L’attesa è terminata: si è materializzato il fatidico terzo album di uno dei nuovi re-mida del pop-rock “alternativo” mondiale, senz’altro il più importante e influente dell’emisfero australe. Dopo il botto seguito all’accoppiata “Innerspeaker”/“Lonerism” tutti cercano Kevin Parker, fan e curiosi lo attendono al varco per scovare nuove dimostrazioni del suo talento, e l’amletico arcano da risolvere diventa: meglio ripetere sé stessi all’infinito oppure testare nuove strade?
Kevin ci sa fare, ha immaginato un percorso mentale che prevede la realizzazione di un moderno e innovativo progetto di light psych-rock, solo che all’improvviso ha deciso di spiazzare tutti, sostituendo i mezzi finora abilmente utilizzati. “Currents” è un lavoro di musica elettronica, incentrato sui synth, nel quale le chitarre diventano chitarrine e vengono relegate sullo sfondo, in una posizione secondaria rispetto a tutto il resto.
Una svolta che ricorda in parte quanto intentato dai Radiohead da “OK Computer” e "Kid A" in poi con risultati strabilianti, oppure in tempi più recenti (tanto per citare i soliti esempi-scuola) dagli Arcade Fire di “Reflektor” con esiti magari meno riusciti, almeno su disco, ma senz’altro coraggiosi. E’ al contempo lo stesso passo compiuto poche settimane fa dagli Unknown Mortal Orchestra, sempre al terzo lavoro (“Multi-Love”) sempre dalle spiagge del continente Oceania.
Il proliferare di impressioni positive in rete (voglio dire, qui si parla di un 9.3 sulle colonne di Pitchfork, roba da disco dell’anno!) circa lo zig zag dei Tame Impala sembra però più un voler omaggiare a tutti i costi l’artista Parker piuttosto che il frutto di analisi imparziali sui contenuti dell'album, come se oggi parlare bene di questa band debba essere una mezza specie di obbligo.
La percezione è piuttosto che “Currents” sia un esperimento riuscito a metà, nel quale si comprendono bene le intenzioni dell’autore (realizzare una personale visione electro-disco-pop, mantenendo continuità nella discontinuità), ma dove la qualità della scrittura non riesce a dimostrarsi sempre all’altezza della fama e dell’aura che circonda la figura del buon Kevin.
Certo che anche i non pochi detrattori dovrebbero spiegare che tipo di disco si aspettassero in questo momento dai Tame Impala, un fenomeno evidentemente (psych-)pop, e non certo i nuovi salvatori dell’immaginario lisergico – psichedelico (come dire: nessuno si azzarderebbe mai a vedere in Parker un novello Syd Barrett...).
L’inizio è promettente: “Let It Happen”, la prima traccia diffusa qualche mese fa per annunciare l’uscita del disco, ormai orecchiata e metabolizzata a dovere, è programmatica delle nuove direttrici stilistiche del gruppo. Parte come un midtempo funk Jamiroquai-style andandosi poi ad adagiarsi su mood ripetitivi profondamente balearici (un po’ come ha fatto – oserei dire meglio - Jamie XX nel nuovo osannato “In Colour”), ed è lì che la situazione si fa interessante, aprendo numerosi fronti di discussione, perché ora il materiale diventa utile per il dancefloor, un trendy-pop perfetto per chi adora i tramonti di Café del Mar, ma di difficile comprensione per tutti coloro che si aspettavano di trovare fra questi solchi le spiagge californiane della “summer of love” anziché quelle ibizenche (ma c’è davvero tutta questa differenza?).
Alcune idee sono molto buone (“Nangs”, “Gossip”) ma si interrompono inspiegabilmente troppo presto, restando poco più che embrioni di canzoni, altre soluzioni risultano invece sì piacevoli, ma non completamente riuscite (“Past Life”, “The Moment”), con l’ulteriore aggravante che nella seconda metà il disco tende a trascinarsi un po’ (“Reality In Motion”, “Love/Paranoia”), perdendo di mordente.
Ovviamente ci sono anche momenti che funzionano, nei quali la mission di lasciare sullo sfondo la psichedelia hippy dei sixties per immergersi in certa disco del decennio successivo produce il funk della contagiosa “The Less I Know The Better” (una delle vette della selezione), il pure pop di “Disciples” e il "soul" di “’Cause I’m A Man”, con le sue atmosfere ovattate da camera da letto.
Per il resto, i Tame Impala danno l’impressione di vivacchiare intorno a un’architettura di fondo che Parker intende difendere strenuamente, che produce slanci anche molto gradevoli (le ballatone “Yes I’m Changing” e “New Person, Same Old Mistakes” sono furbette, ma non possono certo considerarsi mal riuscite), ma che non riescono a partorire il pezzone in grado di dare la svolta alla tracklist: ad esempio, l’epico incipit di “Eventually” fa ben sperare, ma si perde in un imbarazzante anonimato nel giro di pochi secondi.
A questo punto della sua carriera, Kevin Parker sarà considerato da molti come un talento in via di precoce ridimensionamento, mentre altri saranno pronti a ritenerlo un avanguardista, un visionario psichedelico dei nostri giorni con la fissa per l’elettronica. Forse la verità, come spesso accade, sta nel mezzo: i Tame Impala vanno presi come un buon gruppo in grado di realizzare gradevoli dischi di pop psichedelico. Il consiglio è ascoltare le tredici tracce di “Currents” senza troppe pretese, ricercando tutta la leggerezza e il disimpegno che intendono trasmettere. Se ci si riuscirà a divertire, i Tame Impala ne saranno soddisfatti: il loro obiettivo principale potrà ritenersi senz’altro raggiunto in pieno.
23/07/2015