Come un bambino sporco tutto quel che tocco
(“Zitti”)
In realtà Candra impreziosisce tutto quello che canta e suona. E lo fa scivolando da un piano all’altro, attraverso canzoni efficaci al primo giro, dove il canto autobiografico di un disagio perenne muta a seconda del momento.
Cantautorato italiano d’autore tout court e sangue a fiumi. Lo stile di Candra è profondo, sfuggente, penetrante, denso. Elettronica ragionata, squarci rock, riff sornioni, ascese armoniche e cadute romantiche: “Bonola Boy” raccoglie dieci istantanee di vita, tra demoni, mostri, profumi di cocomero e di mare (“La canzone di Beatrice”).
La stazione metropolitana di Bonola è l’inferno figurato da cui partire per definire un vuoto a tratti apparentemente incolmabile. Accade così che nel secondo episodio della title track, “Bonola Boy” (Duomo), i fallimenti, la rabbia, i rancori e l’astinenza si incrocino quasi spaesati lungo i binari, tra un improvviso sussulto ritmico e poche note al piano, buttate lì, tra un colpo di tosse e un treno in partenza.
Candra prende la metro per raggiungere Lodi, e descrive passo dopo passo le “fermate” che attraversano la sua mente. Una via crucis interiore, in cui melodie soul alternate a battiti in crescendo si infilano sottopelle come, appunto, un ago (“Nuova canzone”).
L’obiettivo dichiarato di Candra è raggiungere il Capanno, la casa di fortuna di due spacciatori dislocata tra due binari della vecchia stazione di Rogoredo. Ogni canzone, ogni singolo movimento traccia dunque una sorta di itinerario. Melanconici ricordi prendono poi il largo qui e là, come nella sentimentale “Ragazza temporale”, una di quelle ballate che si conficcano in testa all’istante, a cominciare dal refrain immediato. L’ordine stesso delle canzoni rispecchia a sua volta il trip dantesco di Candra.
Il decadimento di tutto e il suo contrario è cantato sia con sarcasmo che presa di coscienza nel terzo capitoletto della sopracitata title track, “Bonola Boy (Il capanno)”. Candra urla il proprio malessere tra riff e distorsioni, ed espone a chiare lettere la sua guerra alla tossicodipendenza. Tutto prima della chiosa tanto birichina quanto decadente di “Io no”, altra narrazione topica del suo diario di bordo. Alessandro Brondi, in arte Candra, è solo con la sua chitarra, prova a consolarci e a consolarsi, si dimena e spiega: “Non capisco se posso smettere. Ve lo dicevo sempre. Ma non ci ho creduto mai, neanche per un istante”.
“Bonola Boy” è il coraggioso album d’esordio di un cantastorie ferito e sinceramente ispirato. Ad maiora.
10/06/2022