Adele Laurie Blue Adkins, nata a Londra ventidue anni fa, è già riuscita a incantare un vasto pubblico in tutta Europa grazie a una voce graffiante e a una manciata di brani ben scritti - uno su tutti il singolo "Chasing Pavements", che porta la firma dell'ex-Brother Beyond Eg White, che si fece apprezzare non più di vent'anni fa con il sofisticato "24 Years Of Hunger" (un ottimo album registrato con l'ex-campionessa di BMX Alice Temple, ormai da tempo fuori catalogo, che raccolse critiche entusiastiche) e in seguito con una serie impressionante di successi pop scritti per altri artisti (si va da "You Give Me Something" di James Morrison a "Shiver" di Natalie Imbruglia, senza dimenticare "Warwick Avenue" di Duffy).
Di lei si sono accorti oltreoceano grazie ad una fortunata apparizione televisiva in una puntata di "Saturday Night Live" nella quale era ospite Sarah Palin. Sebbene il rischio di confondersi nel mare magnum delle tante, troppe emule di Amy Winehouse fosse dietro l'angolo, l'album di debutto "19" ha fatto intravedere (nonostante qualche lungaggine, inevitabile in un'opera prima) un buon talento ed una personalità più convincente della media. La giovane artista si è aggiudicata ben due Grammy Awards ("Best New Artist" e "Best Female Pop Vocal Performance") nel 2009, e una sua interessante cover di "Make You Feel My Love" di Bob Dylan intanto si è confermata una "karaoke-favourite" nella natia Gran Bretagna.
Inizialmente Adele ha temuto un calo d'ispirazione ("di cosa scriverò", si è chiesta, "di camere d'albergo?") ma, complici la fine di una relazione importante e la presenza di validi professionisti che le hanno dato una mano a comporre, è arrivato "21" - il titolo, come nel caso del primo album, rispecchia l'età in cui l'autrice inglese ha scritto gran parte dei brani. Conosciuto per aver prodotto dischi per artisti assai diversi tra loro, dai Red Hot Chili Peppers a Mick Jagger, passando per l'ultimo Johnny Cash, Gossip fino al crossover pop-lirico di Josh Groban, Rick Rubin ha prodotto quattro canzoni.
In "Don't You Remember" cura un arrangiamento in linea con il country contemporaneo di John Michael Montgomery e della prima Shania Twain, mentre "He Won't Go", che comincia con un seducente intreccio tra pianoforte e percussioni, progredisce e si rivela un episodio degno della Mary J. Blige più in forma, e uno tra i migliori del disco. Dopo le venature blues di "One And Only", più incerto sembra invece il risultato di "Lovesong". Non è la prima volta in cui un brano dei Cure viene stravolto - già ci pensarono Paul Anka (che ha riletto a modo suo "The Lovecats") e Katie Melua (con un languido remake di "Just Like Heaven"), ma l'interpretazione lounge del singolo tratto dall'album "Disintegration" la trascina nello stesso territorio dei Nouvelle Vague.
White torna per l'ottima "Take It All". L'interpretazione è onesta, nervosa, magistrale nel turbine di emozioni che suscita e sobria nel suo essenziale arrangiamento, con un piano e un coro in grado di conferire al ritornello una notevole intensità. Adele sa toccare le corde giuste anche nell'irresistibile "Rolling In The Deep", un soul dagli occhi azzurri come non se ne sentivano da tempo - dotato di carattere, grinta e di un testo che trasuda risentimento ma anche tanta voglia di affrontare la vita a testa alta dopo una delusione e voltare pagina.
Le ferite stentano ancora a rimarginarsi e lo dimostra "Set Fire To The Rain" ("le mie mani erano forti ma le mie ginocchia troppo deboli per stare tra le tue braccia senza cadere ai tuoi piedi"), firmata insieme al collaboratore dei Keane Fraser T. Smith. Molte e variegate sono le fonti d'ispirazione citate dalla Adkins nelle interviste finora concesse (da Kanye West a Tom Waits), ma è indubbio il clima da "British Invasion" che si respira nella spigolosa "Rumour Has It". Due canzoni che hanno le carte in regola per spopolare sono l'evocativa e sofferta "Turning Tables" e la conclusiva "Someone Like You", presentata live da Jools Holland.
"21" è un disco corposo, arrabbiato ma non privo di momenti ironici e sprazzi di luce. La piccola donna è cresciuta e si dimostra molto più sicura di sé, regalandoci interpretazioni che convincono sempre di più (se proprio si vuole muovere una critica, poteva essere tranquillamente evitato l'AutoTune - del quale per fortuna è stato fatto un uso parco...). La proposta è variegata quanto basta e l'interesse resta costante per l'intera durata dell'album.
Adele non è un bluff, e qui dentro ci sono le migliori canzoni che Alison Moyet non registra da un decennio, prodotte senza troppi orpelli. Non è necessario avere cinque ottave d'estensione vocale per impressionare, né serve per forza inventare un nuovo genere musicale per stupire con un lavoro che, tra pop e sano rhythm 'n' blues, è la perfetta vetrina per un'artista che non si è affatto adagiata sugli allori, e che di certo renderà molto anche negli imminenti appuntamenti dal vivo.
P.S. "21" è già un successo nel Regno Unito, dove ha venduto la bellezza di 208 mila copie in una settimana. Esiste anche un'edizione limitata che contiene due canzoni in più, prodotte da Rodaidh McDonald: "If It Hadn't Been For Love" è una ruvida cover degli SteelDrivers (un gruppo bluegrass di Nashville che ha già registrato due album) e "Hiding My Heart" fa parte del songbook della sua collega americana Brandi Carlisle.
31/01/2011