile libero.
L'antica fascinazione per il garage-rock riemerge in “Madder Than Me” e nel superbo strumentale “Layby Eyes”. Si solletica l'immaginario western nell'eco morriconiana di “Dining Room Stand-Off” e nella fuga in spazi aperti di “Threw It Away”. C'è posto per la ballata in punta di piedi “She Knows”, per un esercizio à-la Bob Dylan come “Why Are You Crying?” e per un brano da crooner d'antan quale “Meaner Than Me”.
Ci sono persino la marcetta più picaresca che nuziale “Wedding March” e il breve omaggio alla musica francese in “Bonjour, Monsieur”, forse – chissà – liberamente ispirato alla “Tous les garçons et les filles” della divina Francoise Hardy. L'andamento ciondolante di “Bonnie The Kid” e quello più sostenuto di “Beautiful Bad” rappresentano i capitoli più arditi, in qualche modo sperimentali di questa colonna sonora, il musicista inglese alle prese con un particolare miscuglio di suoni di chitarra e interventi elettronici.
Per capire al meglio chi è Graham Coxon, però, possono forse bastare i pochi arpeggi di “Hat”, un brano folk spoglio e al tempo stesso intenso, o il sottile crescendo pop-rock di “I'll Race You Home”, che ha il solo torto di durare appena un minuto e mezzo. Si può ben dire che di questi venti brani non ce ne sia davvero uno che suona come l'altro, eppure l'effetto è quello di un lavoro coeso e mai portato all'eccesso. Perché sì, in fondo bastano davvero pochi elementi, una manciata di idee e ovviamente quel tanto di stoffa ben al di sopra della media per confezionare, ancora una volta, delle grandi canzoni.
(11/11/2019)