You knew me as Fire
Sarebbe ormai un lavoro retorico, stucchevole e fine a se stesso disquisire sul fatto che
Tori Amos non sia più la rossa di fuoco di un tempo. Quel vulcano creativo
made in Usa che imbracciava un fucile nella copertina di "Boys For Pele", meraviglioso in tutti i suoi eccessi, non esiste più da decenni.
Quella di oggi è una signora di 58 anni che vive in Cornovaglia; addomesticata, probabilmente imborghesita, sicuramente ormai a distanza di sicurezza da ogni velleità da "
doll" - fuori tempo massimo e francamente imbarazzante - che potesse aver avuto nell'artisticamente terribile periodo che passò almeno tra il 2005 e il 2010.
Dopo quella dimenticabile parentesi, la sua collaborazione con Deutsche Grammophon del 2011, che regalò il discreto lavoro "
Night Of Hunters" e avviò un processo di graduale trasformazione e atterraggio verso lidi più sobri e rassicuranti. Seguirono la sorpresa di "
Unrepentant Geraldines", senza timor di smentita definibile come il suo miglior lavoro almeno dal 2002, e l'ultimo "
Native Invader", che per la prima volta proponeva un disco senza plateali cadute ma, purtroppo, anche privo di vette davvero memorabili che in fondo sono ciò per cui vale la pena di ascoltare il prodotto di un artista.
"Ocean To Ocean" prosegue coerentemente lungo questo percorso, componendosi di "girls", come ama lei chiamarle, sobrie e rassicuranti, figlie del lungo lockdown che ha rinchiuso l'artista nella sua magione-studio, sola con i suoi spettri interiori, partorendo un'opera sul distacco e la lontananza. Tale compostezza si può intuire già dall'impostazione vocale dell'ex-"goddess of rock": posata, sussurrata, praticamente mai sopra le righe; sicuramente motivata dalle corde vocali non più robuste come un tempo ma, comunque, perfettamente coerente con la proposta artistica di quest'ultima fatica, dove le composizioni scorrono sempre sul filo della sufficienza, snodandosi tra melodie talvolta più che convincenti, soprattutto quando si rifugia sul sempre collaudato filone figlio di "
Scarlet's Walk" ("Ocean To Ocean") o quando sfrutta il rinnovato sodalizio con Chamberlain ed Evans per cambiare marcia ("Spies" e "Metal Water Wood").
Proprio il ritorno dei due fidi compagni di viaggio, spariti dai suoi radar nel lontano
2009, sembra aver stimolato Tori ad alzare leggermente l'asticella posta con il prudentissimo e mai temerario "Native Invader", migliorando anche il livello della produzione generale del disco. Sono tuttavia ben lontani i tempi d'oro di quando sceglieva solo il meglio come fu per "Strange Little Girls"; la realizzazione resta sempre "casereccia" e alla chitarra non abbiamo certo un monumento come
Adrian Belew ma la ormai consueta versione del discount impersonata dal marito Mark Hawley.
È questo probabilmente il principale peccato della Tori Amos di oggi, l'ormai cronica rinuncia a rimettersi completamente in gioco, affidandosi a un produttore esterno che sappia assisterla nella scrematura e visione critica delle buone idee che comunque continuano timidamente ad affiorare, facendo fuori tutti quei riempitivi adatti solo ad allungare il brodo. Ad esempio, si fa fatica a motivare la presenza di brani come "Swim to New York", che si avviluppa su soluzioni banali alla ricerca di un climax emotivo telefonato che alla fine non arriva mai, o momenti dozzinali come "How Glass Is Made" e "29 Years".
È un vero peccato, perché Tori riesce tuttora a stupire, come nel tango "Birthday Girl", dove spara una bomba delle sue:
He had to slash
Your confidence
You don't need a party for a party dress
After all it was you who
Taught him his dance steps
Ottimo episodio anche la felice melodia di "Devil's Bane", fresca e sbarazzina, per non parlare dell'
uptempo di "Spies" che sembra proseguire il felice esperimento di "Up The Creek" con il pregio di abbandonare improbabili campionature a favore del fenomenale duo basso/batteria presente a questo giro, non dimenticando la già citata "Metal Water Wood", dove la voce di Tori finalmente esce fuori dal porto sicuro, trascinata da una base ritmica irresistibile.
Un sicuro passo avanti rispetto alla precedente innocua opera, ma ancora lontano dal lampo avuto con "Unrepentant Geraldines", il quale aveva nel suo arco frecce al momento fuori portata come "Oysters", "America", "Wedding Day" o la
bonus track "Forest Of Glass".
Chiudiamo con una provocazione: perché continuare a proporre dei
full-length quando solo un anno fa l'Ep natalizio "Christmastide" confermò quanto potesse giovare un formato più ristretto alla sempre strabordante signora Amos? Benedetto dono della sintesi...
01/10/2021