Amy Winehouse

Amy Winehouse

Back To Black

Le tappe principali del percorso artistico di una delle voci femminili più sorprendenti del nuovo millennio. Dai cinque Grammy Awards ai fasti del dopo "Back To Black", fino all'inarrestabile autodistruzione. La parabola drammatica dell'ultima star del soul.

di Claudio Lancia

This is the end

In quanti ora saranno pronti a esclamare che certe sperticate lodi si attribuiscono ai musicisti soltanto quando scompaiono, quando tutti vogliono far passare per inarrivabili persino i musicanti più modesti, ricercando doti improbabili, oltre qualsiasi ragionevolezza? Sì, quelle lodi che leggiamo ovunque a seguito della prematura (e mai come questa volta prevedibile) scomparsa di Amy Winehouse. E no, signori miei, in questo caso state sbagliando: l'artista inglese è stata uno dei pochi fenomeni nel panorama musicale contemporaneo a raccogliere plausi unanimi già in vita, e in maniera assolutamente trasversale.
Amy Winehouse piaceva (e ora piacerà ancor di più) tanto agli amanti del Motown-style quanto agli inguaribili indie-snob, tanto ai sostenitori del jazz più sopraffino quanto ai goderecci del guitar-rock, sino a coloro che dalla musica pretendono semplicemente armonie rassicuranti e melodie pop. Eppure le sue canzoni erano tutt'altro che rassicuranti. Prendete "Rehab", nella quale dichiarò apertamente al mondo la propria ferma intenzione a non volersi sottoporre ad alcun tipo di cura disintossicante, e iniziate da lì a ricostruire la scura parabola della cantautrice britannica.

Parallels

Amy WinehouseLa sua vicenda personale richiama alla mente la parabola discendente di Kurt Cobain: entrambi hanno disseminato nelle proprie composizioni (ma anche nei propri comportamenti) una serie di evidenti richieste d'aiuto, che nessuno è riuscito a raccogliere in maniera convinta. Possibile che nessuno nel music system abbia avuto la sensibilità di costringerla a rinchiudersi in un centro disintossicante? Oltretutto la sua guarigione avrebbe avuto come immediata conseguenza quella di trasformare nuovamente Amy in una fonte inesauribile di denaro per manager, case discografiche, agenzie di booking e relativo indotto. Un indotto che, in un periodo di coma irreversibile dell'oggetto-disco, ha sempre più bisogno di fenomeni veri da coccolare e mungere.
Invece la Winehouse il 23 luglio del 2011 è entrata ufficialmente a far parte dell'inquietante "club dei 27", terribile luogo immaginario che ospita già da tempo, oltre al leader dei Nirvana, anche Jim Morrison, Jimi Hendrix e Janis Joplin, giusto per citare i nomi più clamorosi. Tutte rockstar straordinarie, tutte rapite alla stessa età dalla signora con la falce, vuoi per proprio volere, vuoi come estrema conseguenza dei rispettivi eccessi.
Qualcuno in questi giorni sta tentando di ridimensionare il ruolo di Amy, ricorrendo a volte a della macabra ironia. Si dice, ad esempio, che se confrontata alla Joplin, con la quale ha condiviso lo sfrenato amore per l'alcool, mentre Janis riusciva a dare il meglio di sé proprio in stato di ubriachezza, le recenti performance della Winehouse hanno sancito la sua totale incapacità persino di tenersi in piedi. Come dire che Amy, tutto sommato, non aveva neanche dal punto di vista fisico (oltre che artistico) lo spessore dei grandi nomi ai quali viene di volta in volta associata.
Il suo ultimo concerto (se così vogliamo chiamarlo), avvenuto il 18 giugno 2011 a Belgrado, è stato un disastro. Doveva segnare il suo ritorno in gran spolvero sulle scene, invece ventimila persone che avevano speso circa quaranta euro a testa per ammirarla, l'hanno sonoramente fischiata a seguito dell'incapacità di cantare, di stare sul palco e persino di ricordare i nomi dei propri musicisti.
Se volete ricordarla in maniera degna, meglio andarsi a rivedere la bella performance di Hyde Park in occasione del novantesimo compleanno di Nelson Mandela, il 27 giugno del 2008.

Starting points

Amy Winehouse nasce a Enfield, nel Middlesex, il 14 settembre del 1983, in una famiglia della working class inglese, figlia di un tassista e di una farmacista (triste premonizione), che le hanno trasmesso sin da piccola l'amore per la musica jazz. A seguito della separazione dei genitori e dopo essere stata espulsa da scuola all'età di quattordici anni, inizia a strimpellare la chitarra e a scrivere le prime composizioni autografe.

Dopo i primi incerti passi in misconosciute formazioni rap, iniziano a circolare alcune sue registrazioni che attirano l'attenzione dei grandi colossi discografici. Amy firma un contratto per la Island, e il 20 ottobre del 2003 esordisce direttamente su major con l'album Frank, disco elegante ma non imprescindibile, dal quale emerge la personalità ancora in parte acerba di un'artista che si muove su mood al crocevia fra r'n'b e atmosfere jazzy (basti ascoltare il breve vocalizzo che apre la tracklist oppure la più strutturata "Moody's Mood For Love/Teo Licks"), senza tralasciare opportune contaminazioni con la bossa di "Cherry" e i ritmi in levare di "What Is It About Men" e "Amy Amy Amy", anche se la ragazza ama plasmare le proprie corde vocali soprattutto su tappeti morbidi e avvolgenti ("You Sent Me Flying", "There Is No Greater Love").
Sono già presenti i semi che germoglieranno in maniera più definita e compiuta nei mesi successivi, gli arrangiamenti sono ora minimalisti ("I Heard Love Is Blind") ora arrivano all'esaltazione dell'afro-funk più travolgente ("In My Bed"); e non lasciatevi sfuggire le due ghost-track "Brother" e "Mr. Magic".
"Stronger Than Me", il primo singolo estratto, è il pezzo giusto per iniziare a scardinare il mercato, forte di un videoclip che cerca di mettere in risalto quel briciolo di sensualità ancora ben presente nelle forme della Winehouse. Anche i successivi video ("Take The Box", "In My Bed" e "Fuck Me Pumps", gli altri tre singoli estratti dall'album d'esordio) contribuiscono a far apprezzare un'interprete con doti indiscutibili e lontanissima anni luce dall'impresentabile donna degli anni successivi.
Diffidate da chi cerchi di farlo passare per un capolavoro, ma Frank è senz'altro una splendida opera prima, diventata subito un buon successo in Inghilterra (raggiunse la tredicesima posizione nelle chart di vendita) e in grado di raccogliere un paio di nomination ai Brit Awards, migliorando ulteriormente le proprie vendite nel tempo.

23 years old


Amy WinehouseMa per raggiungere la notorietà a livello internazionale occorrerà attendere il successivo Back To Black, pubblicato esattamente tre anni più tardi, e capace di ricevere immediatamente ottime recensioni un po' ovunque sulla stampa specializzata.
Con questa seconda opera, la allora ventitreenne Winehouse lascia da parte le atmosfere jazz del lavoro precedente, immergendosi nelle a lei iper-congeniali soluzioni soul e r'n'b, senza trascurare ammiccamenti pop e qualche rasoiata funk.
Amy si impone in particolare per le caratteristiche della sua voce, una voce scorbutica, scapigliata, illividita da graffi e cicatrici, eppure nitida, luminosa, consolatrice come poche altre, una voce che rinnova e omaggia una tradizione gloriosa di eroine dell'età d'oro del jazz e del soul (Aretha Franklin, Dusty Springfield, Billie Holiday, Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald, Dinah Washingon, Nina Simone) innestandola nella sensibilità di illustri contemporanee, quali Macy Gray, Lauryn Hill ed Erykah Badu.
Ma la Winehouse non è semplicemente una "voce": come nel caso di Frank, è autrice o co-autrice di tutti i brani presenti nella tracklist, caratteristica che la innalza artisticamente al di sopra di tutte le troppe mere esecutrici presenti sul mercato a lei coevo.
Amy riesce nel miracolo di riesumare in maniera originale gli aromi soul del passato, ricontestualizzandoli nel presente. Prendete brani come "Wake Up Alone", oppure come la struggente "Love Is A Losing Game", canzoni assolutamente derivative, che ci rimandano ai più grandi nomi Stax/Motown degli anni 60, ma nelle quali Amy svolge il compito in maniera assolutamente personale, essendo soprattutto se stessa, senza mai correre il rischio di essere confusa con le immortali stelle del passato.
Impossibile non innamorarsi sin dal primo ascolto della morbida title track (che riuscì ad affermarla definitivamente presso il grande pubblico anche nel nostro paese) o dell'iniziale funky bianco rappresentato da "Rehab", il suo pezzo più famoso su scala internazionale. Le derive simil-reggae di "Just Friends", la perfezione sopraffina di "You Know I'm No Good" e la languida gioiosità di "Tears Dry On Their Own" ampliano lo spettro delle contaminazioni proposte.
Back To Black è prodotto da Mark Ronson e Salaam Remi, abili nel conferire alle canzoni una caratterizzazione fortemente classica, ma allo stesso tempo originale, con la presenza di una sezione fiati pronta a drappeggiare le melodie con azzeccati contrappunti swing.

Nel giro di pochi mesi piovono riconoscimenti da tutti i fronti: Amy si aggiudica premi di fine anno ovunque in giro per il mondo, incassamdo la bellezza di cinque Grammy Awards (su sei nomination): un successo mai riscosso in passato da un'interprete britannica. Ma la Winehouse non potrà ritirare personalmente i cinque Grammy, poiché i suoi problemi di dipendenza da alcol e droghe sono già di dominio pubblico e pertanto gli Stati Uniti non gradiscono la presenza della star inglese sul proprio territorio.
La sua fama si diffonde a macchia d'olio, l'etichetta discografica ci sguazza, estraendo una sfilza di singoli da Back To Black (alla fine saranno complessivamente sei, uno più bello dell'altro: "Rehab", "You Know I'm No Good", la title track, "Tears Dry On Their Own", "Love Is A Losing Game"e "Just Friends"). Back To Black diventa rapidamente un instant classic, tanto che ad appena un anno dalla sua pubblicazione viene già immessa sul mercato una deluxe edition rimpolpata da ulteriori otto tracce, alcune delle quali ("Valerie", "Cupid") tutt'altro che riempitivi.

Last star of soul

Nel 2007 Amy Winehouse è da tutti riconosciuta come la star di riferimento della scena nu-soul contemporanea, e i confronti con i più grandi del passato si sprecano. Ma Amy riesce a essere soprattutto se stessa, forse inconsapevolmente lancia un nuovo modo di affrontare vocalmente la materia musicale, tanto che stuoli di giovani promesse si ispirano a lei, raccogliendo in alcuni casi grande successo, basti pensare alle varie Duffy e Adele di turno, oppure in Italia alla strabiliante affermazione di Giusy Ferreri. Non è certo bellissima Amy, ha più tatuaggi di un camionista, tende visibilmente a perdere peso, ma diventa un'icona da emulare, un simbolo di donna dei nostri tempi in grado di raggiungere un successo straripante pur non avendo un fisico da top-model.
Ma con il passare dei mesi tutte le sue instabilità prendono il sopravvento. La Winehouse tende a rifugiarsi in maniera continuativa nelle proprie dipendenze, rinunciando volontariamente e definitivamente (oggi possiamo dirlo) alla propria lucidità. Nel frattempo l'urgenza del gossip non perdona: viene ripetutamente bersagliata sia sul web sia sui giornali scandalistici, che non hanno mai esitato a pubblicare fotografie imbarazzanti che la ritraevano in condizioni impresentabili. L'importanza della notizia da sbattere in prima pagina prende così costantemente il sopravvento sul rispetto dovuto all'artista. A nulla è servito - anzi con tutta probabilità non ha fatto altri che aggravare la situazione - un matrimonio (tossico), contratto con troppa fretta e durato poco più di due anni, con Blake Fielder-Civil.

I know it's over


Amy WinehouseI fan e i veri amanti della musica hanno confidato per mesi in un suo ritorno in grande spolvero, ne erano pressoché certi, ma il nuovo disco restava un oggetto misterioso e veniva continuamente rimandato.
Si è vociferato più volte circa la volontà dell'artista inglese di produrre qualcosa che si indirizzasse verso sonorità vicine alla musica reggae (chissà, forse un giorno avremo la possibilità di ascoltare almeno delle registrazioni provvisorie), ma resterà per sempre il mistero sulla direzione che avrebbe potuto assumere la sua carriera.
Jim Morrison si rifugiò a Parigi, alla ricerca di nuove parabole artistiche, Jimi Hendrix era preso da innumerevoli sperimentazioni e forse avrebbe presto incrociato la sua strada con quella del grande Miles Davis, Kurt Cobain fece appena in tempo a proporre una versione acustica della sua opera, lasciando presagire l'età matura dell'uragano grunge. Ma cosa avrebbero potuto produrre in vita questi geni delle sette note resterà per sempre ignoto.
Magari dopo pochi anni avrebbero fatto la fine di Elvis, ridotto a quarantadue anni a recitare il ruolo di marionetta di se stesso; oppure sarebbero sopravvissuti come novelli Keith Richards alle vicissitudini di una vita condotta sempre sopra le righe. Amy Winehouse poteva diventare la versione maledetta di Aretha Franklin, aveva tutte le carte in regola per farlo, invece crisi depressive, storie sentimentali complicate, ricoveri improvvisi, continui smarrimenti e dipendenze letali hanno finito per abbatterla definitivamente. Forse non si è mai riconosciuta nei panni di una stella di prima grandezza del firmamento musicale internazionale: troppo debole psicologicamente per ricoprire un ruolo che l'avrebbe posta al centro dell'attenzione mediatica per il resto dei suoi giorni.

Il 23 luglio 2011 viene ritrovata priva di vita all'interno della sua abitazione londinese, al 30 di Camden Square, vittima dell'ennesimo cocktail di alcol e farmaci. Quando il suo corpo viene scoperto non c'è più nulla da fare. Pare che nell'ultima settimana di vita sia stata ritrovata per ben tre volte priva di sensi. Una morte preannunciata. Il bodyguard Andrew Morris, che la ritrova priva di vita, testimonierà di averla lasciata la sera prima, mentre cenava in camera guardando i video delle sue canzoni su YouTube, circondata da una quantità preoccupante di bottiglie di vodka.
L'autopsia confermerà la morte per "shock da stop and go", a seguito di una massiccia assunzione di alcol. Appena un mese prima, a Belgrado, in una delle prime tappe del tour europeo che avrebbe dovuto rilanciarla, si era ritrovata costretta ad abbandonare il palco perchè troppo ubriaca per proseguire lo show: la triste testiomonianza video è purtroppo rintracciabile on line. Facile ora prevedere una lunga sfilza di pubblicazioni postume che rafforzeranno un mito destinato a resistere negli anni. Vogliamo ricordarla lasciando risuonare all'infinito la struggente canzone che diede il titolo al suo lavoro più ispirato e fortunato: "Back To Black".

Hidden Treasures

Il primo disco postumo viene pubblicato il 5 dicembre del 2011, a pochi mesi dalla sua scomparsa. Da tempo si vociferava del successore di Back To Black, di quali svolte avrebbe potuto segnare, Amy ci lavorò a spizzichi e bocconi, e nei pochi momenti di lucidità qualche prezioso barlume di genio usciva ancora dal suo immenso ed indiscutibile talento.
I rumours più accreditati convergevano sull'ipotesi di un taglio più reggae, modalità non nuova per l'artista inglese, e la curiosità si insinuava sempre maggiore, non solo fra gli innumerevoli fan sparsi per il mondo.

Lioness: Hidden Treasures si apre proprio con i ritmi in levare di "Our Day Will Come" (un outtake di Frank), ricco di quelle venature gospel in grado di renderlo un singolo perfetto per il Natale alle porte. La successiva "Between The Cheats", che ci riporta agli aromi fifties / sixties già ben descritti in passato dalla Winehouse, è uno dei tre inediti recentemente incisi compresi nell'album, risalente a delle session tenute nel maggio del 2008. Il secondo inedito è "Like Smoke", dove la presenza del rapper Nas assicura la giusta contaminazione fra soul ed hip hop. Il terzo inedito, forse la vetta dell'album, è la meraviglia conclusiva "A Song For You" (al momento l'ultima registrazione nota di Amy, risalente alla primavera del 2009), con dedica finale densa di significati al soul man di grande successo Donny Hathaway, altra personalità complessa e problematica, che a soli 33 anni chiuse il discorso con la vita gettandosi dal quindicesimo piano di un albergo newyorchese, era il 13 gennaio del 1979.
Tre sono le alternative take di Back To Black: "Tears Dry", che diventerà poi "Tears Dry On Their Own", "Valerie", che comparì nella deluxe version, e lo spoglio demo di "Wake Up Alone". Trattasi per lo più di curiosità per fan accaniti e maniaci completisti, visto che le versioni già edite restano senz'altro da preferire. "Will You Still Love Me Tomorrow?" è la sentita cover del brano delle Shirelles, composto nel 1960 da una giovanissima Carole King: la voce della Winehouse è da applausi a scena aperta, ma la batteria pare un tantino invadente, con quell'incedere marziale un po' forzato. "The Girl From Ipanema" è il pezzo che Amy nel 2002 fece ascoltare a Salaam Remi per guadagnarsi le dovute attenzioni, versione neanche troppo personale dell'evergreen verdeoro, nella quale Amy gioca a gorgheggiare in jazzy style. Atmosfere jazzate anche nella cover di "Halftime", già incisa da Frank Sinatra, e risalente alle session di "Frank" (con Ahmir "?uestlove" Thompson dei Roots alla batteria), nella più spigliata e sbarazzina "Best Friends, Right?" e nel riuscito duetto con Tony Bennett, la notturna "Body And Soul".
Lioness: Hidden Treasures è lungi dall'essere considerabile il terzo "vero" disco della Winehouse, non è certamente il prodotto al quale lei aspirava, è più una compilation di rarità che un album concepito in maniera organica, un elenco di dodici tracce che mette in fila (come giustamente sentenzia il titolo) una serie di "tesori nascosti": una manciata di inediti accanto a versioni alternative di canzoni già note e qualche demo messo in bella copia per l'occasione.
Trattasi comunque di un disco gradevole, per il quale i due produttori Salaam Remi e Mark Ronson hanno eseguito uno sforzo notevole per amalgamare registrazioni provenienti da fonti diverse, con una qualità di partenza fortemente disomogenea. E' comunque una manna dal cielo per tutti coloro che non potevano accontentarsi della manciata di brani compresi negli unici due album pubblicati in vita da una delle star più combattute, controverse e dotate del secondo millennio.

Un anno più tardi la Island (Universal per il mercato americano) pubblica 14 tracce registrate per la BBC in diverse session, fra il 2003 e il 2009. I proventi di Live At The BBC vengono devoluti alla Amy Winehouse Foundation. In parallelo esce un cofanetto che aggiunge al disco dal vivo ben tre Dvd live.

Come facilmente prevedibile la morte ha alimentato il mito e, di pari passo, le speculazioni intorno a una delle cantanti più dotate ed al contempo più infelici della nostra epoca. Ovvio che Amy dovesse diventare anche soggetto per copioni cinematografici. Nel 2015 esce il lungometraggio “Amy: The Girl Behind The Name”, un documentario (Premio Oscar nella categoria "Best Documentary") a lei dedicato, che non sarà certo l’ultimo a voler far luce sulla sua vita e sulla sua fine, anche perché la famiglia della cantante se ne è prontamente dissociata, ed è lecito attendersi lo sviluppo di nuovi punti di vista sulla travagliata storia. “Amy” è stato per tre giorni nelle sale italiane, nel giro di poche settimane è uscito nel formato home, ed è stato affiancato dalla relativa colonna sonora: i contenuti musicali di una vita che è stata sì breve, ma sufficiente per imporla come la più grande stella del firmamento soul dei nostri tempi.
Nelle ventitré tracce del soundtrack convivono in maniera un po’ forzata sia lo score del film, firmato dal compositore brasiliano Antonio Pinto, che alcuni classici della Winehouse, pescando fra rarità, demo e versioni dal vivo, fra i quali spicca “We’re Still Friends”, un inedito catturato live nel 2006. Oltre ad alcuni cavalli di battaglia, quali le celeberrime “Stronger Than Me”, “Rehab” e “Love Is A Losing Game”, sono state inserite la cover di “Valerie” (brano portato al successo nel 2006 dalla band inglese Zutons), eseguita con Mark Ronson, ed il duetto “Body And Soul”, in coppia con Tony Bennett.
Tutto bello, ma quasi tutto già sentito, ed alla fine Amy:The Original Soundtrack non ha né la forza di imporsi come una celebrazione, né di soddisfare la pretesa di passare alla storia come un indispensabile best of: è semmai un gadget di accompagnamento al film, buono per Natale come regalo molto mainstream, ma poco di più. Per chi voglia conservare intatto il ricordo della bella e dannata Amy, basteranno per sempre i due eccellenti dischi ufficiali realizzati in vita, e le immagini che ci restano di lei nei videoclip e nelle esibizioni live rintracciabili in rete. Il resto sarà sempre e soltanto bieca speculazione per fare soldi intorno alla sua tormentata figura.

Amy Winehouse

Discografia

Frank (Island, 2003)

6,5

Back To Black (Island, 2006)

7,5

Lioness: Hidden Treasures (Island, 2011)
6
Amy Winehouse At The BBC(Live, Island, 2012)6
Amy: The Original Soundtrack (soundtrack, Island, 2015)5
Live At Glastonbury 2007 (2022)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Stronger Than Me
(videoclip da Frank, 2003)
Take The Box
(videoclip da Frank, 2003)
In My Bed
(videoclip da Frank, 2003)
Fuck Me Pumps
(videoclip da Frank, 2003)
Rehab
(videoclip da Back To Black, 2006)
You Know I'm No Good
(videoclip da Back To Black, 2006)
Back To Black
(videoclip da Back To Black, 2006)
Tears Dry On Their Own
(videoclip da Back To Black, 2006)
Love Is A Losing Game
(videoclip da Back To Black, 2006)
Just Friends
(videoclip da Back To Black, 2006)
Valerie
(videoclip da Back To Black: Deluxe Edition, 2007)
Live at Nelson Mandela's Birthday
(live, 2008)
Live In Belgrado
(live, 2011)

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