Senza dubbio sono due gli album più attesi dell'anno in corso, due opere legate concettualmente all'art-rock, due dischi ai quali è affidata la riprova dello stato della musica nell'era dello streaming e degli ultimi sospiri di un mercato discografico in coma. Nell'attesa che l'annunciato nuovo progetto di Joanna Newsom diventi realtà, un tripudio di colori e suggestioni fa strada a "Something In The Room She Moves", ritorno discografico di Julia Holter a ben sei anni di distanza dall'ultimo "Aviary" (unica eccezione la colonna sonora per "Never Rarely Sometimes Always"), ennesima conferma della rigorosa scelta dell'artista americana di non ripetere mai lo stesso cliché creativo.
Malgrado un giustificato bias cognitivo induca ad associare al titolo dell'album i Beatles di "Abbey Road" (l'artista ha dichiarato di aver pensato ai Beatles sia quando era incinta sia quando cantava la ninna nanna al figlio), c'è un'ulteriore ragion d'essere per "Something In The Room She Moves", che va ricercata nella forse più banale, ma reale, difficoltà che Julia Holter ha affrontato nel periodo pandemico e post-pandemico: come molti suoi colleghi, anche la Holter ha dovuto combattere con la stasi dell'ispirazione, non trovando conforto neppure nelle arti attigue (letteratura, cinema, pittura).
Per sconfiggere lo stallo emotivo e creativo, l'artista statunitense si è concentrata sul presente, sull'immanente: poter catturare l'attimo fuggente e la caducità dei sentimenti è stato il vero centro nodale di un disco ancora una volta poco allineato, un'esplorazione dell'anima e delle sue connessioni fisiche e sentimentali. I continui problemi di salute di alcuni membri della band nonché personali (per un periodo Julia non ha potuto cantare), hanno scompaginato una routine produttiva che la Holter ha definito tossica.
"Something In The Room She Moves" è un duro schiaffo alla logica dell'iperproduttività ad uso e consumo dello streaming, nonché della visibilità a discapito della qualità, un disco concepito con un'etica che appartiene al passato. Ci sono un'ingenuità, un azzardo intellettuale, un'attenzione alle imperfezioni più che all'estetica: una scelta artisticamente vincente.
Al di là del futuristico valzer condito da acrobazie di strumenti a fiato, fretless bass e grida di synth analogici di "Spinning", questo è senza dubbio l'album dove la seduzione della musica pop resta ai margini. Anche lo stesso testo della canzone sopracitata, uno dei tre singoli che hanno anticipato la pubblicazione, è ricco di riferimenti colti ed è altresì un omaggio alla poetica visionaria di Robert Wyatt e al delizioso mondo fantastico di canzoni come "Sea Song".
È dolcemente surreale, "Something In The Room She Moves". Ognuna delle dieci tracce evoca emozioni e suggestioni descrivibili con un numero spropositato di aggettivi. Quel che differenzia la musica di Julia Holter da altri maghi dell'architettura post-moderna è la sostanza delle composizioni. Nei tre minuti e quarantanove secondi di "These Morning" è custodita l'arte del movimento ritmico senza alcun ricorso a batteria e percussioni, un brano onirico e pulsante che con pochi accordi di piano elettrico e sax si colloca in un immaginario a metà strada tra David Sylvian e Joni Mitchell, fino a diventare un mantra dai toni pagani che Julia Holter intona con un incalzante loop lirico: just lie me, just lie me, just lie me...
Chiedetevi quanti artisti possono oggi permettersi il lusso di intonare un brano a cappella (complici Ramona Gonzalez, Jessika Kenney e Mia Doi Todd) con poche sparute note e sottoporle a una così ricca variazione cromatica e senza cedere alla prevedibilità del gospel ("Meyou"), ma non bramate alcuna risposta, l'incommensurabile è arte concessa a pochi eletti.
Nessun timore, nonostante le ambiziose premesse e le auliche forme poetiche, il nuovo album di Julia Holter non smentisce le peculiarità empatiche dell'artista, una delle poche abili nel rendere accessibili linguaggi sonori contrariamente alieni al pubblico. La lunga title track è in tal senso esemplare della destrutturazione e dell'astrazione che Julia ha trasformato in linguaggio musicale contemporaneo e popolare. Come Kate Bush in "Aerial", Holter si diletta con melodie mai definite, facendole roteare e librare in algide atmosfere che pian piano si infiammano al suono del sax e del piano elettrico, quest'ultimo in perenne dialogo intergenerazionale con suoni massivi di synth e flauti: la dolcezza non è mai stata così profonda, intensa, struggente.
Anche quando sembra che ci si dileggi con cliché avant-pop, si percepisce qualcosa di soprannaturale e magico, accade così che la voce diventi a sua volta strumento nella splendida ballata jazz-noir "Materia" o che fluttui con inedita spiritualità e sensualità nella poetica e dolente "Who Brings Me", sulle cui note finali si spegne l'album.
Il termine caleidoscopico si addice perfettamente a "Something In The Room She Moves", ognuna delle canzoni prende spunto dagli stessi elementi creando immagini e suoni diversi, un'eterogeneità che dona luce e sfumature al cupo romanticismo jazz-folk di "Evening Mood" e brulica di richiami - da Sun Ra a Kate Bush, da Mark Hollis a Bjork - nella lenta combustione di jazz, prog, folk e neoclassica di "Talking To The Whisper".
L'abilità di Julia Holter nel gestire pop e musica colta, del resto, è palese già dalle prime movenze: il minimalismo lirico di "Sun Girl", brano che apre non a caso la sequenza del progetto, è erede di una tradizione che ha affondato le radici nel blues, si è evoluta con la musica jazz ed è alla base della contemporaneità culturale e sociale del rap, quel che accade intorno è l'ennesima sintesi di world music e avantgarde che Holter dispensa dagli esordi targati 2010.
Tutto l'album è un continuo incastro di tradizione e rinnovamento, di composizione e improvvisazione, di algide emozioni e slanci infuocati. Un oceano di sonorità e possibilità ereditate dal passato e da consegnare al futuro. Ed è proprio in "Ocean" che questo processo creativo viene rappresentato nella sua interezza: il suono del clarinetto di Chris Speed è alterato prima con sembianze etniche per poi assumere toni a metà strada tra drone-music ed elettronica sperimentale, mentre la voce di Julia resta nell'ombra, assente come il colore nero nell'oscurità.
L'ultimo progetto di Julia Holter è come il labirinto di Cnosso: novella Arianna, l'artista americana ci offre il filo per poter ritornare indietro, ma più che seguire le orme di Teseo, questa volta sarà più saggio perdersi e fare conoscenza con il Minotauro, l'arte senza rischio o azzardo non ha ragione di essere.
"Something In The Room She Moves" è l'album più temerario degli ultimi tempi, dieci tracce per 54 minuti di colte e lussuose intuizioni artistiche, un incanto senza fine.
22/03/2024