Tangerine Dream

Zeit

1972 (Ohr)
elettronica

I berlinesi Tangerine Dream sono i massimi rappresentanti della "kosmische musik", quella straordinaria "new wave" elettronica esplosa in Germania all'alba degli anni Settanta. Una scena composta da musicisti forbiti, spesso con un background classico alle spalle, che riuscirono a dare un nuovo senso all'uso di tastiere e sintetizzatori nel campo della musica, spostando il baricentro del rock psichedelico dal centro della mente alla periferia dell'universo (ma, come in questo caso, anche viceversa...).

Il complesso nasce nel 1966 su iniziativa del chitarrista Edgar Froese, del percussionista Klaus Schulze e del tastierista Conrad Schnitzler. Da quell'ensemble scaturisce il primo album, "Electronic Meditation". La collaborazione con Schulze e Schnitzler finisce poco dopo: il primo diventerà solista e mago dell'elettronica d'avanguardia ("Irrlicht", "Cyborg"), il secondo un apprezzato virtuosista nelle file dei Cluster. Ma Froese non demorde. Prima, con Steve Schroyder e il percussionista Christopher Franke (ex-Agitation Free), celebra il battesimo della "musica cosmica" in "Alpha Centauri" (1971). Quindi, in seguito all'abbandono di Schroyder, ingaggia Hans Peter Baumann.

"Zeit" è il primo disco firmato dal trio Froese-Franke-Baumann, che diventerà la spina dorsale del gruppo. I Tangerine Dream lasciano definitivamente in soffitta gli strumenti del rock tradizionale per concentrarsi solo sui sintetizzatori elettronici. Il loro presupposto è di portare in musica il fascino delle arti visive, attraverso una serie di "viaggi siderali". Un risultato che sui solchi di "Zeit" si traduce in una sequenza di suite, spesso frutto di improvvisazione nello stile del rock psichedelico, ma anche del free-jazz e della musica d'avanguardia, con i sintetizzatori che sprigionano ronzii galattici nel grande vuoto dell'Universo. L'ascoltatore viene così immerso in un vortice di dissonanze, echi, riverberi, rumori e distorsioni elettroniche, sospeso nel vuoto dell'assenza totale di ritmo.

Disco doppio, oscuro e minaccioso fin dalla copertina, "Zeit" è una sinfonia in quattro movimenti (uno per facciata), all'insegna di un minimalismo rigoroso e di trattamenti elettronici stile Stockhausen. I suoi quasi 75 minuti di musica sono costruiti su una serie di strati sonori in dialogo costante con scampoli di silenzio. La dissonanza è assoluta protagonista e funge da trait d'union fra le quattro tracce. Ma a connotare l'opera è anche la qualità visionaria, quasi "pittorica" di queste scorribande spaziali.

La tetra ouverture di "Birth Of Liquid Plejades" si apre con un quartetto di violoncelli, che fluttuano quasi in assenza di gravità. Un effetto di "phase shifting" introduce alla seconda parte del movimento, caratterizzata da un timbro liquido che parrebbe quasi raffigurare il materiale siderale allo stato embrionale. A dominare la scena sono le brezze elettroniche dei due VCS3 (Franke e Baumann) e le detonazioni cupe del generatore di Froese. Dopo circa un quarto d'ora, prende forma la terza parte del brano, segnata da una fitta rete di dissonanze, lasciate fluttuare in una nebulosa di organo e moog (quest'ultimo suonato da Florian Fricke dei Popol Vuh). L'idea, ancora una volta, è quella di un viaggio interstellare in cui scorrono note maestose e suoni al rallentatore. Riverberi spaziali, sibili di asteroidi, echi lontani, rumori metallici si susseguono su un fondale sonoro a-ritmico, ma sempre cupo e carico di suspence. Un senso di vuoto al cospetto del Cosmo sconfinato suscita anche la politimbrica "Nebulous Dawn", che inizia simulando la partenza di una ipotetica stazione orbitante spaziale, per sfumare progressivamente in una dimensione sonora sempre più eterea e impalpabile.

L'esile trama di "Origin of Supernatural Probabilities" è talmente rarefatta da lambire la new age di molti anni dopo: a un preludio affidato a un silenzio inquietante, appena solcato da qualche accordo di chitarra in lontananza, fa seguito l'inizio di un lungo "pattern", che sembra quasi far ribollire un miscuglio di bolle d'aria, con la chitarra elettrica a disegnare ghirigori astratti sullo sfondo. E la mente torna al magico balletto delle astronavi di "2001: Odissea Nello Spazio", il capolavoro di Stanley Kubrick.

Il quarto e ultimo movimento, ovvero la title track, è insieme il più pretenzioso e il più impressionante. Da questo magma sonoro cupo e a tratti disturbante, da questi sibili di vento stellare, sembra quasi sprigionarsi un'energia misteriosa. E' un glissando di basso ad anticipare l'immersione in un abisso cosmico, che assomiglia molto da vicino al buio della mente, ai recessi più oscuri della psiche.

Le incursioni tra le Pleiadi di "Zeit" rievocano le saghe spaziali di Isaac Asimov, ma anche gli scenari più foschi dell'Apocalisse biblica. Sono miscele di suoni provenienti sia dalle culture occidentali, sia da quelle orientali, specialmente arabe. L'incedere monotono degli oscillatori e i tappeti sinfonici, che scaturiscono dai synth e dai mellotron, prefigurano paesaggi lontani, mistici, alieni, ma allo stesso tempo presenti nel nostro inconscio. Concept album sul "tempo", sul tempo dello spazio, dilatato all'infinito, ma anche sul tempo dell'uomo, sull'evasione dai ritmi ossessivi che ne scandiscono le vicende quotidiane, "Zeit" ci rivela che è anzitutto alla nostra galassia che dobbiamo volgere lo sguardo per raggiungere l'equilibrio interiore.

12/11/2006

Tracklist

  1. Birth Of Liquid Plejades
  2. Nebulous Dawn
  3. Origin Of Supernatural Probabilities
  4. Zeit