Ramon Moro è uno dei musicisti più versatili ed eclettici della scena avant italiana contemporanea. Avant è lasciato appositamente come prefisso perché Ramon realizza con fluidità e accuratezza un album noise e uno jazz, una colonna sonora post-rock e un disco modern classical. La forza dietro ogni lavoro o collaborazione del trombettista torinese – dal trio jazz di animo progressive 3quietmen (con Federico Marchesano e Dario Bruna), alle sonorizzazioni di film con Paolo Spaccamonti – risiede in una potente visione che Moro cerca di definire musicalmente in termini sinestetici, incanalando la poesia e le arti visive – con una passione speciale per la fotografia – e integrandole nel tessuto compositivo, ma sempre e solo tramite un linguaggio musicale che significa per se stesso, senza avere bisogno di altro.
“Blue Horizon” prende vita dall’ascolto del brano “Folk Song For Rosie” del Paul Motian Trio – tratto da “Le Voyage” (ECM, 1979) – e dal desiderio del compositore di creare un quartetto jazz. All’interno di questo territorio, Moro definisce le regole a modo proprio, prima di tutto negando il virtuosismo in funzione di una speciale ricercatezza melodico-armonica raggiungibile attraverso l’incontro dei personali linguaggi dei quattro musicisti: “Tutto doveva essere sospeso, alto e fluente” (Moro). Accompagnato nel viaggio da vecchi e nuovi compagni (Marchesano al contrabbasso, Emanuele Maniscalco al pianoforte e Zeno De Rossi alla batteria), il quartetto disegna otto brani strumentali sul processo di definizione di un orizzonte intimo e condiviso, in cui la scrittura è approdo per le solitudini dei singoli strumenti.
Nonostante ogni disco di Moro abbia una precisa visione musicale e sonora, l’anima della composizione risiede nella musica classica. Non fa eccezione “Blue Horizon”, in cui leggiamo la narrazione jazz attraverso la tensione e l’afflato universalistico di compositori come Gustav Mahler, Fryderyk Chopin o Robert Schumann, svelando l’epifania di una visione che diventa finalmente visibile e assoluta. In questo album, inoltre, il trombettista ricerca l’essenza del proprio suono attraverso la sola interazione tra fiato e strumento (tromba o flicorno), al di fuori della relazione con l’ampia pedaliera di effetti e loop station con cui abitualmente e naturalmente Moro disegna le proprie sonorità.
“Blue Horizon” è un viaggio di cui non serve descrivere alcuna stazione. Bisogna affidarsi e pigiare “play”, perché tanto in un attimo ci si dimenticherà di quel tocco di piano à-la Bill Evans o di quel frammento di tromba à-la Ennio Morricone. È la trama che ci appassiona, la descrizione degli ambienti, la cura dei dettagli. Basta un brano solo, “Albedo”, per capire la leggerezza, la melanconia e gli eleganti, sottili mutamenti emozionali che racchiude ogni componimento. Mentre la vita scappa dalle mani, un giorno dopo l’altro, “Blue Horizon” invita a fermarsi e condividere insieme un viaggio solitario.
25/12/2020