“Foyer”, strategicamente posta al centro della raccolta, reclama senza grande sforzo il posto d'onore, misurandosi con stacchi di drum-machine ben più roboanti rispetto al solito, eppure del tutto giustificati, sostegno ideale alla svelta progressione in 6/8 e ai poderosi tracciati sintetici, memori della wave più chirurgica e affilata e di tanto esplosivo boogie-funk del periodo. A suo modo più chic, contornata da sofisticati contributi di sassofono che incrociano Destroyer e i Matt Bianco, “The World Is A Hungry Place” è il veicolo per un'ironia sorniona, che strappa qualche amara risata in un contesto di suadente eleganza.
Se “Sleight Of Hand” è una nuova, distaccata immersione nell'ineccepebile canzoniere di Paddy McAloon, qui rivisto da una vagamente inquieta prospettiva atmosferica (i synth nebulosi e le armonizzazioni “acquatiche” a sostegno del refrain), “Dizziness” spariglia le carte in tavola nel contesto più naturale di Tatum, arricchendo la linea chitarristica di base con frizzanti contrappunti melodici di synth e un graduale rilassamento, affinato con gentile controllo.
Oltre le limitazioni espressive di tanti progetti che hanno condiviso percorsi similari rispetto a quello di Wild Nothing, per poi scomparire nel vuoto della propria ispirazione, a dieci anni dalle prime timide apparizioni la penna di Jack Tatum continua a rintracciare nuovi metodi per ridefinirsi, pur nel rispetto di un'estetica che ormai potrebbe quasi essere definita classica. A presto risentirci, perché no, anche con un pizzico di gas esilarante a farci compagnia.
(12/02/2020)