Caro vecchio emo. Croce e delizia delle ultime generazioni. Da un lato, lo stile musicale ed estetico più frainteso e martoriato delle ultime decadi (tutt'oggi la parola emo assume spesso e volentieri connotati di insulto o di sfottò). D'altro canto, forse, uno dei pochi movimenti ad aver conservato nel tempo un forte spirito identitario, anche dopo la ritirata in trincea che ha seguito il clamoroso boom di inizio millennio.
È innegabile che proprio quell'esplosione mainstream finì per violentare e trasfigurare completamente un genere che pur vantava una genealogia nobile; eppure, anche durante gli anni del "grande sacco", una schiera di nerd dall'indole punk (o punk dall'indole nerd) riuscì a mantenere viva una certa concezione emo memore dei propri intenti originari, da un lato sempre meno legata all'eredità hardcore ma comunque ancora pura nella sua fierezza indie. Così, la cosiddetta scena del Midwest si fece custode della tradizione emo che proprio negli anni 90 aveva trovato un proprio canone riconoscibile, tra saliscendi chitarristici debitori di una formula math smussata nelle asperità e atmosfere sonore e liriche viscerali, tanto da ritrarre, quasi come in un quadro di Hopper, le inquietudini covate nelle camerette al secondo piano di villini monofamiliari persi in un'America dimenticata (vi ricorda qualcosa?).
Proprio le impalcature e gli umori del Midwest Emo hanno da sempre rappresentato l'ispirazione principale di The World Is A Beautiful Place & I Am No Longer Afraid To Die (per gli amici, TWIABP), ensemble canadese (oggi ridotto a quintetto) giunto nell'autunno del 2021 al quarto album in studio (terzo di stanza alla Epitaph) con "Illusory Walls", ultima tappa di una carriera ormai più decennale che li ha imposti tra le formazioni più apprezzate di una scena ormai saldamente rifugiata nel territorio amico della propria nicchia, ma in perenne stato da pulsione revival.
I TWIABP in realtà, sin dagli esordi, pur evidenziando una spiccata aderenza all'attitudine dell'ala del Midwest, hanno operato marcate variazioni sul tema, in particolare a mezzo di contaminazioni di stampo post-rock. Il mix non è in verità né nuovo, né originale; Appleseed Cast, Moving Mountains e (sul versante più ostico dello screamo - quello vero) City Of Caterpillar, sono tra le tante band ad aver già tentato la commistione, talvolta anche con risultati entusiasmanti.
Si potrebbe arrivare ad affermare (consapevoli che a molti potrà sembrare un'eresia) che un prototipo embrionale di questo connubio sia rintracciabile addirittura negli Slint, quantomeno per quelle che erano le sembianze dell'emocore e del post-rock nel 1991; derivati scarnificati dell'hardcore, che nulla concedevano a qualsivoglia forma pop. Dal pop invece i TWIABP hanno sempre attinto a piene mani, capaci di snocciolarne il gusto melodico in una riuscita alchimia con le due categorie stilistiche di cui sopra.
"Illusory Walls" si conferma a grandi linee fedele all'impostazione già messa in luce nei precedenti lavori dei canadesi, ma segna qualche svolta particolarmente decisa. Il livello tecnico della sezione strumentale appare notevolmente progredito, tanto che - nei riff di chitarra e nei controtempi ritmici - i TWIABP si inerpicano in digressioni pseudo prog, che (così come cucite sul tessuto emo) fanno balzare alla mente i primi Coheed And Cambria, in particolare nei momenti in cui, ad affiancare o intercambiare la voce di David Bello, interviene quella acuta e nasale di Katie Dvorak, che, installata su tale impianto, non può fare a meno di ricordare il timbro di Claudio Sanchez.
Soprattutto però, le già menzionate parentesi post-rock si fanno sempre più imponenti in "Illusory Walls"; i TWIABP citano i più illustri conterranei del settore, i Godspeed You! Black Emperor, tra le proprie maggiori influenze, e da questi mutuano una certa aspirazione sinfonica, calandola nel melodismo soft-loud più morbido degli Explosions In The Sky e dei God Is An Astronaut, le cui arie riverberate sostituiscono in maniera sempre più preponderante le sonorità spigolose e vagamente atonali di matrice math.
Con questi presupposti, "Illusory Walls" si presenta come l'album più raffinato (in accezione sia positiva che negativa) partorito dalla band. Introduce inoltre scenari maggiormente crepuscolari e rarefatti rispetto al passato, in una narrazione da concept non dichiarato, che fruga nell'intimità di un percorso esistenziale tra disagi soffocati, depressioni, lutti, senso di perdita dell'innocenza. In assoluto, tuttavia, risulta un album riuscito a metà. Metà nel senso letterale del termine; in "Illusory Walls" si alternano infatti tracce dove dilaga la magnificenza degli struggimenti emo infusi nell'epica post-rock e altri episodi decisamente sottotono.
Il progetto sembra avviarsi sulla base di ottime premesse con l'iniziale "Afraid To Die", che riassume in maniera egregia ed emotivamente potente la nuova direzione; una linea canora emo-pop agrodolce che si posa introversa sulla prima parte del brano dominata da fraseggi puliti ed echeggianti, quasi da atmosfera cinematic, per poi levarsi in un tripudio corale per il crescendo finale.
Seguono "Queen Sophie For President" e "Invading The World Of The Guilty As A Spirit Of Vengeance", due dei tre singoli di "Illusory Walls", a cui si unisce "Trouble" più avanti in scaletta; senza mezzi termini, i momenti più deboli dell'opera. "Queen Sophie For President" si apre con un incipit di batteria e basso, come una "Just Like Heaven" che non sa di esserlo, proseguendo in un'energica ballata indie-rock romantica e decadente, puntellata da un fischietto incessante di Moog e pur suadente nell'interpretazione vocale della Dvorak; rimane però come sospesa lungo tutta la sua durata, senza mai trovare uno sfogo definitivo.
"Invading The World..." sacrifica l'ardore nevrotico del retaggio Midwest in favore di saturazioni gonfie e tronfie che riesumano l'emo-core (quello scritto con il trattino) dei primi anni Zero (con uno sguardo ai Glassjaw), e che fanno a cazzotti con le novelle velleità prog, sfornando un pasticcio mal amalgamato e indigeribile. "Trouble" è un power pop irritante quanto una qualsiasi canzoncina dei Fall Out Boy. I due episodi gemelli, "Blank//Drone" e "Blank//Worker", scorrono delicati ma senza lasciare grandi segni, fungendo quasi da cornice dei brani centrali del disco. Tra questi, "We Saw Birds Through The Hole In The Ceiling" riprende le architetture di "Afraid To Die", ma scorre più scialba e priva di mordente.
Tuttavia, quando ormai l'amaro in bocca sembra inevitabilmente prevalere, il tenore e il livello di "Illusory Walls" tornano ad alzarsi. "Died In The Prison Of The Holy Office" spicca incisiva come una trascrizione in bella del pezzo precedente, in una coinvolgente cavalcata che alza il ritmo, si ferma a prendere la rincorsa in un tremolìo elettrico ed esplode in un tapping che finalmente trova una coerente collocazione spazio-tempo, sfociando in un'accorata e intensa coda conclusiva di voci incrociate.
Con "Your Brain Is A Rubbermaid" si fa spazio un respiro più ampio e solenne, da un certo punto di vista tanto cupo quanto melenso, eppure magnetico, nel suo dipanarsi lungo un feedback teso che si infrange prima su un martellante chug in palm mute e poi in un interludio di trascinante pop gotico.
Ma è la suite di chiusura in due atti ("Infinite Josh" e "Fewer Afraid", rispettivamente quindici e diciannove minuti) a ripagare interamente il prezzo del biglietto. È qui che i TWIABP concentrano le migliori intenzioni (e intuizioni) di "Illusory Walls"; malinconie strazianti e dimensioni ambient, sussurri vellutati e impennate di gain, passaggi evocativi di spoken word, refrain strappacuore ripetuti in loop dilungati, soffi d'archi e tintinnii di pianoforte, cambi di tempo e sferzate rombanti, chitarre cariche fino all'orlo di modulazioni, delay e riverberi. Il pieno compimento delle ambizioni dell'album.
Con "Illusory Walls", i TWIABP rinunciano in parte all'urgenza sconvolta e acerba tipica della scuola emo di seconda generazione dalla quale discendono, a vantaggio della ricerca di una maggiore sofisticazione compositiva. Il saldo alla bilancia risulta su per giù in pareggio, scontando delle pretese prog il più delle volte confuse, nonchè mal dosate e contestualizzate, ma recuperando consistenza in voli pindarici che mostrano il lato migliore dell'evoluzione del gruppo canadese.
Al di là di tutto, anche in questa nuova veste meno istintiva e più ragionata, i TWIABP restano capaci di perpetrare con sincerità e passione una poetica emo da disillusione provinciale; ne celebrano il matrimonio con il post-rock in una gloriosa forma pop, tanto efficace da lasciare intravedere potenzialità ulteriori per il futuro.
Che possa arrivare per l'emo il momento della rivincita? Se l'idea ci suggestiona, lasciamocene pure persuadere.
24/11/2021