Per celebrare il quarantesimo anniversario del loro debutto discografico, nella scorsa estate i Pretenders hanno pubblicato il loro undicesimo album in studio, il più breve della loro carriera (appena 30 minuti!), che prosegue l'opera del precedente "Alone". Anche "Hate For Sale", infatti, sembra un disco fatto apposta per accontentare i fan della prima ora, con continui rimandi al glorioso passato della band. A cominciare dal singolo di lancio, "The Buzz", che cerca di rinverdire i fasti di "Kid" con risultati tutt'altro che disprezzabili. Certi ganci melodici Chrissie Hynde li ha sempre avuti nel Dna, c'è poco da fare: lo testimoniano anche "You Can't Hurt A Fool", che si aggiunge al suo già ampio repertorio di ballad, e soprattutto "Maybe Love Is In NYC", forse il brano più ispirato del lotto.
I ritmi reggae di "Lightning Man" richiamano inevitabilmente alla memoria "Private Life", tra i pezzi più intensi del loro celebrato esordio omonimo, mentre il concitato ritornello di "Turf Accountant Daddy" strizza invece l'occhio a "Precious". In "I Didn't Know When To Stop", sorretta da un riff incalzante del chitarrista James Walbourne (coautore di tutti e dieci i brani), riemerge l'amore mai sopito di Chrissie per i Kinks dell'ex-compagno Ray Davies. La spensierata - e quasi adolescenziale - doppietta garage-rock formata da "Junkie Walk" e "Didn't Want To Be This Lonely" sottolinea, una volta di più, tutta la carica vitale di questa indomita sessantanovenne, che nel finale si lascia andare alla confessione intimista di "Crying In Public".
E pazienza se nella title track, dal titolo quantomai attuale, si ha quasi l'impressione di ascoltare un pezzo in cui le Elastica (o un altro gruppo di imitatrici di Hynde & C.) scimmiottano i Pretenders: l'effetto parodistico, voluto o meno, suona comunque divertente e ironico. In attesa di poterli nuovamente ammirare dal vivo, magari in compagnia dei Journey (con cui avevano progettato un tour nel 2020, poi sospeso), godiamoci questo discreto ritorno, peraltro prodotto da un pezzo da novanta del rock britannico come Stephen Street, storico collaboratore di Smiths, Blur e Cranberries.
16/01/2021