A vederla nello scatto in copertina, seduta tra gli alberi di una foresta con lo sguardo basso delicatamente rivolto verso le radici, Sarah Davachi sembra suggerire il raggiungimento definitivo di una quiete immanente. E' un medioevo figurato, il suo, inseguito in ogni opera attraverso la scelta di strumentazioni antiche, tra le quali è protagonista immancabile l'organo, a fungere da biga con cui varcare campi sconfinati, dominati perlopiù dalla pace dei sensi.
“Cantus, Descant” è il primo album prodotto con la sua nuova etichetta Late Music (via Warp), ed è il risultato di due anni di sonate d’organo in giro per il mondo, nello specifico in chiese e cattedrali di Chicago, Amsterdam, Vancouver, Copenaghen e ovviamente l’amata Los Angeles, città in cui la Davachi vive e lavora da diversi anni.
Il procedimento polifonico alla base del “discanto” medievale è per l'occasione stravolto con mellotron, synth, archi e voci filtrate in ben due movimenti, “Play The Ghost” e “Canyon Walls”, in particolare nella prima, movenza che la ricongiunge stilisticamente a certe uscite di Twinsistermoon, il progetto solista di Mehdi Ameziane, l'altra metà dei Natural Snow Buildings. Il canto è leggerissimo, sussurrato, a emulare brezze e a inondare grazia, mentre il piano è appena accarezzato.
La musica di Sarah Davachi stringe e cattura l’anima per il suo essere volutamente spoglia, al netto di una strumentazione che almeno sulla carta garantirebbe un effetto più avvolgente. Le note si diffondono come lievi increspature sulle acque di un lago. Tutto si espande in punta di piedi. Ogni partitura racchiude in sé estasi e torpore, ascesi e caduta. Si potrebbero citare come esempi illuminanti i flussi ambient in lontananza di “Hanging Gardens”, l’eco celestiale di “Ruminant”, le corde esoteriche e gli archi dimessi, alla stregua dei Popol Vuh, di “The Pelican”, il drone magico e al contempo perturbato di “Gold Upon White”.
In “Cantus, Descant”, c’è sempre un orizzonte che appare e scompare, come in un affresco dipinto tra la fine del Sedicesimo secolo e l'inizio del Diciassettesimo. La Davachi (ri)evoca la sacralità di un suono antico, perduto, elaborando con grazia un cammino altamente immaginifico.
31/12/2020