Che i Måneskin siano un fenomeno di costume più che musicale è ormai un dato di fatto. La sovraesposizione mediatica, giunta sino al recentissimo matrimonio poligamo a Roma, non arretra di un millimetro e dal canto suo il quartetto - in questo parco giochi dell’informazione - sembra sguazzarci a meraviglia.
Con “Rush!” i Måneskin abbandonano ormai quasi del tutto la lingua italiana (utilizzata solo in tre brani su diciassette) facendo chiaramente capire che il loro vero obiettivo è il mercato internazionale e - per continuare a dominarlo - si affidano alla produzione di Max Martin (già alla console per Lady Gaga, Katy Perry, Britney Spears, Ariana Grande, ecc). Se il dilettantismo degli esordi è ormai un ricordo, quello che c'è da dire su “Rush!” non è molto diverso da quanto già detto sul precedente "Teatro d’ira”, di cui il nuovo lavoro rappresenta per certi versi un’evoluzione e per altri una conferma.
Nonostante i diciassette brani (è il loro Lp più lungo) in realtà tutto potrebbe essere sintetizzato in due capitoli: da una parte troviamo i cloni di “Zitti e buoni” con la ricerca del riff giusto a metà strada tra rock e funk (la maggior parte delle canzoni) e dall’altra parte il tentativo di trovare una nuova ballata rock in stile “Coraline”, stavolta prova tendenzialmente fallita con momenti scontatissimi come “If Not For You” o “Il dono della vita”.
L'impressione è che i Maneskin siano in parte schiacciati da queste due hit e che continuino a scrivere le stesse due canzoni con piccole variazioni.
L'ascolto scorre faticosamente tra brani troppo simili, mai veramente interessanti, fondamentalmente destinati all'insignificanza all’interno della scena rock odierna. Colpisce come la tanto strombazzata collaborazione con Tom Morello nel singolo “Gossip” si riduca a un assolo di pochi secondi, mentre “Feel” o “Bla Bla Bla” sembrano pensati solo per far cantare il pubblico dei palazzetti. Il brano migliore, tra quelli tradizionalmente rock, è certamente “La fine”, a metà strada tra “Zitti e buoni” e “In nome del padre”.
In tutto questo rock prevedibile ci sono però da segnalare due novità. “Kool Kids” è qualcosa di completamente anomalo nella discografia dei Måneskin, praticamente puro post-punk con un canto quasi irriconoscibile e soprattutto un’intro di basso convincente. Nonostante sia ispirato in modo spudorato agli Idles e in generale a tutta la scena post punk odierna, credo che si possa dire che sia il miglior brano mai scritto dalla band romana, almeno tralasciando il testo forzatamente volgare: un inno all’edonismo più sfrenato, dove la rozzezza non nasce dalla rabbia, ma dal conformismo e dal desiderio di creare un nuovo tipo di pubblico.
Infine “Gasoline”, con testi antimilitaristi, è il secondo brano non prevedibile, sia nell'intro di basso che nella melodia e nell'irruento finale.
Un po’ poco per un disco di cinquantadue minuti, ma forse potrebbero essere questi due brani un punto di partenza per un futuro meno scontato.
23/01/2023