Storia e cronologia
Il 9 gennaio 2006 la Record Makers, di proprietà degli Air, immette sul mercato francese un vinile intitolato “Teddy Boy”, a nome Kavinsky. Il musicista si chiama in realtà Vincent Belorgey: all’epoca attore di basso profilo, tramite le sue conoscenze riesce a rimediare un contratto per l’etichetta.
Kavinsky è il suo alter ego e compare da subito in copertina, con tuta, giubbotto nero e occhi iniettati di sangue. Nel corso degli anni, tramite le interviste, si viene a sapere che si tratta di uno zombie, tornato in vita per cercare la fidanzata. Una trama di fondo blanda e tutto sommato pretestuosa, appena accennata in qualche canzone, comunque successiva a “Teddy Boy”, che è interamente strumentale.
Visto cosa sarebbe giunto in seguito, il vinile in questione è oggi considerato l’inizio di un nuovo genere e uno dei punti di svolta della musica elettronica contemporanea. Tuttavia, a riprova di quanto la percezione sia influenzata da fattori extra-musicali, non è peregrino immaginare che, qualora “Teddy Boy” non avesse esercitato alcuna influenza, oggi lo si vedrebbe come l’ultimo codazzo di un french touch ormai morente, che andava liberandosi delle strutture della musica house.
Basti vedere il contesto: nel 2005 i Daft Punk avevano pubblicato “Human After All”, che contiene brani oggi classici come “Robot Rock” e “Technologic”, ma che si è in realtà avvalso della fortissima rivalutazione incontrata dalla band nel decennio successivo. Appena uscito fu invece un clamoroso fiasco commerciale.
Per il resto, progetti come Modjo e i Cassius non si facevano sentire da anni, mentre Alan Braxe non era più riuscito a bissare il successo di “Music Sounds Better With You” (a nome Stardust). “Teddy Boy” si innestò con precisione in questo percorso di declino, passando sostanzialmente inosservato, eccezion fatta per qualche addetto ai lavori particolarmente attento. Nel disco è contenuta “Testarossa Audiodrive”, il primo pezzo synthwave, il testo sacro. Ispirati forse dall’ascolto, o semplicemente cresciuti nello stesso humus culturale che generò Kavinsky, l’anno successivo alcuni musicisti francesi, di stanza a Nantes, formano il collettivo Valerie: ne fanno parte David Grellier (in arte College), Frédéric Rivière (Anoraak), gli Outrunners, e altri nomi minori.
Per qualche anno le coordinate sono quelle di un gruppo di produttori francesi che, partendo dalle ceneri del french touch, si voltano indietro a guardare verso il synth pop degli anni Ottanta (del resto, si parla degli anni Zero, il decennio del revival synth pop su larga scala). Sembra più una combriccola di carbonari, che un movimento vero e proprio.
Le cose cambiano nel 2010, anno in cui si fanno notare alcuni dischi importanti (il debutto di Lazerhawk su tutti), che oltre a esercitare un grosso fascino sulla synthwave a venire, ne mettono in piedi il meccanismo sociale e strutturale intorno a cui ruoterà, di fatto estraendola dal contesto di un gruppo di amici francesi e rendendola cosa mondiale, seppur sotterranea.
Non è tuttavia semplice capire come ciò avvenga, e più in generale non è semplice individuare le dinamiche che muovono la scena. Sono stati prodotti documentari sulla synthwave, YouTube trabocca di video che la illustrano e fungono da guida all’ascolto, ma nessuno riesce a essere mai particolarmente preciso: non è per esempio chiaro quando sia nato il termine (attenzione, fra le altre cose, a non confonderlo con "synth-wave", col trattino, che indica uno specifico genere di pop elettronico sperimentale risalente agli anni Ottanta).
Il significato è facilmente spiegabile, trattandosi di musica interamente poggiata sui sintetizzatori, ma quanto sia poco ufficiale lo dimostra il fatto che siano sorte una manciata di denominazioni alternative, che molti utilizzano al suo posto: outrun, retrowave, futuresynth, solo per dire le più note.
Questa difficoltà nell’afferrare la synthwave è dovuta a un fatto ben preciso: a partire dal 2010 il movimento diventa figlio della Rete. In quell’anno nasce Rossa Corsa Records, etichetta virtuale gestita da Garrett Hays (Lazerhawk) e Mike Glover (Miami Nights 1984). Non è neanche chiaro se i due si siano mai incontrati di persona per fondarla: uno è texano, l’altro vive sulla costa occidentale del Canada. Del resto, la synthwave annienterà di lì a breve il contesto geografico. Basandosi sulla Rete, non ha bisogno di una scena locale. La dice lunga già il fatto che sia nata in Francia e che poi a un certo punto sia stata lanciata su grande scala da musicisti dall’altra parte dell’Atlantico, del tutto estranei al giro iniziale, ma che probabilmente avevano ascoltato quella musica da qualche parte su internet.
La Rossa Corsa non sarà che la prima di una miriade di nuove etichette: a partire da quel momento viene immessa in Rete, spesso senza trovare sbocco su formato fisico, una mole infinita di album che viaggiano all’interno di uno spettro specifico di sonorità (spettro che si allargherà poi col passare degli anni). Un dedalo di pubblicazioni indipendenti, prima centinaia, poi addirittura migliaia l’anno.
Il concetto è ben presto chiaro: chiunque abbia una connessione può entrare a far parte della scena. Si aggiunga che proprio nel 2010 compare dal nulla l’altro grande fenomeno digitale del nuovo millennio, la vaporwave. Il caos è totale.
La critica ufficiale non prova neanche a mettere ordine nel pandemonio, che attraversa così il decennio indisturbato, praticamente parallelo a tutto il resto della musica e assente da qualsiasi rivista che conti (Pitchfork in primis). Del resto le riviste sono abituate a poggiarsi su etichette con una distribuzione fisica, o quantomeno che seguano canali tradizionali, con tanto di comunicati stampa, comunicazione coi manager e via dicendo. Elementi completamente estranei alla synthwave.
Non si sviluppa pertanto una letteratura ufficiale, e questo potrebbe essere uno dei suoi aspetti più salutari: libera dalle costrizioni sociopolitiche della critica musicale contemporanea, prosegue imperterrita per anni senza necessità di adeguarsi ai trend esterni. Quando evolve, lo fa variando le dosi degli elementi interni al suo universo.
La synthwave sviluppa così a poco a poco una comunità nel sottobosco virtuale – fra i forum di Reddit e 4chan – che a sua volta fa affidamento, per la distribuzione, su siti come YouTube, Soundcloud e Bandcamp.
Le scene locali non sono l’unica cosa che ne esce disgregata: lo stesso concetto di etichetta discografica perde di senso. Spesso si tratta di semplici account su YouTube che sono riusciti a farsi strada nel marasma grazie a qualche brano fortunato (o all’algoritmo), e che forti del pubblico acquisito attirano i produttori in cerca di un po’ di visibilità, generando così un circolo virtuoso.
Per certo, dal 2010 in poi nella synthwave non esisteranno più etichette che finanzino l’artista, che lo mettano sotto contratto, che ne gestiscano l’immagine. Esisteranno semplicemente dei canali di distribuzione che riceveranno dagli artisti prodotti finiti e li gireranno senza costi aggiuntivi al pubblico di tutto il mondo, a portata di clic.
Arrivati al 2020, a livello di meccaniche poco è cambiato, se non che le proporzioni sono andate a poco a poco ingrandendosi, ogni volta che l’universo in questione ha attratto corpi a sé estranei, piegandoli alla propria estetica (e mai viceversa).
Un grosso salto verso il resto del mondo avviene nel 2011, con “Drive”, film di Nicolas Winding Refn che contiene sia brani già editi (“Nightcall” di Kavinsky, “A Real Hero” di College e Electric Youth), sia un sottofondo strumentale in quello stile. Si inizia così a parlare di questo tipo di musica all’infuori dei pochi appassionati della prima ora.
Nel 2012 è l’industria dei videogiochi a entrare in campo, con “Hotline Miami”, dello studio indipendente svedese Dennaton, che ricorre alla synthwave sia per l’immaginario, sia per la musica. L’anno successivo tocca addirittura a un titolo su major: “Far Cry 3: Blood Dragon”, della Ubisoft.
La consacrazione definitiva arriva però nel 2015, con il fortunatissimo “Hotline Miami 2” e con due film indipendenti, anzi il secondo addirittura amatoriale: il canadese “Turbo Kid” e lo svedese “Kung Fury”, che diventa oggetto di culto in tutto il mondo.
A partire da quell’anno la popolarità del genere si impenna e le ricerche su Google di termini correlati hanno un’impennata vertiginosa. L’influenza sulla musica mainstream che ne consegue nel giro di pochi anni non è che una diretta conseguenza della pervasività, pur lontana dai riflettori, avuta dal genere a livello di diffusione.
La stampa, in barba a tutto ciò, insiste a rimanere impermeabile al fenomeno, anche dopo che The Weeknd – sicuramente la popstar con l’orecchio più raffinato – ne ha mandato le sonorità al primo posto in classifica nell’intero pianeta, con “Blinding Lights”.
(F. Romagnoli)
Estetica e sonorità
Wikipedia definisce la synthwave come un genere di musica elettronica influenzato dalle colonne sonore di film e videogiochi anni Ottanta. Le fonti sono esatte, ma è discutibile che si tratti soltanto di un genere di musica elettronica: la synthwave porta dietro di sé un’intera estetica, partita sì dalle copertine dei suoi primi album, ma in seguito capace di reggersi anche senza la musica. È facile incontrare nei vari forum sparsi per la rete artisti indipendenti che pubblicano paesaggi e composizioni visive ispirati dalla synthwave, senza alcuna musica abbinata. Alcuni fra loro hanno un account su Patreon che utilizzano per farsi finanziare: insomma, c’è chi è riuscito a farne il proprio lavoro.
Uno dei termini alternativi con cui viene indicato il movimento, come già accennato, è “outrun”. Si discute all’interno della comunità se le due parole siano perfettamente sovrapponibili o meno. Ci sono almeno tre scuole di pensiero al riguardo: chi appunto le considera sinonimi (la maggioranza, pur non egemone); chi ritiene abbiano indicato la stessa cosa soltanto all’inizio, prima che il genere andasse espandendosi, e che in seguito l’outrun sia da considerare solo come una delle varie sottocorrenti; chi infine pensa sarebbe opportuno indicare la musica con “synthwave” e l’estetica a corredo con “outrun”.
“Outrun” era il titolo di uno storico videogioco arcade pubblicato dalla Sega nel 1986. Consisteva in una serie di gare automobilistiche, nel cui livello più celebre si sfrecciava fra le palme e le spiagge di un paesaggio simile a quello di Miami Beach.
Se si osservano le copertine e i video di molti progetti synthwave, o appunto i paesaggi distribuiti nei vari forum, si noterà un gran dispiego di automobili, spesso impostate con la stessa prospettiva visuale del videogioco in questione, oltre a palme e sfondi marittimi. Per questo motivo il titolo è stato preso di peso per indicare il movimento (o almeno la sua estetica), benché anche in questo caso, mancando una letteratura ufficiale, non si riesca a ricostruire quando si sia iniziato a farlo.
Synthwave o outrun che la si voglia chiamare, è un’estetica che può considerarsi in continua espansione: quando è nata non aveva per esempio i connotati cyberpunk che avrebbe assunto in seguito (del resto completamente estranei anche al videogioco originale), e anche quando questi sarebbero arrivati, una grossa ala del movimento gli sarebbe comunque rimasta immune.
In seguito, nella comunità si è iniziato a differenziare le uscite in una serie infinita di sottocorrenti. Se inizialmente la cosa poteva essere utile, è bastato poco per farla degenerare in un autentico marasma, con anche solo mezza dozzina di dischi sufficienti per dare vita a una nuova diramazione, seguendo quell’ipertrofico metodo di nomenclatura che da sempre interessa (o per meglio dire, piaga) la musica elettronica. Non perderemo quindi tempo a descrivere le varie sweatwave e sexwave, solo per nominarne un paio fra le più improbabili: basti dire che si distinguono per la presenza di corpi sudati e pose erotiche sulle proprie copertine.
Le denominazioni più utili sono quelle che portano con sé un’effettiva peculiarità sonora. Se ne inviduano tre in particolare:
- la synthwave della prima ora, o outrun, in base alla seconda fra le tre interpretazioni già viste. Si tratta della base del movimento: vi rientrano quindi Kavinsky, Lazerhawk e Miami Nights 1984. I suoni mostrano l’influenza di electropop, italodisco e space disco, combinati con arpeggiatori da colonna sonora per videogiochi e sintetizzatori su frequenze medie – ora polifonici, ora monofonici – dai toni aggressivi. Tuttavia il suono risulta, se non minimalista, piuttosto compatto, poiché non eccede in delay e riverberi: in linea di massima, non sono ancora presenti le impalcature maestose/oniriche che sarebbero in seguito diventate tipiche dell’ambito. I brani sono reiterazioni di uno o pochi riff, con dinamiche date dall'alternarsi di vuoti e pieni;
- il darksynth, la sottocorrente più dura e cupa: i timbri si fanno saturi, i ritmi torrenziali, le copertine virano verso il cyberpunk e gli arrangiamenti si avvicinano all’electro-industrial più sinfonico. Ne fanno parte Perturbator, Dance With The Dead, Mega Drive e Carpenter Brut;
- la dreamwave, risvolto più romantico e nostalgico della medaglia: tramonti, luci sfumate, ritmiche rilassanti, tastiere che fluttuano soavi. Com Truise, Timecop1983, Home e Fm-84 fra i nomi più noti.
Fra le frange minori, ma che hanno senso di esistere, si possono segnalare la shredwave (i brani dove appunto compaiono assoli di chitarra elettrica, ma con sonorità più vicine al rock da arena anni Ottanta che all’industrial), con inni come “Red Eyes” di Zombie Hyperdrive e “Accelerated” di Miami Nights 1984, e la spacewave (principalmente incentrata sull’esplorazione dello spazio e sonorità collegabili al tema), in cui si potrebbero inserire Dynatron e Night Runner.
Si precisa infine l’esistenza di un’area borderline, in cui le atmosfere di cui sopra si sposano a musica solitamente senza sezione ritmica, parente dell’horror synth anni Ottanta (colonne sonore di John Carpenter in primis) e del progressive electronic dei tedeschi Tangerine Dream (in particolare della loro fase più pop, come la colonna sonora di “Risky Business”). In questo speciale è stata tuttavia trattata solo marginalmente, trattandosi spesso di musica più vicina all’universo ambient.
Ancora una volta a causa della mancanza di una letteratura ufficiale, quella sopra esposta è solo una delle possibili suddivisioni, cercando di seguire le correnti di pensiero più diffuse: ci sarà tuttavia chi avrà da ridire. Per esempio, alcuni ritengono che si debba ulteriormente distinguere fra dreamwave e retrowave, pur essendo il secondo termine utilizzato anche come sinonimo dell’intera synthwave. Come si sarà capito, la discussione sul sesso degli angeli è sempre dietro l’angolo.
(F. Romagnoli, G. Rivoira)
Fonti e filosofia
L’outrun contiene sì una dose di nostalgia per gli anni Ottanta, ma anche e forse soprattutto per l’idea di futuro che gli anni Ottanta hanno creato a livello di comunicazione di massa. Idea evidentemente disattesa dalla realtà che stiamo vivendo. Simili rimpianti animano anche il movimento parallelo già citato, la vaporwave, che li risolve creando un’illusione di anni Ottanta in cui immergersi, allo scopo di rivivere quel decennio e le sensazioni che il suo ricordo ha lasciato.
Per l’outrun la soluzione è diversa: ricreare non il passato, ma un presente alternativo al nostro che corrisponda a ciò che gli anni Ottanta avevano promesso. Un presente ossia che sembri futuro, e non l’eterno immobile in cui abbiamo la sensazione (erronea, ma inevitabile) di essere immersi. Esemplificando, se la vaporwave sono gli anni Ottanta visti dal nuovo millennio e decostruiti, l’outrun è il nuovo millennio visto dagli anni Ottanta e ricreato in maniera certosina, sorpassando le limitazioni tecniche di quel decennio. Il processo creativo è in sostanza diametralmente opposto (del resto, la vaporwave è perlopiù basata su campionamenti, mentre la synthwave su strumenti e programmazione), pur avendo gli ingredienti in comune e giocando sugli stessi identici sentimenti: questo spiega come mai i due movimenti abbiano la maggior parte degli ascoltatori in comune, e come mai alcuni artisti si siano cimentati in ambo i campi.
La visione dell’outrun poggia ovviamente su tutti gli stereotipi della cultura pop rivolti a futuro e tecnologia: luci al neon, colori fosforescenti (in particolare il rosa fucsia, una delle tinte onnipresenti nell’ambito), astronavi, armi da fuoco esagerate. Essendo una visione del futuro nata negli anni Ottanta, rispecchia ovviamente i valori dell’epoca, che toccavano due poli opposti: da un lato l’ottimismo edonistico dato dall’illusione del neoliberismo sfrenato (quindi automobili di lusso e corpi palestrati), dall’altro il terrore della minaccia atomica e dei totalitarismi (da cui l’ala darksynth e il suo immaginario distopico, fortemente influenzato dai film e dalle musiche del già citato John Carpenter).
Non è una nostalgia semplice, ma stratificata: non riguarda cioè soltanto chi può provarla avendo vissuto l’epoca in questione, ma anche chi all’epoca era lungi dall’essere nato. Fra i seguaci del genere c’è infatti una corposa percentuale di ragazzi nati dal 2000 in avanti, perlopiù di sesso maschile (altro elemento che sarebbe meritevole di un’approfondita analisi sociologica).
Scorrendo i commenti su YouTube (e il fatto che si debba ricorrere a questo espediente per analizzare un genere musicale, la dice lunga sull’innovazione che questo ha portato a livello di dinamiche e distribuzione), si nota in effetti un tipo di commento ricorrente, che potrebbe essere approssimato così: “Non ero ancora nato negli anni Ottanta, ma questa musica mi fa provare lo stesso nostalgia per quel periodo”.
Il motivo è da ricercarsi nella componente epica e al contempo malinconica sottintesa da questo tipo di musica e di immaginario. Epica perché appunto la realtà mostrata è migliore rispetto alla nostra (oppure è peggiore, come nel caso del darksynth, ma viene mitigata dall’elemento eroistico del doverla affrontare, come da stereotipo del fim d’azione cristallizzatosi proprio negli Ottanta e ancora oggi valido). Malinconica perché ricorre con sapienza a quell’insieme di simboli a cui si collegano sentimenti di struggimento, di riflessione o di sospensione onirica, quali possono essere il tramonto e la notte (non per niente uno dei colori principali della palette outrun è il blu scuro).
Proprio il contrasto fra un sentimento positivo (l’energia trasmessa) e uno negativo (la tristezza dell’aspettativa infranta per chi ha vissuto l’epoca; il non aver vissuto in diretta il periodo interessato, per chi è nato dopo) genera quella percezione totalizzante di non poter più salire su un treno già passato, ma di poterlo almeno ammirare nelle creazioni artistiche altrui.
(F. Romagnoli)
Trenta dischi synthwave - Istruzioni per l'uso
Viene qui sotto proposta una selezione di trenta dischi (uno per artista) fra quelli che hanno raccolto il maggior riscontro. Alcuni sono pietre miliari della musica elettronica contemporanea, altri presentano evidenti debolezze, ma tutti hanno in qualche modo fatto percepire la propria presenza. L’ordine è meramente cronologico: spetta poi alla singola recensione spiegare le coordinate stilistiche e qualitative dell’album, con la consapevolezza che le seconde dipendono anche dal gusto di chi scrive.
La manciata di singoli storici che non hanno trovato posto in un album sono stati comunque citati nella recensione del relativo artista. In questa introduzione ne verranno quindi menzionati soltanto un paio, prodotti da artisti che altrimenti non citeremmo: “So Electric” del francese Lifelike (al secolo Laurent Ash), del 2007, e “Dust” del newyorkese M|O|O|N (Stephen Gilarde), del 2012. Nessuno dei due rientra più di tanto nei canoni nella synthwave, considerando la loro opera nel complesso, fortemente orientata verso la house, ma con questi due brani hanno segnato profondamente la scena.
Per comodità e per chi avesse intenzione di esplorare più a fondo, ecco un elenco di canali YouTube utili: 80s Ladies, The ‘80s Guy, ThePrimeThanatos, LuigiDonatello, NewRetroWave e neros77.
Infine, si segnalano le etichette Blood Music, Rosso Corsa Records, Future City Records e Future 80’s Records.
(F. Romagnoli)
Anoraak - Nightdrive With You (2008)
Frederic Riviere, in arte Anoraak, fa parte di quella schiera di producer elettronici attivi nei tardi anni Zero e confluiti nel collettivo Valerie Records. Con la proposta del compagno d’etichetta, College, “Nightdrive With You” condivide un approccio minimalista alle basi. L’intento è probabilmente quello di creare una riedizione indie del vecchio synth-pop, ma la tendenza alla dilatazione dei fraseggi strumentali ascrive l’Ep nelle coordinate del movimento preso in esame in questo speciale. Le frequenti incursioni vocali differenziano Anoraak da College e da parecchia synthwave futura; la carriera successiva di Riviere, più votata al pop elettronico in senso stretto, farà luce sulla sua vera attitudine.
(G. Rivoira)
College - Teenage Color Ep (2008)
Fondatore della Valerie Records, David Grellier è uno dei primi musicisti synthwave: quando la corrente musicale ancora non esisteva, lui la stava già suonando. Esordisce infatti nel 2008, ben prima dei futuri classici del genere, pubblicando in breve tempo sia l’album “A Secret Diary”, sia l’Ep “Teenage Color”. È soprattutto nella dimensione ridotta di quest’ultimo che la sua proposta a cavallo tra il french touch che fu e la synthwave di stampo dream che verrà può risplendere senza incorrere in ripetizioni superflue. I caratteristici midtempo con tappeti di bassi synth, tessiture di pad e morbidi leads contraddistingueranno l’intera carriera dell’artista francese, facendone la fortuna con “A Real Hero”, canzone di punta della colonna sonora di “Drive”, in collaborazione con Electric Youth.
(G. Rivoira)
Lazerhawk - Redline (2010)
“Redline”, debutto del texano Lazerhawk, rappresenta in pieno il lato retrofuturistico della synthwave, con la sua ossessione per la velocità e le macchine da corsa, evocata senza troppi giri di parole dal tachimetro della copertina. La sua lancetta febbrile, irrimediabilmente puntata nella zona rossa della velocità massima del veicolo, diventa potente suggestione metamusicale nella title track, in cui l’insistito uso della manopola del portamento di un synth simula il rombo di un motore. A differenza di molta synthwave futura, che proporrà musica dal respiro cinematografico, epico o sognante, i suoni di questo disco sono per lo più monofonici, con bassi aggressivi ora in ottavi ora in sedicesimi (a ricordare l’Hi-Nrg di Giorgio Moroder), drum machine dal battito rigido, sintetizzatori solisti distorti, acidi; gli stessi pad presentano pochissimi effetti di alleggerimento come riverberi o delay. I vocoder che colorano le trascinanti “Electric Groove”, “Dream Machine” e “Pedal To The metal” creano un più unico che raro ibrido tra electroclash e french touch, mentre cavalcate come “Overdrive” o “Activation” spianano la strada a un decennio di scorribande per soli sintetizzatori.
(G. Rivoira)
Com Truise – Cyanide Sisters (2010-11)
Il newyorkese Seth Haley, noto ai più come Com Truise, debuttò con questo Ep di mp3 a bassa qualità, nel 2010. Pubblicato dalla neonata etichetta digitale ceca Amdiscs, il disco avrebbe tuttavia cominciato a circolare davvero soltanto l’anno successivo, quando venne distribuito dall’americana Ghostly International, in una versione riveduta e corretta: bitrate maggiorato, quattro brani in più, e due dei pezzi originari leggermente allungati (fra i quali la title track). L'Ep fa sostanzialmente da stampo per tutte le cose successive dell'artista (invero non fra i più fantasiosi del giro): basso gettito di Bpm, armonie basate sull'interazione fra narcotici bassi sintetici e riflessi di tastiere e atmosfere al confine con la chillwave.
(F. Romagnoli)
AA. VV. - Drive (Original Motion Picture Soundtrack) (2011)
Fu con lo scalpore al Festival di Cannes 2011 che la carriera del regista di culto danese Nicolas Winding Refn ebbe la definitiva impennata: “Drive” fu in grado di cambiare le carte in tavola del crime movie, con i suoi evocativi silenzi esistenzialisti e una rappresentazione della violenza scevra dagli eccessi pulp che hanno dominato la rappresentazione filmica del genere per almeno un ventennio. Non soltanto l’iconica giacca con lo scorpione di Ryan Gosling e le corse in auto sportive d’epoca, ma soprattutto la colonna sonora ha segnato il passo per l’intero movimento, in termini di popolarità ed estetica. La combinazione tra colonna sonora originale firmata dal veterano Cliff Martinez, attivo nel campo già da inizio anni Novanta, e canzoni di artisti indipendenti ha prodotto sequenze memorabili, e innalzato pezzi come “Nightcall” di Kavinsky e “A Real Hero” di College e Electric Youth, a veri e propri inni della synthwave. Il sodalizio tra Martinez e Refn proseguirà dando risultati anche più interessanti dal punto di vista dello studio timbrico dei sintetizzatori con “The Neon Demon” e la recente serie tv “Too Old To Die Young”.
(G. Rivoira)
Symmetry - Themes For An Imaginary Film (2011)
Il canadese Johnny Jewel è uno dei personaggi più attivi dell’underground nordamericano del Terzo Millennio. Svariati i progetti a cui ha lavorato, tutti accomunati da un fattore: l’ossessione per la ripresa indie/lo-fi delle più disparate sonorità anni Ottanta. Per quanto abbia frequentato la synthwave praticamente in ogni sua incarnazione (“Digital Versicolor” con i Glass Candy, “Under Your Spell” con i Desire, “Tick Of The Clock” con i Chromatics) è solo con il moniker Symmetry che realizza un album generalmente ascrivibile al genere. “Themes For An Imaginary Film” si estende per oltre due ore di durata, preferendo all’immediatezza tipica delle melodie outrun un’esplorazione di tessiture sonore alla lunga estenuante.
(G. Rivoira)
Dynatron - Escape Velocity (2012)
Nebulose, costellazioni, viaggi spaziali: non vi è alcun dubbio su quale sia l’immaginario che Dynatron vuole evocare attraverso la sua opera. È sotto questo pseudonimo che il danese Jeppe Hasseriis inizia a pubblicare musica su SoundCloud nel 2012; ben presto viene notato dall’etichetta indipendente francese Aphasia Records, operativa tramite il circuito bandcamp e specializzata in atmosfere retrò. “Escape Velocity” è l’equivalente synthwave della musica cosmica tedesca degli anni Settanta, e il suo brano di punta “Pulse Power” può vantare una decina di milioni di visualizzazioni su YouTube. Jean-Michel Jarre incontra fraseggi italodisco nel midtempo “Space Operators”, roboanti power chords da arena rock sconquassano sognanti atmosfere space in “Fireburner”. Il debito con pionieri tedeschi della musica elettronica come Tangerine Dream o Cluster si fa concreto in “Aurora Nights” o “The Pulsating Nebula”, dilatati brani strumentali a metà l’outrun e il progressive electronic. Nel 2016 Dynatron entra a far parte della BloodMusic, etichetta solitamente dedita alla riedizione di oscuro materiale metal o di aggressivo darksynth.
(G. Rivoira)
Makeup And Vanity Set - 88:88 (2012)
Interessante cortometraggio indie diretto da tale Joey Ciccone, “88:88” ha conseguito un piccolo ma appassionato pubblico di estimatori, colpiti in special modo dalla musica che ne accompagna i titoli di coda. Trattasi di “A Glowing Light, A Promise”, strumentale firmato da Makeup And Vanity Set, al secolo Matthew Pusti, da Nashville. Bizzarro esempio di OST lunga il triplo del corrispettivo filmico, “88:88” traduce le atmosfere imperscrutabili del corto nei riverberi che avvolgono come nebbia il brano citato, nel crescendo di sequencer di “The Cross”, nelle armonie rarefatte di “No Regrets”. Disco capace di creare sezioni strumentali evocative (su tutte il momento di stasi contemplativa di “Homecoming”), ma che talvolta fatica ad andare oltre lo status di piacevole musica di sottofondo.
(G. Rivoira)
Miami Nights 1984 – Turbulence (2012)
Mike Glover, noto come Miami Nights 1984, è un produttore canadese, cofondatore dell'etichetta digitale Rosso Corsa Records. Il suo album di debutto, "Early Summer" (2010), è uno dei dischi che la inaugurano, ma a suscitare clamore è questo secondo episodio, in particolare grazie all'inno space disco tropicale "Ocean Drive", crescendo continuo che sfocia in un refrain colorato di virtuosismi. Sarà purtroppo il suo ultimo album. Nel 2015 esce il singolo "Accelerated", autentico capolavoro di synthwave chitarristica con video outrun in notturna: un brano che da solo potrebbe spiegare il genere a chi non l'avesse mai sentito nominare. Parrebbe annunciare un nuovo disco, e invece da quel momento Glover smette di produrre musica, senza dare spiegazioni. Un silenzio che persiste a tutt'oggi.
(F. Romagnoli)
Dance With The Dead – Out Of Body (2013)
Dance With The Dead è il nome del duo californiano composto da Justin Pointer e Tony Kim. Pur essendo comparsi un anno dopo pionieri come Carpenter Brut, Mega Drive e Perturbator, si sono subito imposti fra i nomi più noti della sottocorrente darksynth. Coi loro ritmi torrenziali e i sintetizzatori tanto saturi da confondersi con le chitarre elettriche, i due piazzano inni quali "Robfeast", "Blind" e "Only A Dream". I successivi dischi, pur di successo, smarriranno via via la genuinità di questo debutto, incapaci di variarne la formula, e accompagnandola con un netto peggioramento dell'estetica di contorno (basti mettere a confronto la copertina di "Out Of Body", che sembra la locandina un film horror del 1980 circa, e quelle degli album seguenti, patinate a suon di Photoshop).
(F. Romagnoli)
Kavinsky - Outrun (2013)
“Outrun” (nomen omen) è l’approdo di Kavinsky al formato album, compendio di un’attività musicale cominciata nel 2006 con la storica “Testarossa Audiodrive”. Si tratta di un concept fantastico su un ragazzo morto nel 1986 in un incidente a bordo della sua Ferrari Testarossa (madre delle automobili da corsa feticcio per l’intero movimento) e trasformatosi in zombie per proteggere la sua amata. Anche la celeberrima “Nightcall” assume significato compiuto proprio conoscendo la storia di cui è il climax. Co-prodotta con Guy Manuel de Homem Christo, questa ballata dolente per synth, vocoder e voce femminile è l’unica canzone synthwave underground a essere divenuta un classico pop tout court, oggetto di molteplici cover e sample. Il resto del disco propone synthwave epica (“Protovision”), voci robotiche (“Odd Look”), incredibili flirt con il mondo urban (“Suburbia”). Sono contenuti anche alcuni brani pubblicati nel corso degli anni dall’artista francese, come la già citata “Testarossa”, oppure “Deadcruiser” e la notturna “Grand Canyon”, entrambe comparse per la prima volta nell’Ep “1986”. Ingiusta esclusione invece per la dilatata “Pacific Coast Highway”, contenuta nell’Ep “Nightcall”.
(G. Rivoira)
Quixotic – Palm Ep (2013)
Krisztián Miklósy, di stanza a Budapest, e noto ai più come Quixotic, è l'autore di "Palms", uno degli inni della synthwave. Pubblicato sul proprio canale YouTube nell'agosto del 2013, con tanto di videoclip (che ricorreva a estratti di "Miami Vice" e immagini dagli anni Ottanta più edonistici), è però esploso solo un paio di settimane più tardi, quando LuigiDonatello l'ha girato sul proprio canale, questa volta con un semplice sfondo fisso di palme, mare e tramonto. Si tratta di un rilassato electro-funk, con chitarrine sincopate, basso italodisco e campionamenti vocali astratti. Nell'Ep che lo conteneva trovarono posto anche "Elan" e "Apology" (quest'ultima in più versioni), due brani piacevoli, ma che non sono riusciti a bissare il potere iconico dell'altro.
(F. Romagnoli)
Rob – Maniac (2013)
“Maniac” è un film del regista francese Franck Khalfoun, presentato a Cannes nel 2012, remake dell’omonima pellicola di William Lustig, risalente al 1980. La versione di Khalfoun non è però riuscita a convincere né la critica, né il pubblico, risolvendosi in un fiasco clamoroso. Se oggi può vantare un minimo culto, è per la presenza di Elijah Wood come protagonista e per le musiche di Robin Coudert, anch’egli francese e oggi noto semplicemente come Rob. Attivo dai tempi del french touch, ha saputo rinnovarsi come autore per il cinema, giostrandosi fra musica ambient e horror synth. Privato delle immagini a cui essere abbinato, tuttavia, l'ascolto sulla lunga distanza patisce la quasi totale assenza di una sezione ritmica.
(F. Romagnoli)
Home – Odyssey (2014)
Randy Goffe è un ragazzo di Chicago che nel 2014, all’età di diciotto anni, spuntò dal nulla, come tanti altri, tramite il canale Electronic Gems. Il pezzo, intitolato “Resonance”, è in breve diventato lo strumentale più famoso di tutta la synthwave, ammassando decine di milioni di visite sia su YouTube, sia su Spotify. Il motivo non è ben chiaro (che si tratti del classico “trovarsi al posto giusto nel momento giusto”?), ma per certo è un gran bel sentire: brano pacato e fluttuante, vanta strati di tastiere che si propagano come lente ondate, su un appiccicoso riff intermittente. Il resto del disco segue le stesse coordinate, muovendosi beato fra atmosfere post-baleariche e sfiorando in più tratti la corrente chillwave. Perfetto come sottofondo per studio o lavoro.
(F. Romagnoli)
Mega Drive – 198XAD (2014)
Il Sega Mega Drive fu una delle più importanti console videoludiche del Ventesimo secolo, caratteristica sia per il design nero e futuristico, sia per il formidabile chip audio della Yamaha. All'epoca malignato da una critica sin troppo servile nei confronti della Nintendo, rivale della Sega, il suono del Mega Drive si è rivelato estremamente influente sulla musica elettronica successiva, tanto che oggi viene indicato come influenza diretta negli ambiti più svariati, da Flying Lotus a Fatima Al Qadiri. L'ambito che risente però maggiormente della sua influenza è la synthwave, un'intera ala della quale ne è considerabile filiazione più o meno diretta: per la precisione il darksynth, con i suoi timbri saturi e violenti, a un passo dall'electro-industrial. Uno dei membri più noti dell'ambito si fa chiamare Mega Drive, a fugare ogni dubbio. Del misterioso produttore si sa soltanto che opera dal Texas e che è particolarmente prolifico: dieci album e due Ep fra il 2012 e il 2019. Il migliore dei quali è "198XAD": un'ora di cavalcate androidi in uno spietato mondo cyberpunk, perfettamente rappresentato dalla copertina.
(F. Romagnoli)
Night Runner – Starfighter (2014)
Di Alex Diosdado e Tabique Malévolo sono noti soltanto i nomi e la città di provenienza, Morelia, nel Messico centrale. Hanno debuttano come Night Runner nel novembre 2014, pubblicando questo album in proprio tramite Bandcamp e Soundcloud, ma l'attenzione del pubblico è arrivata solo qualche mese più tardi, quando The '80s Guy ha girato l'album sul proprio profilo YouTube. Secondo alcuni è stato in realtà il canale a guadagnarne, dato il crescente culto del duo (citato come fonte d'ispirazione anche nel celebre programma videoludico Game Grump): ovunque sia iniziato il circolo virtuoso, per certo "Starfighter" è a tutt'oggi il disco più visitato su The '80s Guy. Con pieno merito, in quanto uno dei dischi più riusciti e variegati della synthwave, fra epici assoli chitarristici ("Almost There"), saturazioni darksynth ("The Sentinels"), cavalcate electro che sembrano uscite da una colonna sonora per Pc Engine Cd ("The Driver"), minacciosa space disco ("Murder In Miami"), lente marce post-Vangelis ("Roses & Blood"), ma anche momenti rilassati che rimandano ai tramonti tipici dell'outrun ("Starlight"). Nello stesso solco il secondo album, "Thunderbird" (2017), e l'Ep "Storyteller" (2020).
(F. Romagnoli)
Timecop1983 – Journeys (2014)
Costretto a fare di necessità virtù, l’olandese Jordy Leenaerts da Eindhoven crea un alter ego e armato di computer, sintetizzatori, e qualche chitarra, produce dalla propria stanza uno degli album più celebrati dai fan della synthwave. “Journeys” viene pubblicato in autodistribuzione nel 2014, anno di grande fermento per il genere, e rilanciato dall’etichetta NewRetroWave. Il roboante nome d’arte, Timecop1983, è frutto della nostalgia per gli anni Ottanta, decade che ha visto nascere Leenaerts (nel 1983, per l’appunto). Non è un caso dunque che il mood dell’album sia soffuso, romantico, con echi dream-pop volti a celebrare con toni idilliaci il ricordo della propria infanzia e del decennio sintetico per eccellenza. Musicalmente, vengono riprese in forma più estesa alcune soluzioni adottate da College negli anni precedenti: tappeti di bassi arpeggiati in ottavi formano un solido ma suadente sostegno per le manipolazioni di frequenze su pad, arpeggiatori e synth solisti, e per gli immancabili fill di tom in stereofonia. All’interno di un album molto omogeneo, si stagliano il midtempo per voce femminile “Dreams” e la scintillante title track.
(G. Rivoira)
Artisti vari – Kung Fury (2015)
Nel maggio del 2015 il regista svedese David Sandberg pubblica un mediometraggio finanziato tramite Kickstarter, per un budget di 630mila dollari. Il titolo è "Kung Fury" e lo ha realizzato nel proprio garage, con l'aiuto di un gruppo d'amici, un telo verde e tanto lavoro di computer grafica. Si tratta di riassunto elevato all'ennesima potenza di tutti gli stereotipi del cinema d'azione e fantascientifico dell'America anni Ottanta, verso il quale è parodia e al contempo dichiarazione d'amore. Mentre il film apre nuove porte al cinema indipendente, la colonna sonora si impone come uno dei più importanti album synthwave. Vi partecipano diversi produttori, con la parte del leone affidata a Mitch Murder (al secolo Johan Bengtsson, da Stoccolma). Presenziano anche Lost Years (Magnus Larsson), Betamaxx (Nick Morey) e Highway Superstar (Alex Karlinsky), rispettivamente svedese, statunitense e israeliano, a confermare il carattere internazionale della corrente. Per il brano più noto della raccolta, "True Survivor", spettacolare inno d'arena rock elettronico, è stato chiamato a cantare David Hasselhoff, uno dei simboli degli anni Ottanta più kitsch.
(F. Romagnoli)
Carpenter Brut - Trilogy (2015)
Già dalla copertina “Trilogy” crea un universo, un quadro dallo stile fumettistico in cui convivono il grandguignolesco, la pop art, ectoplasmi di anni 80. Estetica che è degna contraltare dell’ambizioso lavoro del francese Carpenter Brut, al secolo Frank Hueso, il preferito dai fan del genere. Pur essendo una raccolta di tre Ep usciti rispettivamente nel 2012, 2013 e 2015, l’opera è un compatto monolite di ottanta minuti (manco a farlo apposta…), summa frenetica di quasi tutti gli stilemi outrun. I synth ipercompressi erigono muri di suono stordenti, ora epici (“L.A. Venice Bitch”, “Division Ruine”, “Looking For Tracy Lu”), ora brutali (“Wake Up Mr. President”, “Le Perv”). È musica che vive nella costante ricerca della tensione emotiva, come se fosse la colonna sonora di un videogame particolarmente concitato. La potenza e il ritmo dritto, ossessivo, rendono molti brani adatti un contesto da club, ma a differenza della dance contemporanea, abituata a creare dinamiche alternando pieni e vuoti a casaccio, lo studio per l’architettura compositiva è più simile al rock classico, anche quello più colto. Non è sbagliato, ad esempio, parlare di prog rock di fronte al brutale sintetizzatore che squarcia all’improvviso il sacrale tema d’organo di “Turbo Killer” (accompagnata da un videoclip da Fulci del Terzo Millennio). Qua e là emergono groove synth funk: su tutti spicca il tiro micidiale di “Zombi Disco Italia”, la possibile canzone synthwave di Prince, se vi si fosse cimentato.
(G. Rivoira)
GosT - Behemoth (2015)
Esponente del filone darksynth, l’americano GosT non fa proprio nulla per nascondere la natura esoterica e orrorifica della sua ispirazione. Nelle fotografie promozionali, nelle interviste e nei live lo si può infatti vedere pesantemente truccato con cerone bianco e contorno occhi pesto, alla Misfits, o mentre indossa maschere a forma di teschio. Le suggestioni horror/splatter/demoniache trovano compimento in tracce dominate da aggressivi sintetizzatori con forma d’onda a dente di sega, che con il loro caratteristico suono ronzante vanno a creare dei muri di suono a frequenze basse paragonabili a pesanti riff di chitarra elettrica (“Genesee Avenue”, “Master”, “Bathory Bitch”). Per rendere ancor più evidente la violenza lugubre della sua musica, nella luciferina title track vengono suonati anche degli efficaci sample di cori gregoriani. Laddove invece si cerca un effetto d’atmosfera, il suono più scuro dei bassi e i sinistri sintetizzatori solisti ricordano le colonne sonore di John Carpenter (“Night Crawler”).
(G. Rivoira)
Gunship – Gunship (2015)
I Gunship sono una delle poche band della synthwave. Vengono da Londra e sono composti dal cantante Alex Westaway, dal tastierista Dan Haigh, e dal batterista Alex Gingell. Sono noti per le iconiche copertine dei dischi (fra eclissi e soli segmentati), per il fatto che quasi tutti i loro brani sono cantati e per i videoclip più curati della corrente. Questo album di debutto ne può vantare due: "Tech Noir", che sfrutta la claymotion e una suggestiva introduzione parlata di John Carpenter (ospite certo non casuale), e "Fly For Your Life", animato digitalmente. Le canzoni, tuttavia, non riescono a brillare per originalità: pur piacevoli, si rifanno agli stilemi del synth-pop un po' troppo fedelmente.
(F. Romagnoli)
FM-84 - Atlas (2016)
Il moniker dietro cui si cela lo scozzese californiano d’adozione Col Bennett fornisce una prova della centralità degli Stati Uniti nella connotazione culturale del genere. FM-84 è infatti palese evocazione dell’immaginario musicale che spopolò tra fine anni Settanta e anni Ottanta nelle radio di mezza America. È proprio a quell’estetica che si rifà “Atlas”, album tinto di una nostalgia romantica per molti aspetti simile a quella adottata da TimeCop1983 (che infatti è ospite in “Let’s Talk”). Pubblicato presso la NewRetroWave, l’album si divide tra brani strumentali dream, minimalisti, e canzoni sentimentali: episodi, questi ultimi, in cui l’effetto revival risulta smaccato.
(G. Rivoira)
The Midnight - Endless Summer (2016)
Il cantautore americano Tyler Lyle e il compositore danese Tim McEwan uniscono le forze nel duo The Midnight nel 2012 e quattro anni più tardi rilasciano il fortunato “Endless Summer”. Gli anni Ottanta più delicati di stampo synth-pop rivivono nelle dodici tracce del disco, più o meno equamente diviso tra canzoni e pezzi strumentali. È proprio tra questi ultimi che si possono trovare i momenti più evocativi e sognanti dell’album, in particolare in numeri quali “Equaliser (Not Alone)”, che mostra un pregevole lavoro timbrico e produttivo. L’indugiare su linee vocali estremamente melodiche e cristalline, e sul sassofono solista, invece risulta alla lunga stucchevole.
(G. Rivoira)
Robert Parker – Crystal City (2016)
Lo svedese Robert Parker appare sulla scena nel 2014 e due anni dopo è già al quarto album, senza contare i numerosi Ep. L'appoggio di NewRetroWave cambia l'andamento della sua carriera, rendendo "Crystal City" uno degli album più noti della scena. Quasi del tutto strumentale, se si eccettua il synth-pop di "'85 Again" (cantato dall'ignota Miss K) e "Sweet Nothings" (la cui voce che affiora in lontananza è poco più che un ricamo), il disco contiene sia brani interamente programmati, sia interessanti interventi strumentali, fra slap di basso ("Love Theme") e assoli di keytar ("Generation '82"). Gli stili spaziano dal jazz-funk notturno di "Seasons Of Lust" al chiptune anabolizzato di "Arcade Oliver".
(F. Romagnoli)
Perturbator - The Uncanny Valley (2016)
Tra i pochi millennial della synthwave, il francese James Kent (figlio del celebre critico e musicista Nick Kent), ha cominciato poco più che maggiorenne a pubblicare in Rete musica autoprodotta. Nel 2012, la partecipazione alla OST del videogioco di culto “Hotline Miami” e il disco “I Am The Night” gli valgono le attenzioni di un pubblico di vasta scala, attratto dai suoi toni darksynth. Saranno tuttavia i successivi “The Dangerous Days” (2014) e “The Uncanny Valley” (2016) a consacrarlo. Entrambi sono classici del genere: si è preferito optare per il secondo, per via del suono ad alta definizione, e della presenza di “Sentinel”, singolo più famoso dell’artista. Le ossessioni estetiche di Perturbator, il cyberpunk (specie se anime), i videogiochi retrò, l’erotismo, l’horror trovano corrispettivo negli artwork degli album, nei videoclip e nelle atmosfere decadenti di brani quali “Death Squad”, “Neo-Tokyo”, “Disco Inferno”, “The Uncanny Valley”, dominati dal suono del sintetizzatore Prohpet-6. Oltre alle sferzate disco/industrial, immaginifiche colonne sonore per discoteche di soli vampiri, vi sono interessanti pause d’atmosfera, come il noir ambientale “Femme Fatale”.
(G. Rivoira)
Scandroid - Scandroid (2016)
Se è vero che la synthwave è riuscita a diventare dimora di più di un metallaro convertito alla causa, rimane comunque singolare il caso Scandroid, l’ultima incarnazione di Scott David Albert, multistrumentista di origine newyorkese. Per diverso tempo Albert si è fatto chiamare Klayton, e tra gli anni Ottanta e Novanta ha militato con costanza in formazioni trash e industrial metal, senza però riuscire a ottenere la fortuna agognata. Riesce a conseguire una certa notorietà suonando electro-industrial sotto lo pseudonimo Celldweller, ma è con il progetto Scandroid che il classe ‘69 diviene il synthwaver di successo più vecchio in assoluto. L’omonimo debutto suona un po’ come un ipotetico album outrun di storiche band synth-rock quali Depeche Mode, Duran Duran, Tears For Fears (tributati non a caso con una cover di “Shout”). I filtri vocali vicini ai Nine Inch Nails avvolgono il timbro baritonale di Scandroid in lunghe cavalcate per sintetizzatori distorti e sature chitarre elettriche digitali (“Neo-Tokyo”, “Aphelion”, “Eden”).
(G. Rivoira)
S U R V I V E - RR7349 (2016)
Una misteriosa sigla ammanta come nebbia il secondo e più celebrato disco dei Survive. Trattasi di un quartetto proveniente da Austin, i cui membri condividono una smodata passione per sintetizzatori analogici e drum machine d’antan. L’interesse per la musica strumentale d’atmosfera emerge con chiarezza nelle nove tracce del disco preso in esame, riletture invero un po’ asfittiche delle colonne sonore di John Carpenter e di certe atmosfere horror à-la Goblin. Due dei membri dei Survive, Kyle Dixon e Michael Stein, otterranno molta popolarità scrivendo la colonna sonora ufficiale di “Stranger Things”; luce di cui ha potuto godere di riflesso anche la stessa band d’origine.
(G. Rivoira)
Zombie Hyperdrive - Hyperion (2016)
La natura intima dell’outrun è ben simboleggiata dal caso Zombie Hyperdrive: di lui si conosce poco o nulla, se non che opera da Halle, in Germania, ma la sua “Red Eyes”, uscita per la prima volta nel 2014 e rilanciata dall’importante canale YouTube NewRetroWave, è diventata un caposaldo del genere, arrivando a superare i dieci milioni di visualizzazioni. Con i suoi instancabili arpeggiatori circolari ascendenti, le frequenti variazioni ritmiche e un memorabile assolo di chitarra elettrica con timbriche vicine all’hard rock melodico, “Red Eyes” è quanto di più vicino al prog-rock sia fuoriuscito dalla synthwave. Due anni dopo il singolo diverrà il fiore all’occhiello dell’album “Hyperion”, che rende palese l’estetica fantascientifica dell’operazione tramite l’omaggio all’omonimo romanzo scritto da Dan Simmons nel 1989, e una copertina dal sentore ufologico. Nel corso del disco, l’ambizione compositiva e l’ispirazione infusa in svariati temi melodici riescono a sopperire anche a eventuali mancanze di dinamiche “suonate”. Spicca poi il tempo ternario utilizzato in “Genesis”, soluzione più unica che rara nel movimento.
(G. Rivoira)
Satellite Young - Satellite Young (2017)
Da sempre maestri nella rielaborazione della cultura pop occidentale, i musicisti nipponici non hanno mancato di fornire una loro personale visione del movimento outrun. Sono i Satellite Young da Tokyo, infatti, a rendere naturale un disco interamente cantato ma incontrovertibilmente ascritto ai canoni del genere. In quali album synthwave poi si sono sentiti i febbrili bassi sincopati, slap, di “Break! Break! Tic! Tac!”? L’incontro tra la tradizione giapponese e il pop elettronico anglofono produce risultati sorprendenti: è così che la Akina Nakamori di “Fushigi” incontra i Pet Shop Boys di metà anni Ottanta in “Al Threnody”, oppure suoni da radio Fm innervano le stratificazioni di sintetizzatori à-la Yellow Magic Orchestra in “Jack Doushi”, “Nonai Muchoo”, “Sniper Rouge”. “Dividual Heart” è esperimento concettuale che spinge la retromania all’estremo, con il salto ascendente nell’ultima ripresa di ritornello, tecnica estremamente in voga nel pop anni Settanta-Ottanta, ma poi drasticamente abbandonata. “Sanfransokyo Girl” è l’approdo all’outrun onirico: la voce cristallina ma filtrata da vocoder di Emi Kusano e il colorato videoclip anime compongono un gioioso quadro di purezza.
(G. Rivoira)
Kensuke Ushio – Devilman Crybaby Original Soundtrack (2018)
Kensuke Ushio è l'unico nome presente in questo articolo a non fare parte della scena synthwave. Durante una delle tante colonne sonore che gli sono state commissionate dall'industria dell'animazione giapponese, tuttavia, ha deciso di addentrarsi nei meandri della corrente, sviscerandone ogni segreto. L'anime che si è avvantaggiato dell'esperimento è "Devilman Crybaby" di Masaaki Yuasa, uno dei migliori del decennio. Per l'occasione Ushio ha realizzato una mole imponente di musica: due cd, quarantotto tracce, novantacinque minuti di durata. Al loro interno principalmente synthwave, ma non solo: lo spettro spazia dall'horror synth al minimalismo, dal gotico neoclassico allo space ambient, dalla house all'electro-industrial. Tutti generi che possono essere considerati parenti, quando non progenitori, della synthwave, generando pertanto un amalgama impeccabile. Lavoro enciclopedico, con cui Ushio si consacra fra i grandi del suo settore, può spaventare per la mole, ma ripaga ogni sforzo profuso nell'ascolto. Si segnala "Devilman no uta", cover darksynth della sigla del primo "Devilman", uscito nel 1972.
(F. Romagnoli)
Contaminazioni nel pop mondiale
In quest’ultima sezione sono presi in analisi brani influenzati dalla synthwave, ma che provengono da artisti esterni al suo contesto. Non si ha la pretesa di realizzare un elenco totalmente esaustivo, quanto piuttosto di segnalare per sommi capi l’evoluzione di un genere ancora non formalmente riconosciuto, ma nei fatti già ampiamente in grado di diventare veste sonora per arrangiamenti provenienti dagli ambiti più disparati.
Al netto di un revival synth-pop largamente diffuso nella musica sia indipendente, sia mainstream, quel misto di pop elettronico, italodisco, musica da videogame e progressive electronic che si è imparato a conoscere nel corso di questo speciale si è inserito con una certa frequenza in territori a esso alieni soltanto nell’ultimo lustro.
Sembra anzi che proprio il 2020 ne abbia sancito lo sdoganamento definitivo anche fra il grande pubblico. Si è già avuto modo di parlare di “Blinding Lights” di The Weeknd, hit che sta segnando i primi mesi dell’anno, ma anche l’intero album da cui è contenuta, “After Hours”, è a più riprese imparentato con il genere (si pensi alla ballad “In Your Eyes”). Del resto, il soulman canadese aveva già collaborato con Kavinsky nel 2013, prestando il suo inconfondibile falsetto a una versione aggiornata di “Odd Look”. Sempre del 2020 è “Physical”, uno dei singoli di punta di “Future Nostalgia” di Dua Lipa, che con i suoi incastri di sequencer e i suoi pad avvolgenti non può non rimandare a parecchi episodi outrun.
Se ascoltando gli album scelti per questa selezione si può pensare che synthwave e mondo urban/soul siano assolutamente contrapposti (tanto “dritta” e bianca è la prima, quanto groovy e meticcio è il secondo), ci sono alcuni esempi, anche illustri in termini di impatto e seguito, pronti a dimostrare il contrario. Sono innegabili, ad esempio, le contaminazioni outrun di “24k Magic” (2016), album della maturità artistica della superstar Bruno Mars. In particolare “Calling All My Lovelines” sfoggia sequencer da videogioco e lead synth retrò con pesante modulazione. Il tutto senza perdere il funk alla Rick James che caratterizza il disco.
Anche l’idolo sudamericano della trap e del reggaeton, Bad Bunny, ha dimostrato di saper spaziare nell’outrun, in particolare in “Notra noche en Miami”, canzone notturna contenuta nel suo debutto, “X100PRE”, del 2018.
Non solo il pop mainstream e l’urban soul hanno a tratti subito le fascinazioni della synthwave, ma anche l’indie, patria a rigor di logica più naturale per simili ibridazioni, non ne è risultato esente. “Currents” dei Tame Impala (2015) ha rappresentato per la one man band australiana la svolta sia dal punto di vista del suono, sia del riconoscimento internazionale. Il disco non si può definire synthwave, facendo troppo leva su un feeling dal sapore elettro/psichedelico, ma in alcune canzoni quali “Yes I’m Changing” e “‘Cause I’m A Man” si può ascoltare un suono dai toni retrò tipico della dreamwave.
Anche i paladini dell’indie pop britannico The 1975, da divoratori onnivori di musica pop, non potevano che cimentarsi con suoni dreamwave. Uno dei loro singoli più famosi, “Somebody Else” (2016) presenta i caratteristici bassi e synth solisti del genere, e li combina con una delicata melodia r&b.
I francesi M83 di Antony Gonzales fornirono un’autentica rilettura mainstream con la celebre hit “Midnight City”. Il musicista, tuttavia, aveva già lambito, seppure non in maniera netta, sonorità synthwave con il precedente album “Saturdays = Youth”, in particolare in “Couleurs”. I due brani citati sono rispettivamente del 2011 e del 2008: tale capacità di precorrere i tempi, rispetto agli artisti citati in questa sezione, è sicuramente dovuta al contesto geografico di Gonzales, avvantaggiato dal fatto di trovarsi a operare nel sottobosco indie francese, dove effettivamente nacque il genere.
Con “13”, del 2017, i veterani Indochine hanno ottenuto un successo strepitoso in tutta l’Europa francofona: l’album contiene parecchie canzoni con imponenti muri di sintetizzatori, e in particolare in “Kimono dans l’ambulance” o “2033” la parentela con la synthwave risulta evidente.
L’Italia non ha fornito contributi significativi alla synthwave in senso stretto. Tuttavia, negli ultimi tempi qualcosa si è mosso, benché dall’alto di musicisti già affermati, e non dal sottobosco come ci si aspetterebbe: il pezzo grosso del rap Fabri Fibra ha inserito textures synthwave nella sua hit del 2017, “Stavo pensando a te” (suo miglior singolo in assoluto), mentre la band The Kolors ha spudoratamente flirtato con il genere in “Los Angeles” (2019). Il videoclip patinato ad arte, l’estetica retrò nella copertina del singolo, i sintetizzatori morbidi, tutto va a comporre un synth-funk delicato e d’atmosfera, benché la partecipazione di Guè Pequeno nella seconda strofa suoni piuttosto fuori contesto.
Per quanto riguarda il resto del mondo, vale la pena almeno di concentrarsi sull’America Latina: la cantautrice cilena Javiera Mena ottiene infatti grande successo in patria con il disco omonimo del 2010. Alcuni numeri, come “Hasta La Verdad”, si dimostrano in grado di sposare pienamente il neonato sound, attraverso drum machine essenziali e decise, ma anche con sintetizzatori polifonici ad accompagnare la melodia principale. Anche i messicani Camilo Septimo, band di culto nel proprio paese d’origine, tra il debutto “Oleos” del 2017 e “Navegantes” del 2019, si sono cimentati in più di un’occasione con atmosfere synthwave.
(G. Rivoira, F. Romagnoli)
Anoraak - Nightdrive With You (2008)
College - Teenage Color Ep (2008)
Lazerhawk - Redline (2010)
Com Truise – Cyanide Sisters (2010-11)
AA. VV. - Drive (Original Motion Picture Soundtrack) (2011)
Symmetry - Themes For An Imaginary Film (2011)
Dynatron - Escape Velocity (2012)
Makeup And Vanity Set - 88:88 (2012)
Miami Nights 1984 – Turbulence (2012)
Dance With The Dead – Out Of Body (2013)
Kavinsky - Outrun (2013)
Quixotic – Palm Ep (2013)
Rob – Maniac (2013)
Home – Odyssey (2014)
Mega Drive – 198XAD (2014)
Night Runner – Starlight (2014)
Timecop1983 – Journeys (2014)
Artisti vari – Kung Fury (2015)
Carpenter Brut - Trilogy (2015)
GosT - Behemoth (2015)
Gunship – Gunship (2015)
FM-84 - Atlas (2016)
The Midnight - Endless Summer (2016)
Robert Parker – Crystal City (2016)
Perturbator - The Uncanny Valley (2016)
Scandroid - Scandroid (2016)
Zombie Hyperdrive - Hyperion (2016)
Satellite Young - Satellite Young (2017)