“C’è qualcosa di insondabile nei sogni: un ombelico li unisce all’ignoto”. Così affermava Sigmund Freud nel suo “L’interpretazione dei sogni”. Il padre della psicanalisi sottolineava quindi l’aspetto magico del sogno, che ci connette a qualcosa che non sappiamo di noi e dell’universo. Un altro psicanalista, Wilfred Bixion, sosteneva che non sogniamo solo mentre dormiamo, ma lo facciamo anche durante la veglia: è l’attività che ci permette di “pensare i pensieri”. Quanti libri sui sogni avranno letto i protagonisti del dream-pop, genere quantomai attuale in una realtà cinica e materialista come la nostra? Questo filone, assieme all'affine shoegaze, rappresenta da decenni la possibilità di sognare a occhi aperti e vagare con la mente costruendo immagini “oniriche”. Strati di chitarre, voci sussurrate, tempi lenti e melodie malinconiche hanno fatto la fortuna delle band primigenie (Ride e Slowdive in primis, tornate di recente a calcare i palchi con più successo di prima) e di uno stuolo di interpreti che dopo gli anni 90 hanno personalizzato il verbo dream. Dai Beach House ai Daughter, c’è solo da scegliere per innamorarsi di questa musica.
Di questa seconda generazione fanno parte gli Air Formation, band britannica che dal 1998 interpreta il dream-pop nella sua versione da manuale, concentrandosi sulla funzione primaria di farci “pensare i pensieri”. Matt Bartram, Ben Pierce, Richard Parks, James Harrison e Ian Sheridan hanno percorso un loro itinerario non curandosi di successo commerciale o critica e offrendo agli ascoltatori la possibilità di chiudere gli occhi e sognare. Perché la loro musica crea scenari ma a differenza dell’ambient evoca emozioni anche se in modo discreto ed “equanime”. Prova ne sono i cinque album prodotti finora, di cui probabilmente “Nothing To Wish For (Nothing To Lose)” del 2010 è il più bello.
Gli Air Formation tornano dopo sei anni di assenza (l’ultimo album era “Near Miss” del 2018) con il nuovo “Air Formation”, che già dal titolo manifesta una dichiarazione di identità: questa è la nostra musica, vi piaccia o no. In uscita per l’etichetta Club AC30, l’album presenta una band in salute e concentrata a offrire il meglio di sé, consapevole che la sua musica serve a rendere le nostre vite ricche di emozioni e gentilezza. Ed è proprio la gentilezza che sgorga dalla prima traccia in scaletta, quella “Pressure Drop” che con il suo arpeggio lontano di chitarra ci invita ad abbandonarci mentre la batteria crea quel po' di tensione che prepara l’arrivo del cantato di Matt, flebile e sepolto dai suoni. Perché la voce, nel dream-pop, è un richiamo, un canto delle sirene, un sussurro che attira l’attenzione per far scattare la “trappola” dell’emozione carpita.
Il singolo “Finding Gravity” si concede un incedere rock che accenna l’idea di avere una canzone di riferimento. Ma è solo un accenno, perché il brano si prende la responsabilità di guidarci nella malinconia immaginifica tipica dei loro brani. Per gli Air Formation, infatti, la cosa importante non è creare canzoni memorabili (cosa che riesce bene agli Slowdive) ma creare un’atmosfera, un labirinto in cui perdersi. I loro brani sono funzionali a questo, come per esempio “Crashing Out”. Introdotto da una chitarra leggera viene poi arricchitaole tastiere e da una linea di basso sinuosa che accarezza chi ascolta.
Tutto poi torna nella finale “The Final Wave”, in cui gli accenni di una pausa (dal sogno?) sono subito interrotti da un riff di chitarra che chiama alla contemplazione: di noi stessi, del mondo, del sogno. Una chiusura energica per un album che è, come detto, da prendere o lasciare. L’accenno di monotonia è solo una vaga sensazione che nulla toglie alla poesia della band. Avete ancora voglia di sognare e, soprattutto, ve lo meritate? Allora la musica degli Air Formation è qui per voi.
14/05/2024