Tra le novità in casa Amenra non c’è soltanto un importante cambio di label (la Relapse è subentrata alla Neurot Recordings). Un titolo come “De Doorn” spezza infatti quella continuità proseguita fino all’ottimo “Mass VI”, ovvero una serie di Ep e di full-length contraddistinti proprio da questa prevedibile nonché inesorabile numerazione romana.
Oggi, invece, l’ipotetica apocalisse (il numero sette sarebbe stato il prossimo) viene sostituita dalle spine, da una lenta corrosione che sprofonda fin sotto la pelle: una ferita da cui fuoriesce soltanto un dolore vivo, il preludio di una sconfitta da cui nessuno si può sottrarre.
Ancora una volta, ascoltare la musica degli Amenra corrisponde a un’esperienza rituale, a un passaggio obbligato per raggiungere la purificazione del corpo e dell’anima: in apparenza, l’ennesimo mattone post-metal faticosamente difficile da mandare giù, in realtà un disco non estremamente lungo (quarantasette minuti) ma soprattutto costruito con astuzia e intelligenza, poiché capace di alternare dei passaggi più atmosferici e rilassati alla furia annichilente di un sound sempre riconoscibile al primo ascolto (le note ossessive del singolo “De Evenmens” strappano la carne a brandelli).
Inoltre, al di là dei necessari ed evocativi cambi di registro, le vocals al vetriolo di Colin H. Van Eeckhout non arretrano di un centimetro, perché è lui a spingere giù in fondo questi aculei che ci fanno sanguinare: l’incipit di “Ogentroost” è puro pathos, prima che si sprigioni una violenza dai contorni sadici e primitivi, un lento cerimoniale in cui le più malsane sonorità sludge sembrano spalancarci le porte della follia. Un invito al martirio.
“De Doorn” è cantato interamente in fiammingo, un aspetto interessante che si riallaccia a quel recupero delle radici già messo in atto di recente dalla band di Kortrijk (impossibile non menzionare l’eccellente parentesi acustica di “Het Dorp/De Zotte Morgen”, un 7” di estrazione folk uscito durante lo scorso anno). Il basso catacombale di “Het Gloren” potrebbe quasi far pensare a una salita al calvario, nel ricordo dell’omonimo dipinto di Pieter Bruegel, i cui dettagli lasciano presagire morte e disperazione. Perché come per la rinomata pittura fiamminga, anche la musica degli Amenra è pregna di simboli e di metafore, quasi una storia da raccontare sottovoce (lo spoken words di “Voor Immer”) prima che ritorni per sempre l’oscurità.
Cosa sarà mai allora “de laatste vlucht van de kraai”, ovvero quell’ultimo volo del corvo citato nel testo? Probabilmente su quella croce sta per essere inchiodata tutta l’umanità. È tremendamente messianico, questo “De Doorn”, un disco dove la sacralità del post-metal raggiunge le sue vette più alte.
04/07/2021