Il duo formato da Hans-Joachim Roedelius e Dieter Moebius ha rappresentato - all’interno del variegato mondo del kraut-rock – una delle esperienze più estreme e meno praticabili nate da quell’immenso calderone che è stato il rock sperimentale tedesco. All’interno di una scena in gran parte semi-clandestina, hanno prodotto alcuni tra gli album più ostici e inaccessibili, dotati però di una carica innovativa e una visione del futuro che oggi appaiono innegabili. Dentro la loro sperimentazione elettronica troviamo i germi della futura musica industrial dei Throbbing Gristle, della new wave maledetta dei Suicide, del post-rock cupo dei Labradford, dell’elettronica più integralista, fino alle successive e più concilianti sonorità pop (“Zuckerzeit”, 1974) e atmosfere eteree preannuncianti futuri scenari ambientali (“Sowiesoso”, 1976). Non è un caso che proprio il padre della musica ambient, Brian Eno, li abbia sempre definiti come suoi maestri, tra l’altro omaggiandoli con una collaborazione nell’album del 1977 “Cluster & Eno”. E’ probabilmente un paradosso, ma tutte le avveniristiche intuizioni dei Cluster hanno trovato il proprio vertice ispirativo in altri gruppi, non solo all’interno della scena kraut.
Rodelius e Moebius sono tra coloro che hanno avuto, pur nel semi-anonimato – un ruolo fondamentale per la crescita e lo sviluppo della kosmische musik; sono loro che - in una Berlino divisa in due dal Muro - fondano quella che diventa la base operativa di una sorta di circolo di artisti creatori di una nuova musica sperimentale, alcuni dei quali passano da una formazione all’altra, scrivendo diverse pagine del rock tedesco. Nel 1968 fondano lo Zodiak Free Arts Lab, un club che diventa il nodo cruciale della musica elettronica in Europa, un ponte strategico tra psichedelia e avanguardia, che trae ispirazione da un’idea concertistica di John Cage. Questo importante club viene creato nel grande retrobottega di un teatro: proprio come un perfetto yin e yang, una metà della stanza viene dipinta di bianco, mentre l'altra viene dipinta di nero, con gli strumenti, gli altoparlanti e gli amplificatori posizionati tutto intorno. Il locale, nonostante la sua esistenza non duri che pochi mesi, dà i natali a numerosi artisti influenti come Kluster (i genitori dei Cluster), Agitation Free e Tangerine Dream. Questi ultimi, soprattutto, vi suonano per ore e ore improvvisando anche per notti intere.
Gli esordi del duo avvengono con i Kluster, inizialmente trio insieme al musicista Conrad Schnitzler, proveniente dalla registrazione di quel monumento di improvvisazione psichedelica che è l’album d’esordio dei Tangerine Dream (“Electronic Meditation” del 1970). I loro due album – "Klopfzeichen" (1970) e "Zwei-Osterei" (1971) – sono primordiali esperimenti proto-industriali con una genesi perlomeno divertente: a corto di soldi per poter pubblicare l’album, i Kluster fanno infatti ricorso alla sovvenzione di una chiesa cattolica che li paga alla curiosa condizione di poter scrivere i testi. I Kluster accettano, sia per l'assoluto bisogno di soldi, sia per il disinteresse nei confronti dell'aspetto testuale. "Klopfzeichen" si articola tra frammenti di accordi e declamazioni ecclesiastiche; "Zwei-Osterei" (1971), tratto dalla stessa session, è fondamentalmente un bizzarro monologo di un predicatore cattolico con sottofondi di avanguardia estrema e ben poco accessibile. Fino ad ora la produzione di Roedelius e Moebius è quanto di più estremo e incomunicabile il kraut-rock abbia prodotto; andato via Conrad Schnitzler, assoldato il celebre manipolatore di suoni Conny Plank e cambiato il nome in Cluster, il nuovo trio esordisce con l'omonimo "Cluster" (1971), appena meno ostico dei primi due album a nome Kluster. “Cluster” ha il pregio di farsi notare dalla stampa specializzata tedesca che lo include tra i 10 migliori album dell’anno.
Lasciato Plank al solo ruolo di produttore, la band pubblica - con la neonata etichetta Brain - il successivo "Cluster II" (1972), che segna una svolta decisa nella loro carriera; è come se Roedelius e Moebius smettessero di fare musica per se stessi ma si aprissero al mondo, decidendo di dialogare con esso. “Cluster II” - pur restando un prodotto estremo della migliore discografia kraut – si apre al mondo esterno guardando agli esperimenti dei colleghi connazionali, spaziando dai ritmi ripetuti alle saghe psichedelico-cosmiche che si intrecciano alle nevrosi pre-apocalittiche (o post-atomiche) della società contemporanea; tutti elementi che troveranno o avevano già trovato il loro vertice rispettivamente in “Neu!” (1972), “Alpha Centauri” (1971) e "Zeit" (1972) dei Tangerine Dream, “Irrlicht” (1972) di Klaus Schulze e “Faust” (1971).
Ma il nuovo album è soprattutto una grande fucina di idee pionieristiche messe a disposizione per nuovi musicisti pronti a coglierle e farle crescere per farle diventare ancora più grandi; e se il pubblico sembra disinteressarsi, i musicisti più colti ne colgono la carica innovativa e ne traggono ispirazione. I sei minuti iniziali di "Plas" sono caratterizzati da un loop elettronico pulsante e ossessivo, una lunga spirale ipnotica che più che allo spazio cosmico sembra rimandare alle umanissime nevrosi dell’uomo contemporaneo. La chitarra di "Im Suden" e il suo lugubre sottofondo potrebbero essere antesignani di buona parte della discografia dei Neu!, al netto dei ritmi ossessivi di batteria; sono dodici minuti di continui intrecci di chitarra, sintetizzatori e piano di grande impatto e innovazione. Saranno proprio i Neu! a portare questa nuova intuizione a livelli ancora più imponenti nei loro primi tre album. “Für Die Katz” e soprattutto l’epico tour de force di “Live In Der Fabrik” rimandano sia ai futuri scenari industrial, sia ai Labradford sia alle monolitiche saghe spaziali di “Irrlicht”. L’organo di “Georgel”, privo di qualsiasi accostamento a fattori tempo e ritmo, scava nel fondo dell’abisso delle moderne psicosi, tanto in profondità da creare una tensione quasi intollerabile; non da meno la finale “Nabitte” dove sono le note di piano a ricacciarci in atmosfere claustrofobiche ma assolutamente umane (le paure, le angosce e le frustazioni). Paradossalmente è proprio nei momenti più oscuri che i Cluster riescono a essere più umani e descrittivi.
"Cluster II" è un grande contenitore di germogli di idee, un manuale di istruzioni per quei pochi musicisti capaci di ascoltare il futuro prima che questo diventi presente.
12/02/2017