Pretenders

Pretenders

Il rock è donna

Guidati dalla personalità carismatica e spregiudicata di Chrissie Hynde, una delle prime e più potenti figure di bandleader femminile della storia del rock, i Pretenders hanno coniato un originale misto di sofisticatezza new wave, energia hard-rock, frenesia punk e grazia melodica. Una formula che ha espresso almeno quattro dischi da ricordare e un pugno di memorabili singoli

di Claudio Fabretti, Tommaso De Brabant, Alberto Farinone

Alcuni rocker, partiti con una band, ne sono diventati, di fatto, i soli artefici, pur continuando a firmarsi col nome del gruppo. Mark Knopfler per metà carriera è stato il solo autore nei Dire Straits; David Sylvian ha concesso poco spazio agli altri Japan (Mick Karn escluso); dopo il cordiale addio di Brian Eno, i Roxy Music sono diventati i collaboratori di Bryan Ferry, per non parlare del dispotico King Crimson di Robert Fripp. Così è accaduto anche con Chrissie Hynde solo componente fisso (il batterista Martin Chambers fuggirà per un breve periodo) e autrice di quasi tutti i pezzi dei Pretenders. Un gruppo che avrà i suoi momenti di gloria soprattutto con i primi due dischi della formazione originale e i due successivi, mettendo in mostra un misto di sofisticatezza new wave, energia punk, ritmi r'n'b e brio melodico à-la Kinks, impreziosito dalla voce della leader, un bellissimo vibrato, e dalla bravura dei musicisti coinvolti (il gruppo annovererà in particolare tre ottimi chitarristi: Honeyman-Scott, McIntosh, Seymour).

Un'americana a Londra


Cresciuta in Ohio durante la transizione fra i periodi hippie e punk, la giovane Christine Elaine Hynde si trasferisce dopo gli studi universitari a Londra e inizia l'arrembaggio della Swinging London come critica per Nme, grazie all'amicizia con il giornalista Nick Kent. L'esperienza non l'entusiasma, però, e per sbarcare il lunario trova un posto come commessa nel celebre negozio "Sex" di Vivienne Westwood (da cui sarà cacciata per aver picchiato una cliente con una campana!).
Ma Chrissie ha le idee chiare. E un pallino in testa: diventare la leader di un gruppo musicale. Folgorata sulla strada del rock da numi come Kinks e Byrds, ci prova con due band del sottobosco, Masters Of The Backside e The Moors Murderers. Ma è al terzo colpo che fa centro: raduna un gruppo di musicisti e fonda i Pretenders (in omaggio alla hit The Great Pretender dei Platters, poi coverizzata da Freddie Mercury). Insieme a lei, nella formazione originaria, figurano Martin Chambers alla batteria, James Honeyman-Scott alla chitarra e Pete Farndon al basso.

PretendersIl primo disco, Pretenders, esce nel 1980, dopo il decollo della new wave. I Pretenders si presentano però con un'estetica che risente della fase di transizione: giacche di pelle da punk, pose (caricaturali) da duri, camicie bianche e cravatte nere à-la Patti Smith, blazer celesti da mod, tentativi di épater les bourgeois con la t-shirt "Kid On Rent". Emblematica la bella foto di copertina di Chalkie Davis, che immortala i quattro su uno sfondo chiaro, tutti vestiti in nero, tranne la Hynde col giubbotto di pelle rossa. Ma il segno distintivo della leader è la frangia nera lunga sino agli occhi, alla Louise Brooks o Valentina di Crepax. Il fisico notevole, le pose provocanti, gli ammiccamenti (eufemismo) nei testi e nell'uso della voce ne fanno una valida concorrente di quella Debbie Harry che però assurgerà poi a più salda statura iconica.
Quando esce l'album, i Pretenders non sono degli outsider: hanno già fatto breccia nelle classifiche grazie a tre singoli di successo: "Stop Your Sobbing", riuscitissima cover di un brano dei Kinks, prodotta da Nick Lowe, l'incalzante e orecchiabile "Kid", e soprattutto il reggae-rock di "Brass in Pocket", che arriva al vertice delle chart, conquistando anche sir Paul McCartney, pronto a ingaggiare subito la band per il suo benefit a favore della Cambogia.
Prodotto da Chris Thomas, Pretenders conferma la statura della band anche sulla lunga distanza. "Un disco che ha una durata maggiore della media, perciò andrebbe ascoltato a volume alto", si legge nelle note di copertina. E in effetti risulta impossibile distrarsi da questa potente miscela di punk e new wave, dal ritmo sostenuto e densamente elettrico. Basti prendere la vigorosissima "Precious" , un'arrembante cavalcata guitar-rock su cui la Hynde troneggia col suo recitato sensuale e oltraggioso, o la sincopata, nevrastenica "Tattoed Love Boys", dove una sezione ritmica implacabile asseconda le invenzioni chitarristiche di Honeyman-Scott, o ancora "Mistery Achievement" ritmata e spiazzante, con i suoi assoli infuocati e l'interpretazione sofferta della leader. Sugli improvvisi cambi di ritmo gioca anche la tesissima "The Phone Call", mentre la scheggia di "The Wait" è forse l'episodio più punk del lotto.
Ma i Pretenders non sono solo rock'n'roll e adrenalina. E, anzi, hanno sempre in tasca la ballata giusta al momento giusto. Come l'elegante "Lovers Of Today", che giunge quasi in chiusura di scaletta ad addolcire clamorosamente i toni, rivelando per la prima volta la sfumatura più vellutata dell'ugola di Chrissie Hynde. Un discorso a parte richiede il lungo tour de force di "Private Life", un mantra soft-rock arroventato dai riff di Honyeman-Scott, che esalta le doti di performer della Hynde, suadente e perfida nei panni di una femme fatale annoiata dai tormenti amorosi altrui ("Private life, drama baby leave me/ Getting tired of your theatrics, your acting is a drag/ It's okay on T.V. 'cause you can turn it off/ But don't try me/ Yes your marriage is a tragedy but it's not my concern/ I'm very superficial I hate anything official... Your sentimental gestures only bore me to death"). Un pezzo di bravura che sarà eguagliato pochi mesi dopo da Grace Jones in una maestosa cover. "Private Life" sarà anche il main-theme del film "Tunnel (Eroina)" dell'italiano Massimo Pirri (1983).
Da questa eccellente scaletta resta fuori anche un'outtake di tutto rispetto come "Cuban Slide".

Pretenders
raggiungerà la vetta delle Uk Chart,dove stazionerà per quattro settimane consecutive, e varcherà anche la soglia della top 10 di Billboard, certificando l'assoluta qualità di questo sound ibrido, un po' hard-rock, un po' rhyhtm and blues, un po' (post-)punk, dall'indiscutibile appeal melodico, forgiato sull'inventiva chitarristica di Honeyman-Scott, sulla pulsante sezione ritmica, sapientemente in bilico tra tradizione e nuovi spasmi wave, e sulle superbe interpretazioni vocali della cantante, una delle prime e più potenti figure di bandleader femminile della storia del rock.
È più che mai Chrissie la superstar della band, con la sua personalità seducente e spregiudicata, che le vale una presenza fissa sulle cronache dell'epoca, grazie anche alla burrascosa relazione con Mr. Kinks, Ray Davies, dal quale avrà anche una figlia, Natalie.

PretendersLa band capisce di essere sulla cresta dell'onda e dopo pochi mesi pubblica il sequel, Pretenders II (1981). I quattro, stavolta, mettono più orpelli nella foto di copertina ma meno nel disco. Nonostante le trovate siano ridotte rispetto all'esordio, il sound continua a funzionare a meraviglia, a conferma dello stato di grazia di Lady Hynde. C'è ancora il misto di punk e new wave su cui si basava il primo disco; c'è ancora la forte carica erotica della cantante; c'è ancora la voglia di far chiasso, stavolta più spesso mitigata da brani malinconici.
Il singolo di traino è "Talk Of The Town" (dal nome di un club londinese), forte di un piglio byrdsiano, con i suoi twang chitarristici e i vocalizzi suadenti della Hynde, che occhieggia allo stile di muse sixties come Sandie Shaw e Dusty Springfield. Oltre alla ringhiosa "Message Of Love", brilla anche l'accoppiata "Birds Of Paradise"-"The English Roses", due avvolgenti ballate cadenzate sulle corde della chitarra, che confermano tutta la classe della band anche quando attenua la furia del suo power-rock. Ma la vera prodezza è un'altra cover dei Kinks, quella "I Go To Sleep" trasformata in una ninnananna di struggente tenerezza, che spezzerà anche i duri cuori dei britannici, finendo al n. 7 della Uk Chart. In "Bad Boys Get Spanked", infine, appare la voce di Clint Eastwood versione "Dirty Harry".
Più morbido e meno dirompente dell'esordio, Pretenders II colloca la band nel solco di un pop-rock più classico, venato ancora di influenze punk e wave, ma più accessibile al pubblico mainstream, ottenendo comunque buoni riscontri di critica e pubblico.

Nuotando fuori dall'incubo


Ma, proprio all'apice della popolarità, i Pretenders vengono falcidiati da una doppia, devastante tragedia. Il 16 giugno 1982 James Honeyman-Scott viene trovato morto per collasso da stupefacenti; meno di un anno dopo, il 14 aprile 1983, anche Pete Farndon, nel frattempo legatosi sentimentalmente alla leader, muore per overdose.
Seppur dilaniata dal dolore, Chrissie Hynde decide di andare avanti, reinventando, di fatto, la band e assumendone il pieno controllo. Nell'83 richiama Chambers e insieme al valentissimo chitarrista Robbie McIntosh e al bassista Malcolm Foster riesuma il marchio Pretenders, dando vita a quello che, con l'esordio, è senz'altro il miglior disco del gruppo: Learning To Crawl.
Ci voleva forza per riprendersi; la Hynde ne ha abbastanza da superare i dischi precedenti. C'è più serietà, più malinconia, più sarcasmo. Nella foto di copertina i quattro musicisti sono fotografati dall'alto, quasi schiacciati dal destino ma ancora in piedi, macchie nere che si stagliano contro un fondo celeste, quasi li si guardasse stando col naso in su; dalla frangia della leader s'intravede uno sguardo di sfida, ma ormai privo d'arroganza.

Chrissie Hynde - PretendersBasterebbe la tripletta iniziale a fare di Learning To Crawl (1983) un grande disco: il garage-blues di "Middle Of The Road", sospinto da una batteria incalzante, sfodera vigorosi vocalizzi e un potentissimo assolo di chitarra, culminando nella sfuriata finale della Hynde all'armonica a bocca; "Back On The Chain Gang" (con Tony Butler al basso e Billy Bremmer alla lead guitar) è uno struggente omaggio a Honeyman-Scott, tutto giocato sugli intarsi della chitarra, con il canto della Hynde contrappuntato dai cori; mentre il rock lentamente minaccioso di "Time The Avenger", pungente riflessione sulle avventure extra-coniugali di un uomo d'affari, suggella una delle massime espressioni dell'arte hyndiana.
Ma anche il resto del disco prosegue senza cadute di tono. Dalla splendida cover dei Persuaders "A Thin Line Between Love And Hate" allo sfogo power-rock di "Watching The Clothes", dalla dolcissima ballata "Show Me" all'energico country di "Thumbelina". C'è spazio anche per un'amara riflessione sulla decadenza del Midwest nell'accorata "My City Was Gone". E brilla persino l'insidiosa (sulla carta) Christmas-song di "2000 Miles", soffice e suadente, con l'ennesima performance vocale sugli scudi.
Smussate le asprezze punk degli esordi, i Pretenders coniano uno stile classico e maturo, che mutua l'esuberanza folk-rock dei Byrds, la grazia melodica pop dei Kinks e le nevrosi metropolitane della new wave con un'energia e una determinazione di cui la leader è ormai assoluta incarnazione vivente. E la Hynde continua a fare notizia anche sui rotocalchi, quando lascia Ray Davies per legarsi al giovane Jim Kerr dei Simple Minds, con i quali i Pretenders condividono una tournée. È un colpo di fulmine: prima ancora che il tour finisca, a New York, i due convolano a nozze.

Lo show non è finito: nel 1985, senza più Chambers (rimpiazzato dall'ex-Haircut One Hundred Blair Cunningham) e praticamente nessun altro della vecchia line-up se non McIntosh, parte un nuovo attacco, diretto più al mercato (soprattutto giapponese) che alla critica. Get Close: un titolo che sembra il nome di un profumo, una cover con la Nostra che invita per l'appunto ad avvicinarsi, la seconda monster hit (e la migliore delle tre), "Don't Get Me Wrong", corredata dal bel videoclip.
Ci sono anche lo sciamanesimo erotico dell'orientaleggiante, alla maniera di Bowie, "Tradition Of Love"; la dance di, manco a dirlo, "Dance!" (o della più morbida "My Baby"); il severo rimprovero ai musicisti neri che hanno venduto l'anima al successo commerciale (forse era meglio dirlo in un altro disco) in "How Much Did You Get For Your Soul"; il desiderio di elevare un inno alla femminilità "Hymn To Her". E c'è posto infine la cover di "Room Full Of Mirrors" in cui al buon McIntosh si chiede di emulare Jimi Hendrix.
Anche qui viene purtroppo escluso un grande brano: "World Within Worlds", che avrebbe aumentato la carica di un disco che ripiega un po' troppo smaccatamente nei territori di un pop-rock romantico e convenzionale.

Chrissie balla da sola


Chrissie Hynde - PretendersDopo aver fatto da spalla agli U2 nel The Joshua Tree Tour (memorabile l'esibizione romana con anche Lone Justice e Big Audio Dynamite) ed essere stati autori di una delle migliori performance del Live Aid - in virtù soprattutto di una "Back On The Chain Gang" più aggressiva della versione in studio - i Pretenders si avviano a un declino, che, salvo rare eccezioni, si accentuerà nel decennio successivo.
La Hynde torna a Wembley a far da corista a Bob Dylan e canta una bellissima versione di "I Shall Be Released" al Madison Square Garden per i 30 anni di carriera del cantautore di Duluth.
È un periodo di collaborazioni, non sempre di gran livello.
Hynde si unisce agli UB40 per due terrificanti singoli in salsa reggae-pop ("Breakfast In Bed" e la cover da Sonny Bono & Cher "I Got You Babe"); canta con Cher, Neneh Cherry ed Eric Clapton nel singolo d'annichilente bruttezza "Love Can Build A Bridge"; coi Moodswings per la bella e movimentata rivisitazione di "State Of Independence" di Jon Anderson e Vangelis (già coverizzata da Donna Summer). C'è addirittura la disco, con l'interpretazione vocale del brano di Tube & Berger "Straight Ahead".
Va meglio con le colonne sonore: nel 1987 i Pretenders (marchio dietro cui, all'epoca, si celano Chrissie Hynde e dei turnisti) firmano la struggente ballata "If There Was A Man" per i titoli di coda di "Zona Pericolo" ("Living Daylights"), il primo dei due 007 con Timothy Dalton; due anni dopo esce "Windows Of The World/1969", 45 giri per il tema del film "1969", con un'altra classica ballata dall'aggraziata veste melodica e l'inaspettata cover del classico degli Stooges.
Prima che terminino gli Eighties c'è tempo per mettere ordine negli hit dei Pretenders, con l'antologia The Singles (1987), una buona guida alla loro carriera. Chrissie Hynde, invece, sembra più che altro intenta a portare avanti le sue collaborazioni individuali. Come quella con Elvis Costello per "Spike" e quella al fianco di Johnny Thunders e Patti Palladin in "Copy Cats". Nel frattempo, finisce anche il matrimonio con Jim Kerr: la separazione viene ufficializzata nel 1988.

Back on the middle of the road


Il decennio Novanta viene inaugurato col deludente Packed! (1990) al quale non basta l'illustre presenza di Mitchell Froom alle tastiere e in cabina di regia. Nelle energiche "Never Do That" e "Sense Of Purpose" la Hynde si avvicina sinistramente all'autoparodia, pur confermando doti vocali fuori dal comune, che nel frattempo hanno fatto decine di discepole in giro per il mondo del rock. Anche i testi hanno perso la vibrante intensità degli esordi, rifugiandosi in un songwriting di mestiere, in cui anche la vicenda autobiografica della fine del matrimonio con Kerr viene raccontata in chiave blanda, senza mai graffiare.
Così, oltre alla trasognata cover della "May This Be Love" di Jimi Hendrix, gli episodi più significativi sono tracce come "Let's Make A Pact" e "When Will I See You", in collaborazione con Johnny Marr degli Smiths, che tentano di raccontare vicende sentimentali in un'ottica più matura e profonda, abbandonando il ribellismo degli esordi.

I Pretenders proseguono anche il lavoro sulle colonne sonore: nel '93 è la volta di una raffinata cover di "I'm Not In Love" dei 10cc per il film "Proposta indecente", nel '97 arriveranno due singoli per "Soldato Jane".
Negli anni Novanta il solo colpo (oltre all'arrivo del virtuoso chitarrista Adam Seymour) sarà un nuovo hit-single: "I'll Stand By You", ruffiano lamento poco emotivo ed emozionante, seppur confezionato con buon mestiere. Ma sarà anche la dannazione della band: nell'immaginario collettivo, Pretenders non significherà più rock originale e diretto, ma pop convenzionale e furbetto.

"I'll Stand By You" è il singolo di traino dell'album Last Of The Independents (1994), che segna il ritorno di Chambers, unico membro della line-up originaria, insieme naturalmente alla leader.
Nella scaletta si fanno notare solo le adrenaliniche "Night In My Veins" e "Hollywood Perfume", quasi un ritorno di fiamma al sound chitarristico del debutto, il manifesto della riot-girl Hynde "Rebel Rock Me" ("sono una ribelle... mamma!"), la pregevole e fedele cover di "Forever Young" del caro Dylan. Ma brani enfatici come "I'm A Mother", "977" e "Revolution" sono soltanto la copia sbiadita dell'irruenza originale della band. Anche i testi - un misto di sfrontatezza fuori tempo massimo e cliché femministi - lasciano perplessi, con frasi-slogan come "He hit me with his belt/ His tears were all I felt" ("977) e "Bring on the revolution/ I wanna die for something" ("Revolution").
L'album, comunque, riesce a far riemergere la band dall'oblio, riportandola anche in classifica grazie al successo di "I'll Stand By You" ed è l'occasione per la Hynde di rivendicare la primogenitura su tutte le novelle rocker in gonnella del decennio, rinnovando anche il suo impegno sociale, in difesa dei diritti degli animali e della causa ambientalista con Greenpeace.

Segue la fortunata operazione live Isle Of View (con pregevole gioco di parole), un unplugged in cui compare Damon Albarn (Blur) e in cui la Hynde si distingue per una cover della solita "Creep" dei Radiohead e Seymour per suonare una chitarra acustica come fosse elettrica in "Night In My Veins".

PretendersA 48 anni suonati, l'indomita Chrissie Hynde si rimette in pista troneggiando in copertina rosso-fuoco con pugno chiuso e piglio ribelle su ¡Viva el Amor! (1999). Rivolgendo un pensiero (al vetriolo) alle nuove generazioni di belle senz'anima che affollano la scena musicale del decennio: "Popstar" è una nuova torrenziale talking-song in stile "Middle Of The Road", che trasuda sarcasmo: "La tua nuova fidanzata vuole essere una popstar/ Ma è prevedibile come l'Apocalisse/ Non le fanno più come una volta/ Ti conveniva stare con me...". Sembra quasi il ritratto di Patsy Kensit, la biondissima chanteuse-ragazzina degli Eighth Wonder con cui Jim Kerr si consolò della fine della sua storia con la Hynde. Ma sotto tiro finisce esplicitamente la sventurata Kylie Minogue ("Who all the designers send all their new clothes/ But when she starts to look like Kylie Minogue/ She might even get her picture in Vogue"), oltre a un drappello di innominate star del momento, tra le quali si possono facilmente individuare Madonna, Alanis Morissette e le Spice Girls, con versi affilati come "And when her most recent therapist/ Suggests that maybe she become a buddhist/ She might even consider giving up red meat". Insomma, la Hynde è una rockeuse old-school, una che si è fatta da sola e che, ormai irrimediabilmente âgée, fatica ad accettare le nuove icone femminili del rock, più o meno costruite in laboratorio.
Ma, dopo l'acidità iniziale, torna con "Human" il tocco felpato dei Pretenders balladeer, maestri, ma ormai anche consumati mestieranti, nel dosare i giusti ingredienti melodici, come confermano altri episodi più soft ("From The Heart Down", "Biker" e la jopliniana "One More Time"). Sul versante rock, invece, il terzetto "Nails In The Road"-"Dragway 42"-"Legalise Me" si incarica di rivitalizzare l'antica verve finendo però con l'impantanarsi in un soul-rock adulto e un po' imbolsito. Alla fine, la traccia più originale risulta proprio una cover, la suggestiva "Rabo de Nube di Silvio Rodriguez, cantata in spagnolo in un'ambientazione suggestiva e atmosferica.
Un paio di ospiti di richiamo (Jeff Beck, David Johansen) e la produzione del tandem Stephen Hague-Stephen Street completano i motivi d'interesse per un lavoro che non aggiunge granché di significativo alla produzione della band, riportandola tuttavia su livelli dignitosi. Per la Hynde, in ogni caso, è un disco da sventolare come una bandiera: la testimonianza di una signora del rock che rivendica fieramente la sua autorevolezza e che non vuole certo abdicare. Tantomeno in favore di quelle "popstar" di cui sopra.

Last of the indiependents


Chrissie Hynde - PretendersNel frattempo, però, si consuma la fine del ventennale sodalizio con la Wea. Alla grande industria musicale i Pretenders, ormai, non fanno più gola, così non resta che tentare l'avventura nel circuito indie.
Pubblicato dalla nuova etichetta, la Artemis Records, con la produzione dell'ex-Comsat Angel Kevin Bacon e di Jonathan Quarmby, l'album Loose Screw (2002) è una raccolta di brani abbastanza originale ma fiacca, in cui i Pretenders si cimentano soprattutto con il reggae. Ritmi giamaicani agitano tracce come "Time", "Complex Person" e "Nothing Breaks Like A Heart", tra caotici riff chitarristici, tastiere dub e percussioni tribali.
Nuove invettive rabbiose, colme di recriminazioni (il power-rock elettronico del singolo "Lie To Me", ma anche "Kinda Nice, I Like It", "Clean Up Woman") sembrano invece riflettere le inquietudini di Chrissie conseguenti alla separazione dal secondo marito, Lucho Brieva. Uno spettro che riemerge anche tra gli archi di "I Should Of", con particolare amarezza: "When we made love/ Sometimes it was great/ Just once or twice/ I would've called it second-rate/ Anyway, the days passed by in peace/ I never thought you needed more release".
Sul fronte melodico, si distinguono "Saving Grace" (praticamente il remake di "Show Me") e "I Wish You Love", in cui la Hynde si rifà a Charles Trenet ("Che cosa resta"), prima di una lunga e non del tutto necessaria coda strumentale.
Non manca anche la solita cover, nella circostanza "Walk Like A Panther" degli All Seeing I, scritta insieme a Jarvis Cocker dei Pulp, che suona quasi profetica per il destino coniugale della sfortunata Hynde: "Miguel has set up home with a woman half my age/ A half-wit in a leotard stands on my stage". Cose che capitano a una "Complex Person", come si definisce in un lucido autoritratto.

Dopo il box-set Pirate Radio (quattro cd pieni di demo e rarità, più un Dvd con le apparizioni televisive in Gran Bretagna), Chrissie mescola ancora le carte. E per il nuovo album raduna un nuovo set di musicisti, tra i quali il chitarrista James Walbourne (ex-Pernice Brothers), Eric Heywood alla pedal steel guitar e il bassista Nick Wilkinson; Chambers resta in organico, ma non partecipa per motivi di salute alle registrazioni del disco, rimpiazzato dietro i tamburi da Jim Keltner.
Anche musicalmente Break Up The Concrete (Shangri-La, 2008) segna una svolta, virando in territori roots e country-rock. Ma la confusione regna sovrana. Come scrive Ira Robbins, "gran parte del disco sembra suonato da una band honky-tonk da bar alle prese con il soundcheck". E anche la voce della Hynde appare sottotono, come nel boogie di "Don't Cut Your Hair", o persino strascicata in uno strano registro nasale in quella "Almost Perfect" che rinnova stancamente i vecchi cliché sessisti ("Autistic, repetitious/ People-phobically suspicious/ With an oversized schlong", ovvero: quando le dimensioni aiutano a far accettare anche i problemi psicologici...).
Il singolo dylaniano "Boots Of Chinese Plastic" cerca di risollevare le sorti, attingendo alla frenesia nevrotica degli esordi, mentre altrove si prova, con scarsa fortuna, a rivitalizzare il groove perduto tra scatti rock'n'roll, coretti e maracas ("Love's A Mystery," "Break Up The Concrete", "The Last Ride"). Non manca l'ennesima cover: "Rosalee", tratta dal repertorio dei concittadini (di Akron) Numbers Band.
In Italia, l'album esce accompagnato dall'ennesimo greatest hits. Ma l'intera operazione passa praticamente inosservata su entrambi i lati dell'Oceano.

I Pretenders sono ormai solo la band che accompagna Chrissie Hynde in pregevoli sfuriate live, in cui i brani pop della seconda parte di carriera ben s'accompagnano, nonostante la disomogeneità, ai vibranti pezzi rock degli esordi.
Ma il loro passato frutta ancora un pizzico di gloria. Nel 2003, su invito di Johnny Ramone, partecipano all'album "We're a Happy Family - A Tribute To Ramones", con una cover di "Something To Believe In". E nel marzo del 2005 entrano in punta di piedi nella Rock and Roll Hall of Fame. Un traguardo più che meritato per la band e per una rockeuse di razza come Chrissie Hynde che, malgrado gli innumerevoli tentativi d'imitazione (dalla generazione 90's delle Liz Phair, PJ Harvey e Ani DiFranco a quella più recente delle ottime Eleanor Friedberger e Anna Calvi), stenta ancora a ricevere tutti i riconoscimenti che le spettano.

Nel 2014 Chrissie Hynde pubblica il suo debutto solista, Stockholm, un lavoro più leggero e pop rispetto a quanto proposto regolarmente coi Pretenders, che vantava ospiti di prestigio come Neil Young. Nelle sue intenzioni, il successivo Alone avrebbe dovuto rappresentare il seguito di quel disco. Negli studi di registrazione presenti a Nashville, però, Chrissie e un team capitanato da Dan Auerbach dei Black Keys – nelle vesti di produttore e chitarrista – si sono accorti che il suono era quello di un classico album dei Pretenders. Perché allora non rispolverare il nome del vecchio gruppo?

Realizzato in due sole settimane, Alone (2016) cerca di catturare quell’energia che aveva caratterizzato gli esordi della band, tra chitarre taglienti e arrangiamenti scarni, e – in parte – ci riesce pure. Come nella title track, che si rifà alla mitica “Precious” (citata apertamente, con tanto di “Fuck Off!”): un rock‘n’roll trascinante, con riff à-la Keith Richards, piano da saloon western e canto recitato in stile Lou Reed. O come in “Gotta Wait”, che recupera il ritmo frenetico dei primi due dischi dei Pretenders. L’omaggio al proprio glorioso passato prosegue con “Chord Lord”, praticamente una via di mezzo fra “Lovers Of Today” e “Up The Neck”. “Never Be Together” ci tiene invece a ricordare tutta l’influenza esercitata dalla Hynde su Shirley Manson dei Garbage.
Il tono dell’opera risente del luogo ove è stata registrata: non mancano quindi tracce polverose, con tocchi blues e country e qualche lontana eco noir presa in prestito dai lavori più recenti di Lana Del Rey (non a caso, Auerbach aveva contribuito alla realizzazione di “Ultraviolence”). La voce di Chrissie regge bene e riesce ancora a emozionare in “Blue Eyed Sky”, una ballata di classe. Si discosta dal resto il brano conclusivo, "Holy Commotion", all'insegna del vintage, tra cori 50’s e synth 80’s.
Il leit-motiv di Alone, come si può già intuire dal titolo, è la solitudine, un argomento affrontato senza peli sulla lingua (e con qualche eccesso, per esempio nella non troppo riuscita “I Hate Myself”) dall’indomita Chrissie, che sottolinea quanto sia sottovalutato stare da soli, perché “la solitudine ti permette di conoscere meglio te stesso, bisogna coglierne i lati positivi”.

Per celebrare il quarantesimo anniversario del loro debutto discografico, i Pretenders pubblicano quindi il loro undicesimo album in studio, il più breve della loro carriera (appena 30 minuti!), che prosegue l'opera del predecessore. Anche Hate For Sale (2020), infatti, sembra un disco fatto apposta per accontentare i fan della prima ora, con continui rimandi al glorioso passato della band. A cominciare dal singolo di lancio, "The Buzz", che cerca di rinverdire i fasti di "Kid" con risultati tutt'altro che disprezzabili. Certi ganci melodici Chrissie Hynde li ha sempre avuti nel Dna, c'è poco da fare: lo testimoniano anche "You Can't Hurt A Fool", che si aggiunge al suo già ampio repertorio di ballad, e soprattutto "Maybe Love Is In NYC", forse il brano più ispirato del lotto.
I ritmi reggae di "Lightning Man" richiamano inevitabilmente alla memoria "Private Life", tra i pezzi più intensi del loro celebrato esordio omonimo, mentre il concitato ritornello di "Turf Accountant Daddy" strizza invece l'occhio a "Precious". In "I Didn't Know When To Stop", sorretta da un riff incalzante del chitarrista James Walbourne (coautore di tutti e dieci i brani), riemerge l'amore mai sopito di Chrissie per i Kinks dell'ex-compagno Ray Davies. La spensierata - e quasi adolescenziale - doppietta garage-rock formata da "Junkie Walk" e "Didn't Want To Be This Lonely" sottolinea, una volta di più, tutta la carica vitale di questa indomita sessantanovenne, che nel finale si lascia andare alla confessione intimista di "Crying In Public".
E pazienza se nella title track, dal titolo quantomai attuale, si ha quasi l'impressione di ascoltare un pezzo in cui le Elastica (o un altro gruppo di imitatrici di Hynde & C.) scimmiottano i Pretenders: l'effetto parodistico, voluto o meno, suona comunque divertente e ironico.
Un discreto ritorno, dunque, prodotto peraltro da un pezzo da novanta del rock britannico come Stephen Street, storico collaboratore di Smiths, Blur e Cranberries.

Tre anni dopo, Relentless (2023) si spinge anche oltre in termini di scrittura. Con sincerità, talvolta, persino spiazzante, come nella traccia d'apertura "Losing My Sense Of Taste", caratterizzata da cupe atmosfere post-punk e da un testo quasi disturbante nella sua sincerità, con Chrissie che ammette di aver attraversato una demenza pre-senile o una specie di psicosi e che ora non le interessa più nulla neanche del rock'n'roll ("I don't even care about rock and roll/ All my old favorites seem tired and old"). Un album, dunque, crudo e autentico fin dalle prime note, che ha conquistato la critica anglofona anche grazie a una certa tensione tipicamente new wave che rimanda agli anni migliori della band: "A Love" si basa su un riff ripetitivo e ipnotico, mentre "Vainglorious", il pezzo più punk del lotto, è nello stile dell'immortale "Precious", la traccia d'apertura dello storico debutto dei Pretenders.
Una certa magniloquenza emerge invece in brani come "The Promise Of Love" e "Merry Widow", quest'ultima valorizzata anche dalle divagazioni psichedeliche alla chitarra del bravo James Walbourne, un multistrumentista in passato già al lavoro con Ray Davies e coi Pogues. Principale co-autore del disco, alle prese con svariati strumenti (dal mellotron al pianoforte), è lui a occuparsi anche dei cori. Assente invece il batterista Martin Chambers, qui rimpiazzato da Kris Sonne: Hynde rimane quindi l'unica reduce della line-up originale dei Pretenders.
La cantante-chitarrista di Akron mai come in questo disco predilige le note basse, ma la sua voce sa essere ancora intensa ed è in grado di valorizzare i brani più disparati, spaziando dall'intensità di "Domestic Silence" alla quiete apparente di "The Copa". Chrissie si dimostra così ancora in grado di alternare i pezzi più energici (tra cui il singolo di lancio "Let The Sun Come In") alle pause romantiche o riflessive, proprio come ai bei tempi.
Rispetto ai due lavori che lo hanno preceduto, "Relentless" risulta essere in ogni caso un album più lento, soprattutto nella seconda facciata, più acustica e introspettiva, dominata da sentimenti come la tristezza e la nostalgia e ricca di ballate dolenti ma che non scivolano mai nel patinato o nel patetico. Spiccano dunque pezzi meditativi come "Your House Is On Fire" e "Just Let It Go", quest'ultima una ballad di gran classe, rinvigorita da uno straordinario assolo di Walbourne. A non convincere pienamente è solo il lungo brano conclusivo, paradossalmente anche il più atteso, vista la presenza di Johnny Greenwood, occupatosi dell'arrangiamento d'archi.

Seppur ferita e abbattuta proprio come il bambino coi guanti da boxe e una benda sull'occhio raffigurato nell'inquietante copertina dell'album, opera dello street artist irlandese Solus, l'inflessibile Chrissie Hynde non ha tuttavia alcuna intenzione di smettere e di appendere la chitarra al chiodo. Per fortuna, verrebbe da aggiungere, se è ancora in grado di regalarci dischi così sentiti e viscerali.

Pretenders

Discografia

PRETENDERS
Pretenders (Sire, 1980)

8

Pretenders II (Sire, 1981)

7

Learning To Crawl (Sire, 1984)

8

Get Close (Sire, 1986)

6,5

The Singles (antologia, Sire, 1987)

Packed! (Sire, 1990)

4,5

Last Of The Independents (Sire, 1994)

6

The Isle Of View (live, Warner, 1995)

¡Viva el Amor! (Warner, 1999)

6

Greatest Hits (antologia, Wea, 2000)

Loose Screw (Artemis, 2002)

5

Pirate Radio (box-set, Rhino, 2006)

Break Up The Concrete (Shangri-La, 2008)

5

Alone (Bmg, 2016)

6,5

Hate For Sale (Bmg, 2020)

6

Relentless (Parlophone, 2023)

7

CHRISSIE HYNDE
Stockholm (Caroline Records, 2014)
Valve Bone Woe(Bmg, 2019)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Stop Your Sobbing
(videoclip da Pretenders, 1980)

Brass In Pocket
(videoclip da Pretenders, 1980)

Private Life
(live da Pretenders, 1980)

I Go To Sleep
(videoclip da Pretenders II, 1981)

Talk Of The Town
(videoclip da Pretenders II, 1981)

Back On The Chain Gang
(videoclip da Learning To Crawl, 1983)

2000 Miles
(videoclip da Learning To Crawl, 1983)

Middle Of The Road
(live a Live Aid, 1985)

Thin Line Between Love And Hate
(live at Rockpalast, Germania, 1985)

Show Me
(live at Rockpalast, Germania, 1985)

Don't Get Me Wrong
(videoclip da Get Close, 1986)

My Baby
(videoclip da Get Close, 1986)

Hymn To Her
(videoclip da Get Close, 1986)

If There Was A Man
(videoclip dalla colonna sonora di 007 - Living Daylights, 1990)

I'll Stand By You
(videoclip da Last Of The Independents, 1994)

Popstar
(live, da ¡Viva el Amor!, 1999)

Holy Commotion
(videoclip, da Alone, 2016)

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