Se l'avvicendarsi di fantasmi, di riti funerari o di apocalissi in divenire richiede una presenza di vita, la polvere della razza umana (fine inevitabile del singolo individuo oltre che di tutta l’umanità) segna la fine autentica, una fine che è davvero una fine. E' interessante ricordare lo studio di alcuni scienziati americani che segnala che, se l'uomo si estinguesse, basterebbero appena diecimila anni per far sparire ogni prova della nostra esistenza, se si eccettuano parte delle piramidi e la grande muraglia. Basterebbe questo per far comprendere quanto flebile e tragica (nel senso greco del termine) possa considersi la nostra esistenza.
Pezzella sa come muoversi a suo agio in questo ambiente in cui ha ormai un suo stile riconoscibile. Campioni manipolati, lamentazioni di funerali, registrazioni vocali, sintetizzatori, tutto in un concept sulla fine senza alcun compromesso.
La title track parte subito imponente, come un muro invalicabile su cui inevitabilmente l’umanità si schianterà. I suoni ricordano i corrieri cosmici più cupi e gli orrori dello spazio profondo di Ligeti, ma il soggetto del brano è assolutamente (post)umano. In un’epoca figlia del narcisismo e dell’assenza di limite più sfacciata, il progetto di Pezzella si pone in un altrove davvero inattuale. Uno dei brani più bizzarri e interessanti è “Teatro Grottesco”, elettroacustica weird con rumori di fondo e forse urla di uomini de-evoluti a un passo dall’estinzione, come in un incontro con le follie sonore dei Residents.
Tra campionamenti vocali inquietanti (“Maléfice”), come di predizioni nefaste spazzate da venti elettronici e preghiere verso divinità inesistenti (“The Prayer”), si giunge a “Chiangimuerti”, tredici minuti tipicamente dark-ambient che fra suoni di campane, lamentazioni di funerali e un lunghissimo tappeto di synth, raggiunge livelli di densità sonora e oscurità nuovi persino per la discografia di Sonologyst.
(10/03/2021)