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Another Country

2020 (autoprodotto)
power & harsh-noise, death-industrial, shitgaze

Building your own world is essential. Don't deny yourself the ability to dream.

Lì fuori c’è musica davvero spaventosa. Non importa quanto tu sia convinto che nulla possa più sorprenderti: lì fuori, da qualche parte su questo fottuto pianeta, qualcuno sta registrando – sì, anche in questo preciso momento - musica disturbata, aliena, folle, musica che non finirà sulle copertine delle riviste, né tantomeno sarà trasmessa alla radio. Né ora, né mai. Musica che rispecchia il nichilismo che gira intorno, ma che, in un modo o nell’altro, cerca, attraverso il suo stesso farsi e disfarsi, di ricucire le ferite, di rendere sopportabile l’insopportabile. Musica come quella contenuta in “Another Country”, mixtape dell’artista "genderqueer, non-binary" Luwayne Glass, originario del Kansas ma attualmente di stanza in quel di New York.

Terribilmente prolifico (questo è il suo trentanovesimo disco, tra Lp, Ep, mixtape, split e quant’altro!), Glass è impegnato da oltre quindici anni (l’inizio della sua attività musicale risale all’epoca di MySpace) nella realizzazione e diffusione di quella che lui chiama “NIHILIST QUEER REVOLT MUSIK”, in pratica una devastata sintesi di power & harsh-noise, death-industrial, plunderfonia, drone, shitgaze e radioattivo lirismo soul. Una sintesi messa a punto nel solco dell'estetica dei Throbbing Gristle, ma filtrata dalle più recenti esperienze della vaporwave, della witch-house, della weird electronica e dell’hauntologia più corrosiva.
Se pensate sia un abominio sonoro, siete sulla buona strada, ma ancora lontani dalla meta. Perché, in effetti, “Another Country” è ancora più terribile, dato il conflitto stridente (e reso ancora più inquietante da una produzione volutamente “alterata”, eccessiva) che in esso si rispecchia tra la fragilità e il desiderio di tenerezza dell’elemento umano (qui rappresentato dalla voce di Glass, o almeno da quello che resta…) e l’algido distacco delle Macchine, accentuato da un uso espressionista del rumore.

Per costruire questo mixtape (il secondo pubblicato quest’anno, dopo “Panopticon”, meno intenso ma comunque apprezzabile), Glass si è servito sia di sample musicali che cinematografici, tutti però così deturpati da diventare praticamente un tutt’uno con il flusso ininterrotto di musica che si snoda per oltre quarantatré minuti.
L’attacco arriva come una badilata in faccia: muraglie di rumore sfarfallante, la voce un respiro disperato. Tutto portato all’eccesso, fino a dissolversi in un buco nero così come avrebbero potuto immaginarlo dei Tangerine Dream in trip eroinomane. Si riparte, quindi, con bassi cupissimi, bordoni stridenti e invocazioni misteriose (James Blake scaraventato all’inferno?) che riecheggiano in una stanza degli specchi.
I confini dello spazio sonoro sono labili, come quelli di una coscienza sopraffatta da un eccesso di stimolazioni sensoriali e circondata da nebbie acide. E anche quando si materializza il suono di un pianoforte, le sue note si traformano in un maelström degno di Lennie Tristano. 

Intorno al diciottesimo minuto, prende corpo un anthem synth-garage e la sensazione è quella di essere piombati in un dancefloor piazzato nel bel mezzo di una fonderia. Nemmeno il tempo di ambientarsi, che tutto viene risucchiato in un tunnel in cui i suoni cozzano uno contro l’altro, mimando una violentissima collisione astrale. Da qui in avanti, l’odissea sonora del “frantumatore di sogni” prosegue affastellando ballabili androidi, scariche elettrostatiche alla deriva, un rave in presa diretta catturato attraverso uno smartphone che ha avuto giorni migliori, un demenziale quanto terrificante esempio di liturgia maledetta per voce straziata e stupri harsh-noise, fino alla smobilitazione finale, dissonante e metallica come un brano di Abu Lahab in lenta deflagrazione.

Quando, in un futuro lontanissimo, qualcuno proverà a decifrare questi anni così travagliati, è in dischi come “Another Country” che troverà molte risposte.

26/12/2020

Tracklist

1. Another Country

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