Nato come “tentativo di non impazzire” in un mondo schiacciato dalla pandemia, dalla quarantena e dall'isolamento forzato, “Ghosts V-VI” è il regalo di Trent Reznor & Atticus Ross ai fan in un momento storico tanto tragico. Rilasciati come download gratuito il 26 marzo, i due album continuano il percorso intrapreso nel 2008 con “Ghosts I - IV”, probabilmente con maggiore padronanza dopo le numerose esperienze di colonna sonora del duo degli ultimi dieci (“The Vietnam War”, “Bird Box”, “Patriots Day” ecc).
Un lunghissimo viaggio di due ore e mezza di musica strumentale, divisi in due parti, “Ghosts V - Together” e “Ghosts VI - Locusts”. “Together” si volge deciso in territori ambient di sicuro stampo eniano, con invito sin dai titoli a tenere duro ("Letting Go While Holding On"). Percussioni, piano, synth, vibrafoni e rare chitarre che si intersecano con mestiere innegabile, sempre capaci di ritrovare un punto di equilibrio in ognuno degli otto brani. I momenti migliori si ritrovano nelle gioiose percussioni del finale di “With Faith”, nelle lente note ipnotiche di piano di "Hope We Can Again", nelle atmosfere rarefatte e pregne di ottimismo di “Together” e nelle improvvise accelerazioni elettroniche di “Still Right Here”, ma l’album complessivamente appare derivativo, seppur suonato e composto con uno stile sempre personale.
Se il primo capitolo sembra percorrere il tentativo di approccio ottimistico al lockdown, tentativo di apprezzare la propria solitudine alla riscoperta del proprio Io profondo, del silenzio perduto nella frenesia quotidiana, il secondo capitolo abbandona ogni ottimismo per entrare nella psicosi pulsante, nella paranoia dell'isolamento forzato, nell'improvvisa apparizione di una gabbia non percepibile poco giorni prima.
“Locusts" parte con la nota di piano ribattuta di “The Cursed Clock”, escursione paranoica nel pianismo del 900, tanto affascinante quanto inquietante. Segue “Around Every Corner”, ancor più claustrofobica e angosciante, un loop di piano che si ripete, simile alle atmosfere dei Goblin, con un lungo bordone di synth a sovrastare, trasportandoci dal minimalismo al jazz fumoso e nero del Dale Cooper Quartet, fino a un muro di suono quasi branchiano che cresce inesorabilmente, sino a dissolversi in un finale ambient. Una nuova perla dei Nine Inch Nails.
Il jazz torna in “The Warriment Waltz”, ma è sempre un jazz lento e disperato, con una melodia che naviga tra il valzer e il disincanto, un piano melodico sommerso da fiati tenebrosi che danno spazio a un nuovo percorso di synth prettamente dark. I battiti ossessivi di vibrafono si uniscono a un pattern di piano giocoso, in un tipico esperimento sonoro di Steve Reich (due pattern sonori diversi che si ripetono sovrapponendosi) e rendono “When It Happens (Don’t Mind Me)” una nuova prodezza tra avanguardia e inattese svolte melodiche, a cui si aggiungono le note di un dulcimer nel finale. Dopo una serie di brevi esperimento sonori di piano, tutti da ascoltare con attenzione, si giunge ai tredici minuti di “Turn This Off Please”, un ritorno all'industrial più tenebroso e martellante, come da psicosi in fase ormai avanzata.
Impossibile non notare la differenza tra i due Lp, seppur assimilabili in un unico progetto. Il voto è una media tra un 6,5 di "Together" e un 7,5 di "Locusts".
23/04/2020