Rustin Man

Clockdust

2020 (Domino)
art-rock

Dopo un lungo silenzio durato quasi quindici anni, il ritorno di Paul Webb aka Rustin Man ha risvegliato intense emozioni che credevamo sopite. A onor del vero l’ex-bassista dei Talk Talk non aveva del tutto sconfitto le perplessità di coloro che avevano semplicemente incrociato il raffinato progetto in sinergia con Beth Gibbons dei Portishead (“Out Of Season”), ignari dell’incandescente fonte di delizie a nome O’Rang che aveva preceduto tal gioiello.
Recuperato il moniker Rustin Man, il musicista inglese ha inciso, nell’anno trascorso, una delle opere più arcane e profonde, un disco brulicante di ballate elettroacustiche oscure e poeticamente spettrali.

Al nostalgico virato seppia di “Drift Code” l’artista ora dà seguito ricorrendo a un altro fronte monocromatico. Il verde petrolio di “Clockdust” è fortemente nostalgico e dolente, ma anche lievemente grottesco, uno sfondo sul quale si muovono personaggi di un immaginario circo, figure umane che, preda delle proprie ossessioni, sembrano aver abdicato a una progettualità sul futuro restando sospesi, immobili nell’asettico spazio dell’immagine di copertina.
Concepito nello stesso spazio temporale del capitolo precedente, “Clockdust” non è il figlio povero di “Drift Code”: a tratti è persino più profondo e autarchico. La voce di Webb ha il fascino inquietante del Bowie di “Blackstar” e l’algida tristezza di Robert Wyatt.

Più che emozioni sono sfumature, svogliati tempi ritmici che attendono la flebile armonia dell’organo per accennare una melodia lievemente più vitale (“Jackie’s Room”), o un canto flebile dalla greve spiritualità per poter affondare nelle lande jazz-blues di Nina Simone e Billie Holiday, con tanto di malinconico assolo di tromba al seguito (“Old Flamingo”).
Paul Webb dosa sempre con sapienza le suggestioni e le assonanze con Robert Wyatt (“Man With A Remedy”) e Tom Waits (la grottesca “Kinky Living”). A volte si rifugia nelle tenebre dipinte da Peter Hammill, intonando la criptica “Carousel Days” o rievoca l’elegante semplicità di “Out Of Season” nel crepuscolare dipinto di “Gold And Tinsel”, fino a perdersi nelle nebbie del dub per stemperare il fondo in bianco e nero della lunga e rigogliosa “Night In Evening City”: sette minuti e diciassette secondi che omaggiano “Spirit Of Eden” grazie anche ai sotterranei richiami ai Traffic che tanto ispirarono Mark Hollis all’epoca della svolta post-rock.
Quando l’ardire prende il sopravvento, germogliano insolite connessioni: l’atipica saudade di “Love Turns Her On” cita Jacques Brel e Caetano Veloso, la drammaturgia dell’insolito strumentale “Rubicon Song” incrocia l’estetica teatrale di Kurt Weil, confermando così la natura più ariosa e agrodolce di “Clockdust”.

La musica di Rustin Man palpita, formicola, crea fumo e scintille, incanta e disturba, accarezza fino a graffiare la pelle, ma una cosa è certa: non lascia indifferenti, e di questi tempi è cosa rara e preziosa. “Clockdust” è come un brivido che lascia l’ascoltatore dolcemente in attesa del prossimo racconto dalle imponderabili tonalità monocromatiche.

15/04/2020

Tracklist

  1. Carousel Days
  2. Gold And Tinsel
  3. Jackie's Room
  4. Love Turns Her On
  5. Rubicon Song
  6. Old Flamingo
  7. Kinky Living
  8. Night In Evening City
  9. Man With A Remedy




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