I messicani Camilo Séptimo, al contrario di quanto possa far pensare un ascolto superficiale, non sono soltanto l’ennesima band di revival anni Ottanta. Rappresentano invece quanto di meglio una certa attitudine propria dell’ultima decade - rielaborare la fascinazione estetica del decennio sintetico per antonomasia alla luce della perfezione irreale del suono digitale contemporaneo - abbia da offrire.
Segni della perizia produttiva profusa dal terzetto nella propria opera sono evidenti sin dalle prime battute di questo loro secondo disco, dalla delicatezza con cui il roboante sequencer di "Contacto" viene raggiunto da due chitarre elettriche clean, una che detta l’armonia in accordi, l’altra che puntella il groove con precisi tocchi funky. Una simile tessitura sonora si ripete con un’eleganza se possibile ancora superiore nella lunare “Frequencia”, dove compaiono svariati arpeggiatori, elettriche arpeggiate e funk, Fender Rhodes ed elaborazioni dinamiche ottenute tramite un sapiente uso dei filtri messi a disposizione dal software di registrazione.
Del tutto azzeccata per chi scrive è la scelta di adottare una grana produttiva "luccicante", hi-fi. Non si può negare tuttavia come percorrere tale strada, alla luce di un genere, il pop elettronico, esplorato e rivisitato in lungo e in largo, sia una decisione non priva di pericoli o di eccessi (non serve andare troppo lontano, basti pensare alla proposta ultra-paninara dei nostri Thegiornalisti). Simili rischi sono scongiurati dalle molteplici ricercatezze armoniche, proprie della miglior tradizione pop sudamericana (su tutti gli argentini Virus) e dal falsetto del bassista Manuel Mandoza, qui maturato completamente come cantante rispetto al debutto “Òleos”, dove talvolta si produceva in svisate à-la Bee Gees un po’ stucchevoli per le sue corde vocali e per l’intenso romanticismo delle canzoni.
Ed eccole, le canzoni: uniformi per svolgimento e arrangiamenti (eccetto le narcotiche e spiazzanti strofe dub di “Perdenos”, che sfoggia anche una coda space disco), le dieci tracce si dimostrano sempre in grado di indovinare il ritornello da cantare al primo ascolto (a patto che si conosca lo spagnolo…). Curioso notare come in più occasioni venga lambito il pop misterioso e a cavallo tra synth-pop, world music e funk che fece la fortuna del miglior Mango (“Pulso”, “Noche Eterna”). La suggestione forse non corrisponderà alle reali ispirazioni della band (il cantautore lucano ebbe fortuna in Spagna, non in America Latina) ma è difficile, per chi ha approfondito seriamente l’opera di Mango, non trovare frequenti tracce della sua formula (per esempio nell’incalzante intro-strofa-inciso di “Remordimento”).
Cinque singoli estratti su dieci pezzi sono il certificato di infallibile qualità pop del disco, e a tal proposito è bene soffermarsi anche sul versante video dei Camilo Séptimo. Rifiutando totalmente il divismo narcisistico proprio dei nostri giorni, il terzetto decide di non comparire mai nei propri videoclip, liberandone così tutto il potenziale filmico in veri e propri “mini-metraggi”, che di volta in volta affrontano un diverso genere cinematografico (l’abduction movie in “Frequencia”, il road movie in “Pulso”, la fantascienza mistica tra Nolan e Kubrick di “Me Dejas Caer”).
In definitiva, la leggerezza di “Navegantes” risulta talmente efficace nell’amplificare il romanticismo di un certo genere da far ripensare in retrospettiva all’approccio massimalista britannico che conobbe i suoi apici in formazioni come i White Lies. Si prenda come esempio “Fantasmas”, perfettamente nelle corde della band britannica (e che invero ricorda vagamente l’andamento di “First Time Caller”): siamo sicuri che un simile “sgonfiamento” del sound non possa essere salutare a una proposta un po’ incagliata come quella di Harry McVeigh e compagni? Le possibilità che i White Lies vengano a conoscere i loro probabili fan messicani sono purtroppo scarsissime, ma questa non è una buona scusa per lasciarsi scappare l’ennesima dimostrazione di come la contemporaneità pop non possa prescindere dagli apporti di tutti quei paesi da sempre declassati a provincia dell’Impero.
17/06/2019