Cala il sipario su una delle voci più belle e intense della musica soul. La dura lotta con il cancro al pancreas è durata solo quattro anni per Sharon Jones, un breve periodo durante il quale lo sgomento e la depressione non hanno impedito alla cantante americana di portare a termine il suo testamento sonoro.
Facile supporre che il dolore e l’amarezza della sua scomparsa possano in qualche modo suggestionare l’ascoltatore, in parte alterando la reale valenza artistica del progetto. Nulla di più sbagliato, almeno in questo caso, perché “Soul Of A Woman” è forse l’album più intenso della sua discografia, un tuffo nel soul graziato da eccellenti performance vocali - un disco coraggioso e maturo che, nonostante le drammatiche circostanze in cui è stato realizzato, dona ottimismo e speranza.
Tutto è perfetto, a partire dalla produzione di Bosco Mann, fino agli splendidi arrangiamenti dei Dap-Kings, senza dimenticare l’eccellente scrittura delle undici canzoni, che pur essendo frutto della penna della band (tranne un brano scritto dalla cantante) hanno il piglio dei classici.
Quello che è palpabile in “Soul Of A Woman” è la venerazione e l’amore dei musicisti per una donna che con energia e fatica ha vissuto fino in fondo la propria passione per la musica, ispirata da quello che lei ha sempre ritenuto il suo idolo, ovvero James Brown, e del quale in qualche modo rappresenta l’alter ego al femminile.
Ancora una volta la voce di Sharon Jones non rinuncia a nessuna delle accezioni di una sterminata gamma espressiva: urla, si dispera, accarezza, si commuove, graffia, ama, ma soprattutto regala emozioni per niente fugaci o passeggere.
L’incisione analogica su un registratore a otto tracce sottolinea la viscerale genuinità delle interpretazioni, che non hanno nulla in comune con gli esercizi da palestra vocale di molte cantanti contemporanee, perfino quell’apparentemente banale Oh No che introduce “Sail On!” ha un'energia fisica e spirituale che non ha eguali.
Sharon a volte dialoga o duetta con gli strumenti, con una sensualità alla Gladys Knight che seduce (“Just Give Me Your Time”) e incanta (“Come And Be A Winner”), spesso la voce vibra più in alto delle pur eccellenti tessiture strumentali, incendiando il delizioso groove soul alla Stax di “A Matter Of Time” o rinverdendo i fasti dello stile Motown con il potente refrain funky-soul di “Rumors”.
Alla potente sequenza funky-pop-soul della prima parte si contrappone il tono più romantico e malinconico della seconda parte, introdotta dalle tastiere di “Pass Me By” e dalle nuance più pop di “Searching For A New Day”.
Ma è con la sofferta “These Tears ( No Longer For You )” che l’album entra in una nuova dimensione, il tocco più lussuoso degli arrangiamenti sfiora l’intensità del miglior Isaac Hayes (“When I Sawe Your Face”) o l’oscura bellezza di Amy Winehouse (“Girl!”), alla quale peraltro la Jones prestò la band dei Dap-Kings per l’album “Back To Black”.
E' comunque difficile trattenere fino in fondo un po’ di tristezza e dolore per la prematura scomparsa della musicista americana, in particolar modo quando nel finale arrivano le note di "Call On God", brano composto da Jones nel 1970 e accantonato per un progetto gospel che purtroppo non è mai stato portato a termine.
Per fortuna, in “Soul Of A Woman” prevale un senso di gioia di vivere che nemmeno la malattia è riuscita a cancellare da quel volto, il cui ricordo sarà legato per sempre alla profondità emotiva della sua musica.
Grazie Miss Jones.
29/11/2017