Nell’ascoltare i toni sempre più intimi e sentimentali della musica di Evan Stephens Hall e dei suoi Pinegrove, nonostante altre band affini abbiano seguito un percorso simile (la Band of Horses), non si può non andare con la mente a quel momento, nel 2017, in cui la band dovette annullare un tour e sostanzialmente non farsi vedere sulla scena per un anno – pubblicando, sospettosamente dato quanto accaduto ad altri artisti finiti in modo più decisamente grave sotto accusa, un nuovo disco totalmente autoprodotto (oltre che parecchio interlocutorio).
Tutta l’energia vibrante che si protende in “Marigold”, un disco eccezionale per urgenza emotiva, che non manca di far rabbrividire l’ascoltatore nell’esplodere dei suoi accordi e negli incessanti e sinuosi movimenti chitarristici, racconta anche di un percorso sincero di autoanalisi di Hall e del suo rapporto con il sesso.
Come sempre nelle migliori canzoni della band, l’approccio con “Marigold” è soprattutto viscerale: è uno di quei dischi di cui si ricorda come ti hanno fatto sentire, più che le singole canzoni o melodie. Nelle parole semplici e dirette del disco, la sensazione di nudità emotiva, di apertura verso gli altri è palpabile e corre lungo tutte le canzoni, soverchiando totalmente i momenti più melensi (“Endless”, in orbita “Cease To Begin”) in nome di una potenza vitale che raramente si riscontra nell’Americana contemporaneo. Questo perché rimane intatta la scrittura impressionistica e del tutto peculiare di Hall, che aggira la linearità del classico (alt-)country (che comunque maneggia senza stucchevolezza, come in “Neighbor”) con la tecnica di ascendenza emo di scrivere come se la musica fosse naturale estroflessione di sé, non solo in senso spirituale ma anche fisico (la brevissima ma significativa “Spiral”, il pezzo alla Kinsella “The Alarmist”).
Anche i testi slice of life esprimono l'acutezza del sentire del momento ("Moment", appunto), che in qualche modo però si ricompone nel descrivere il periodo fortemente interlocutorio di quest'ultimo anno ("Phase").
A questa rinnovata ispirazione di Hall, forse mai così capace di comunicare come in questo “Marigold”, va aggiunto anche un sound di nettezza impressionante, che certamente aiuta a trasmettere la sensazione di un disco traboccante di vita, oltre che alcune soluzioni di arrangiamento che nobilitano con semplicità i pezzi più lineari di Hall (“Alcove”), seppur senza particolare personalità, come si potrebbe riconoscere ad esempio in un gruppo come i Big Thief (“Dotted Line”).
Rimane comunque la sensazione di un ritorno appassionato e appassionante, anche dal punto di vista di un cantautore che ha recuperato una visione di se stesso e degli altri più matura.
01/01/2020