La trasfigurazione della tradizione folk attraverso le maglie dell’elettronica non rappresenta una novità. Le radici folk, country, blues da sempre alimentano nuovi linguaggi e forme sonore: è già accaduto con la musica classica, con la musica pop-rock, con la new age e perfino con il synth-pop.
I Gordan sono un trio paneuropeo che attinge dalla tradizione orale della musica dei Balcani per un’operazione culturale e artistica per nulla convenzionale: una straniante lettura della tradizione, infettata da sonorità potenti di tamburi, feedback e voci, dove l’unica liturgia da rispettare è la verità, più che la purezza.
La formazione è composta dal batterista austriaco Andi Stecher, dal bassista e abile manipolatore di elettronica e noise/feedback Guido Möbius e dalla voce unica di Svetlana Spajić, cantante e performer serba, già nota per le collaborazioni con Marina Abramovic, Robert Wilson, Anohni Hegarty, William Bansinski e recentemente coinvolta nell’eccelso album dei Lenhart Tapes “Dens”.
La struttura del secondo album dei Gordan è apparentemente grezza: una contaminazione tra world music e sperimentazione, ricca di quella tensione più percepibile in una dimensione live che in quella di uno studio di registrazione. Le otto tracce sono come materiale di laboratorio in perenne scomposizione e trasformazione. Le sferzanti sonorità quasi post-industrial cercano di dividere il silenzio dal rumore, dando vita a una tensione palpabile e a tratti inquietante, un mix di sacro e profano che trova esegesi nella oscura e rituale preghiera di “How A Mountain Fairy Divided The Two Jakšić Brothers” e nell’ancor più radicale matrimonio tra noise, dark e free-jazz di “Selo Moje”.
La musica dei Gordan non ha come scopo quello di essere percepita attraverso il linguaggio del corpo, è viceversa viscerale, priva di qualsiasi ornamento, è un suono antico e primordiale che scuote come un big bang, tra ritmi ossessivi graffiati da feedback e noise ("Šara") e antichi cerimoniali spogli e aspri eppur magicamente ammalianti al pari dei Laibach (“Barabinska”).
L’album dei Gordan è un dialogo a più voci sulla morte, sull’ineluttabilità del tempo, sul caos dell’umana condizione. Un possente fardello espressivo affidato al canto microtonale di Svetlana Spajić, una voce che, nel rispetto della tradizione, si sottrae alla perfezione tecnica per un’autenticità che scava sottopelle (“Ne Spominji Oči Plave”, “O Nikola”).
In questo contesto quasi stride il trascinante groove ritmico, strumentale e vocale di “The Bell Is Buzzing”, unico momento di crossover tra passato e futuro: una tracimante e atipica canzone quasi pop che inganna e cattura i sensi, lasciando l’ascoltatore in un incerto oblio.
25/08/2024