Con un doloroso passato di occupazione e una faticosa liberazione dal dominio giapponese, non è difficile immaginarsi quanto risentimento e rancore alberghino ancora in Corea nei confronti dell'ingombrante vicino. Tali sentimenti si traducono in un un approccio dicotomico, da cui anche la ricezione dell'offerta culturale nipponica non è affatto immune: se la riscoperta della felicissima stagione
city pop sembra aver incontrato l'interesse delle fasce più giovani della popolazione, con tanto di serate a tema e lo sviluppo di un intero movimento di musicisti teso alla sua attualizzazione, non sono rari i casi di artisti e band che hanno subito critiche aspre per aver adottato estetiche e sonorità del vecchio nemico (il caso dell'ex-Wonder Girls Yubin e della sua “
Lady”).
In questo senso, il successo riscontrato da Yukika Teramoto e dal suo
concept rétro ha quasi dello strabiliante, nel modo in cui una cantante giapponese (perfettamente inserita nello
showbiz coreano, dati i trascorsi in un gruppo
idol) ha saputo farsi tramite della più efficace commistione tra sonorità 80's
made in Tokyo e melodismo coreano, forgiando un esperanto musicale che trascende i due contesti di origine e ne riassume le peculiarità. Il risultato? Tra le migliori prove
k-pop degli ultimi anni.
Pennellato su misura del romantico timbro di Teramoto, che incarna con successo la “soul lady” (ma la scrittura in
hangeul può essere tradotta anche come “Seoul lady”) del titolo, l'album esplora con agilità rara il territorio stilistico entro cui si muove l'album, modellando brani di potente efficacia melodica, tanto immediati nell'assimilazione quanto elaborati nei riferimenti e nella produzione. In un crocevia che unisce gli spunti funk di
Tatsuro Yamashita, il dinamismo espressivo di Junko Yagami, le reinvenzioni
eighties di un disco quale “Reboot” delle già citate Wonder Girls e la ricerca produttiva dei più avanzati progetti k-pop in circolazione (Loona e Sunmi in pole position), il disco intercetta un linguaggio fluido, accattivante, tanto scintillante nei suoi momenti più retrospettivi quanto fresco e vitale nelle sue venture più contemporanee.
Spaziando tra
midtempo di pregio, distillati con la cura dei migliori autori
sophisti-pop in circolazione (le increspature soul di “Cherries Jubiles”, la vena ariosa di “I Feel Love”),
flashback a un decennio vissuto soltanto nell'immaginazione (l'accoppiata “Soul Lady”-“Neon” a trarre il massimo dalla re-contestualizzazione del
city-pop che fu), momenti di espansività corale (il caldo romanticismo di “Yesterday”), la leggerezza intercettata dal disco non è sinonimo di vacuità, offre piuttosto uno spaccato di elegante sensibilità, lontanissima dalla sfrontatezza dei più celebri
act coreani.
In mezzo a tale dolce ambivalenza, la scheggia impazzita, sì ben inserita nell'agile contesto del disco ma allo stesso tempo capace di astrarsene, adoperando una tavolozza di colori decisamente più ampia: con le sue cadenze house, sbarazzine come nella tradizione dei migliori
Clazziquai Project, “Pit-a-Pet” mostra uno slancio di cui il disco altrimenti difetterebbe, taglia, scompone e ricombina le linee sonore col fare di un fantasista glitch, tra stacchi impazziti di chitarra e tagli ritmici in fascia
bass.
A pensare il futuro di YUKIKA in una chiave più esplicitamente dance, le premesse paiono insomma già decisamente promettenti. Anche nel confortevole abbraccio della nostalgia, la voce di Teramoto sa come fare la differenza: in un contesto così congestionato come quello del
k-pop, questo è tutt'altro che un risultato di poco conto.
24/09/2020