Come il beat dritto e molesto di Gigi D’Agostino ha segnato le piste delle nostre discoteche di provincia, così la cassa in halftime di Skrillex - sgraziata, insistente, inconfondibile - ha dato un’identità sonora alle notti della generazione sbocciata tra SoundCloud e Discord. Da lì riparte "Fuck U Skrillex You Think Ur Andy Warhol But Ur Not!!", che scardina e riassembla la sua stessa eredità con slancio autoironico e una lucidità affilata.
Un album mixato, un flusso cangiante e quasi carnevalesco in cui si alternano - con tempismo da giocoliere - tutti i trucchi della cassetta degli attrezzi brostep.
In "Recovery" le segmentazioni stutter (da cui poi un intero filone a cavallo fra house e post-dubstep) e i riser costruiti su passa-alto e successivi raddoppiamenti del beat. Ecco poi in "Things I Promised" e "Druids" le melodie bubblegum spezzate, che avevano reso "Scary Monsters And Nice Sprites" un tormentone globale. "Ultra Intro Vip" affonda nei bassi monstre, "Look At You" li riprende e li accosta a frammenti drum’n’bass e alla presenza, sorprendente ma quasi impercettibile, di Jónsi dei Sigur Rós. E poi, ovviamente, il drop: totemico oggetto di culto di quegli anni, qui reinventato però in una forma più fluida e giocosa, senza quella meccanica modalità schiacciasassi che ai tempi ne aveva rapidamente fatto una lama spuntata. Quando però lo si impiega di nuovo per inseguire fino in fondo la botta adrenalinica, come in "Morja Kaiju Vip" o "Jungundra", la vecchia magia torna a sorprendere come non succedeva da un pezzo.
Tutti gli stratagemmi a disposizione ricondensano in "Voltage", dove grinta e zucchero fanno il paio con la consueta voce high-pitched, sparata in cieli quasi nightcore. Manca senz’altro nel disco il pezzo da ko (forse la synthwave videogiocosa di "San Diego Vip"?), ma per la noia non c’è tempo: a ogni idea viene concesso il tempo esatto per mostrarsi, colpire e preparare il campo alla prossima. Che può prendere il volto dei synthoni da dance estiva di "G2G", delle incursioni ragamuffin che animano "Dnb Ting" o della cavalcata stile Underworld di "Zeet Noise" (in combutta con Boys Noize, altro nome caldo dell'epoca). O, ancora, della deviazione trap offerta da "Momentum", eco ammodernata di una stagione in cui l’ubiquità nel featuring bastava al producer per restare a galla.
Qui però l’ibridazione torna a essere linguaggio, non ripiego. Nessuna reinvenzione, ma il miglior autoritratto possibile: uno specchio distorto ma fedelissimo del caos tritatutto che Skrillex ha contribuito a creare.
21/04/2025