Isaac Hayes, scomparso nell'agosto del 2008, è stato un'icona fondamentale per la storia della popular e della black music: campionato da legioni di dj hip-hop e house ancora oggi, il suo soul-funk psichedelico si è imposto come una ricerca estetica capace di trascendere i confini dei generi e porsi quale versione emotiva e matura degli allucinanti colori del rock e, parallelamente, quale espressione di apertura mentale e percettiva rispetto alle modalità del soul convenzionale. Se infatti l'ispirazione melodica del soul è stata incoraggiata dal successo di pubblico riscontrato, l'ispirazione sperimentale è andata calando man mano che quel successo stabiliva, con limitante certezza, la strada da seguire perché la musica soul stessa venisse salutata con favore.
In realtà, la musica di "Hot Buttered Soul" e, in generale, del suo autore è una testimonianza di entusiasmo e di speranza, di orgoglio personale e calore interpersonale, prima ancora che sociale o di razza come è stato più volte asserito.
L'album parte con "Walk On By", cover del famosissimo classico di Burt Bacharach, un brano che evidenzia di primo acchito la genialità di Hayes: il mood e l'atteggiamento psichedelici, l'incedere sincopato, la chitarra elettrica seducente e graffiante di Michael Toles in sottofondo, la voce di Isaac, voci di un coro femminili dal suono celestiale, il basso sexy di James Alexander, con tutti i suoni caratterizzati dall'effetto riverbero, contribuiscono a rappresentare la versione "dub" del soul.
Sembra di entrare in una splendida isola assolata dai colori vivaci, con il calore che rende soffusa la vista e i suoni che si ergono come in una sinfonia allucinogena e paradisiaca. Dai sette minuti tutte le fonti sonore su citate si riuniscono in un crescendo mozzafiato, ricco di contrappunti e degno della migliore tradizione sinfonica: il risultato finale sposa questo tipo di armonia con la qualità melodica del pop e l'incalzare liberatorio e afrodisiaco del rock. Si raggiungono i dieci minuti con la stessa leggerezza, serenità e piacere d'ascolto con i quali si ascolta una canzone pop da tre minuti scarsi.
"Hyperbolicsyllabicsesquedalymi", unico brano originale dell'album, scritto a quattro mani con Isbell, è una composizione di stampo hendrixiano, anche se la chitarra abbandona il fuzz del geniale chitarrista di Seattle, per proporre qualcosa di molto più sobrio: il ritmo (basso, batteria e chitarra) strizza l'occhio al funk, ecco l'evocazione di un'atmosfera psichedelica, intrisa di riverbero, poi si aggiunge la voce profonda di Hayes che sciorina uno speaking che avrebbe ispirato i rapper di 10-15 anni dopo: il timbro vocale rimanda inevitabilmente al soul, ma il suo senso del ritmo è ancora una volta degno del rock. A 6 minuti e mezzo un pianoforte (suonato da Michael Thomas) crea un effetto sonoro che, raffrontato al resto della musica, appare vagamente ossimorico: una percezione drammatica, inquietante e quasi demoniaca di questo strumento dal timbro così intenso, definito e altero, unita all'esotico trip tipico della psichedelia e del dub. Un vortice di emozioni in antitesi reciproca. In questo brano emerge con decisione l'impostazione e la struttura che Hayes ha dato alle prime performance di questo disco: la canzone originale soul dalla spiccata melodia, riarrangiata e reinterpretata, viene pian piano trasformata in un'intensa cavalcata psichedelica, che del rock mette da parte l'enfasi chitarristica, concentrandosi sull'effetto emotivamente coinvolgente della sua ritmica.
"One Woman", canzone scritta da Chalmers e Rhodes, è invece un soul puro e semplice, con coro femminile che arrangia e abbellisce il crooning dell'autore. Il brano è un tripudio di cori, voce soul con crescendo della melodia arricchita dagli arrangiamenti orchestrali impeccabili.
"By The Time I Get To Phoenix", composta dal songwriter country Jimmy Webb, parte con una declamazione di Hayes ("Now I will say something about love"), nei panni di un muezzin dell'amore e del potere della passionalità giovanile, mentre i piatti vengono scossi a scansione regolare dal batterista Willie Hall.
Hayes declama per otto minuti, con intensità e al tempo stesso profonda calma, alterando completamente il significato della canzone d'origine: un vero e proprio post-soul-rock, più di dieci anni prima dei sermoni di Johnny Rotten e della ritmica asciutta dei Public Image Ltd.: Hayes come l'antesignano Stax del "marcio".
Dopodiché lo splendore di questo "rovente imburrato soul" rifulge in tutto il suo accecante fulgore: l'organo, gli strumenti a fiato e persino gli ottoni fanno la loro comparsa come in un piccolo ensemble da camera, in bilico tra sentimento pop e un accorato soul-jazz.
Musica positiva e sensibile, intensa e serena, allucinata e paradisiaca, la performance di "Hot Buttered Sun" è una zampata eccezionale da parte di Isaac Hayes, che rompe così i confini dei generi, in particolare di quello soul di appartenenza, per costruire un monumento della musica popolare.
Nessuno, tra Sam & Dave, Aretha Franklin, Otis Redding, Sam Cooke, James Brown, Platters e altri, ha mai mostrato il coraggio empirico e al tempo stesso la catarsi rovente dell'Isaac Hayes di "Hot Buttered Soul".
01/05/2011