A quindici anni dall'esordio, e con una discografia ormai consistente, possiamo affermare quanto segue con una discreta sicurezza:
Nicole Atkins non è capace di produrre un disco brutto. Non importa quale percorso abbia deciso di seguire, se abbia inasprito e poi alleggerito il carico sonoro o abbia manifestato qualche curiosa eccentricità di passaggio, il suo è un equilibrio autoriale che si poggia su fondamenta solidissime, tanto stabili che non esiste sviata che non sappiano affrontare. Lo ha dimostrato il precedente “
Goodnight, Rhonda Lee”, che ha visto la sua autrice tornare con decisione nell'alveo del country e sfoderare un linguaggio lontano da facili stucchevolezze e laccature made in Nashville, ne è una nuova prova “Italian Ice”. Pur mantenendo fede a un'estetica gloriosamente vintage, il quinto album respinge un'assimilazione troppo ortodossa, lasciando che siano trasporto vocale e personalità autoriale a fare la differenza, in un riavvicinamento al soul che premia il calore e la maturità di una delle più affidabili interpreti della canzone americana.
Certo, è anche vero che con dischi del genere l'effetto sorpresa o il guizzo eversivo semplicemente non esistono: il tocco
sixties che pervade tutta la raccolta, con i suoi rimandi all'estetica Brill Building (che già “Neptune City” propose, per quanto in chiave ben più carica) e alle grandi eroine del blue-eyed-soul, non si accattiverà in alcun modo le grazie di chi dal cantautorato cerca maggiore modernità timbrica e un approccio meno classico. Anche così, la penna di Atkins sa essere tutt'altro che scontata, banalizzante, offre una manciata di canzoni che sanno come dialogare con la classicità senza perdere di vista la poderosa espressività della sua autrice, che scava nuovamente nel proprio vissuto per trarre linfa vitale. I ricordi della giovinezza e delle estati trascorse lungo il Jersey Shore diventano materiale plastico, sostanza emozionale che la
songstress riversa in dieci inediti (“A Road To Nowhere” è una cover, sottilmente venata da spunti
psych, del brano di
Carole King) giocati sul senso di casa e di appartenenza, su una nostalgia strisciante che però sa come non tradursi in stucchevole nostomania.
Con gli amici ed eroi musicali di una vita a dare man forte (abbiamo Jim Sclavunos dei
Bad Seeds, membri degli
Spoon, dei
Dap-Kings, dei
My Morning Jacket e della Muscle Shoals Rhythm Session, nello studio della quale l'intero disco è stato registrato), il progetto si divincola tra spazzolati rock dall'atmosfera magica (“AM Gold”), ballate country dal sapore
carpenteriano (“Captain”), momenti di puro
storytelling, in cui la voce di Atkins splende nel suo possente contralto (“St. Dymphna”, perfetta trasposizione del tocco
spectoriano ai giorni nostri, con tanto di doloroso testo a corollario). E se si potrebbe sentire il bisogno di maggiore dinamismo, l'accoppiata “Mind Eraser”-“Domino”, con i loro bassi slanciati e i
groove sommessi, dà un tocco di modernità funk che nel 2020 trova assoluta corrispondenza.
Un peccato che la chiusura appaia più sottotono del dovuto, non riuscendo a spingersi oltre il compito ben fatto, resta comunque la certezza di un'autrice ben conscia delle proprie capacità, sfruttate ancora una volta per un album di buon livello, dotato del giusto slancio. Bentornata, Nicole!
25/11/2020