Clarence Clarity non ama fare le cose a metà. Completando a tre anni di distanza la bilogia lanciata dal suo Ep "Vanishing Act", il trentanovenne londinese licenzia un concentrato di 37 minuti di hyperpop, funk, rock, colorato da una tavolozza sonora talmente satura e scomposta che al confronto ogni colpo di testa di Prince può dirsi morigerato. Se nel 2015, per il debutto "No Now", la parola d'ordine era hypnagogic pop, oggi è chiaro che l'orizzonte del musicista è (e forse è sempre stato) decisamente hyper: la voce è filtrata, distorta, il sound è sovrassaturo e coloratissimo; eppure c’è un’attenzione all’armonia, al songwriting e al dettaglio che per il genere è una rarità.
Nelle 10 tracce dell’album, Clarence Clarity frulla synth-funk caleidoscopico, grinta rock e intermezzi soul, con la disinvoltura noncurante del bedroom pop ma una maestria produttiva che regge il confronto con le punte più progressive dell'rnb/soul attuale (KNOWER, mk.gee, Hiatus Kaiyote).
Ogni pezzo è una sorpresa, una vetrina di sonorità che giocano con nostalgia e modernità: "The Greatest Living Musician, Found Dead" è una scarica di adrenalina, capace di fondere chitarroni da hard rock anni Ottanta, accenti vocali emo-pop, e interruzioni di stranianti found sounds. Accenni a un'alimentazione adolescenziale basata su Mtv si mescolano con sicurezza alle melodie pop più trasparenti e a repentini voltafaccia: "What Year Is This?!?! JFC" e "Old King, The World Moved On" ricordano l’rnb ipercommerciale di Backstreet Boys e *Nsync, combinato però a toni graffianti e a un mordente che ne trasfigura il cliché. Con "Allatonceness", si passa da un bubblegum-pop filastroccante a un ritornello esplosivo, buttandosi poi su un assolazzo di chitarra che di punto in bianco scompare nel fade out.
La vena compositiva è audace, sfacciata, perfino “proibita”. Si prenda ad esempio la ballatona "Guinevere", che chiude il disco su melasse tardo-Eighties: costruita la sua atmosfera languida, resa elegante da un passaggio di classe sulla quarta minore, scivola via via in una coda liquida e spiazzante alimentata da futuristici cambi di tonalità.
In "To Be A Bat", il contrasto è sottile ma dirompente: una chitarrina funky che si inserisce tra linee di basso sintetico, scuro e pesante. E in "Playing Our Parts", Clarence butta un passaggio chiptune dalle sfumature assai spooky in mezzo a esuberanti hook da boyband, con falsetti che flirtano gigioni con il pop di Max Martin.
Esilarante, sfrontato, pazzoide, ma raffinato anche nelle scelte più equilibristiche, "Vanishing Act II: Ultimate Reality" è un’avventura sonora contagiosa e galvanizzante, capace di stordire e divertire a ogni nuovo ascolto.
07/11/2024