Small Faces

Small Faces

I piccoli mod che conquistarono Londra

Fondati a Londra nel 1965, dal cantante e chitarrista Steve Marriott e dal bassista Ronnie Lane, gli Small Faces hanno rappresentato una delle più originali e influenti esperienze mod degli anni Sessanta. Dal rock aggressivo degli esordi alla psichedelia freakbeat della maturità, la storia travagliata di una delle formazioni più sottovalutate di una stagione musicale formidabile

di Mauro Vecchio

Gli Small Faces erano una band molto diversa dai Faces. Lo so, noi tre eravamo gli stessi, ma se tagli fuori Steve Marriott, allora è un gruppo molto diverso
(Ian McLagan)

Ah, non sarebbe bello andare d'accordo con i miei vicini? Ma lo dicono molto chiaramente, non hanno spazio per gente che fa casino. Mi fermano quando mi diverto, mi battono sul muro... pomeriggio di una pigra domenica, non ho la testa per preoccuparmi, chiudo gli occhi e volo via...
(Steve Marriott)

(Intro)ducing the band...

Steve Marriott, chitarra e voce


Stephen Peter Marriott nasce il 30 gennaio 1947 in una grande stanza all'East Ham Memorial Hospital, che si estende tra Manor Park e West Ham nella zona est di Londra, nel borough di Newham. Il bambino nasce prematuro, pesa nemmeno 2 chilogrammi. Il padre, Bill Marriott, è un uomo della working class inglese: lavora come stampatore e arrotonda vendendo ostriche davanti all'hotel Ruskin Arms. Appassionato di musica, Bill suona occasionalmente al piano nei pub della zona. Decide di comprare al figlio ukulele e armonica per cercare di trasmettergli il suo stesso hobby, riuscendo a infondere nel giovanissimo Stephen l'amore per le sette note. Dopo un breve periodo da busker alle fermate degli autobus, Stephen forma la sua prima band a dodici anni con i compagni di scuola Nigel Chapin e Robin Andrews: The Wheels, poi rinominati Coronation Kids e infine Mississippi Five. Il ragazzino ci sa fare, fin da subito. Il suo idolo è Buddy Holly e la sua prima canzone originale si chiama "Sheila My Dear", in onore di sua zia. Esuberante, socievole, iperattivo: Stephen Marriott capisce subito come scatenarsi durante le prime esibizioni il sabato mattina all'Essoldo Cinema nell'area di Manor Park, dove è nato.
Nel 1960, il padre scopre per caso un annuncio sul giornale dove si cerca un attore per una parte nel musical di Lionel Bart "Oliver!", tratto dal celeberrimo "Oliver Twist" di Charles Dickens. Senza nemmeno dirlo al figlio, Bill iscrive Stephen per la parte: a tredici anni, il giovane Marriott si trova sul palco del New Theatre per cantare "Who's Sorry Now" e "Oh, Boy!", proprio dell'idolo Buddy Holly. Lionel Bart è impressionato dalle capacità vocali di Stephen e decide di assumerlo, con una paga di otto sterline a settimana per un totale di dodici mesi sul palcoscenico. Trascinati dal successo dell'"Oliver Twist", i genitori di Stephen lo incitano a continuare e lo convincono a unirsi all'Italia Conti Academy of Theatre Arts di Londra. L'opportunità è ottima e può garantire al ragazzo diversi ruoli sia al cinema che in tv, ma Stephen progressivamente si stufa e torna al suo primo amore: la musica. I genitori, devastati dalla notizia, lo mettono sotto torchio e lui decide di andarsene di casa per trasferisi da amici.

Anno 1963. Marriott inizia a scrivere le sue prime canzoni, prima "Imaginary Love" e poi "Give Her My Regards", senza alcun riscontro commerciale. Nonostante l'iniziale interesse della Decca Records, i Mississippi Five si sciolgono: Stephen forma prima i The Frantiks e poi i The Moments che riescono anche ad andare in tour con gruppi come The Animals e bluesman di livello come John Mayall. La band ha del potenziale e potrebbe sbarcare negli Stati Uniti, a patto di registrare una versione di "You Really Got Me", massima hit dei Kinks. La cover dei Moments non è all'altezza e Marriott viene estromesso dal gruppo perché ritenuto "troppo giovane per diventare cantante solista". Deluso dall'esperienza, Stephen decide di abbandonare la carriera musicale trovando lavoro al J60 Music Bar, un negozio di strumenti musicali in High Street North, area Manor Park.

Ronnie Lane, basso e (talvolta) voce

Ronald Frederick Lane nasce il 1° aprile 1946 in un'altra grande stanza al Plaistow Maternity Hospital, nella stessa area metropolitana di Newham, est di Londra. Il padre, Stanley, è un camionista e proviene dalla stessa working class di Bill, il padre di Stephen. La vita quotidiana, nella famiglia Lane, non è affatto semplice: Stanley guida per innumerevoli ore al giorno e quando torna a casa deve fare i conti con ben due figli affetti da sclerosi multipla. Il giovane Ronald non è affatto tagliato per gli studi, infatti lascia la scuola a sedici anni per sbronzarsi al pub insieme all'amico Kenney Jones. Durante una delle innumerevoli serate alcoliche, decidono di formare un gruppo musicale, gli Outcasts. Lane, inizialmente impratichitosi alla chitarra, decide di abbracciare il basso, innamorato dei ritmi suadenti e caldi delle scuole Motown e Stax. A poco meno di vent'anni, Ronald viene accompagnato dal padre Stanley in un negozio di strumenti musicali per acquistare una chitarra basso. Il negozio si chiama J60 Music Bar.

Ian McLagan, organo e tastiere

Ian Patrick McLagan nasce il 12 maggio 1945 al West Middlesex Hospital nell'area di Isleworth, ovest di Londra. Il padre, Alec William McLagan, è di origini scozzesi e ha un trascorso inusuale, essendo stato campione nel 1928 di speed-skating. Inizialmente, Ian si innamora della chitarra, facendo parte del gruppo The Blue Men. Abbandonati gli studi primari, il giovane McLagan si concentra sulla musica fin dal 1960, deviando i suoi sforzi dalla chitarra al piano elettrico nella seconda band chiamata Muleskinners, trasferendosi nei Boz People di Boz Burrell.

Kenney Jones, batteria

Kenneth Thomas Jones nasce nel quartiere di Whitechapel il 16 settembre 1948. Cresciuto nell'East End di Londra, Kenneth prende subito dimestichezza con la batteria, fin dalla tenera età di tredici anni quando guida la sezione ritmica di un gruppo skiffle amatoriale. Innamorato di gruppi come Booker T. & The MG's, Jones diventa batterista professionista dopo nemmeno due anni, prima di incontrare l'amico Ronald Lane ed entrare nel suo primo gruppo, The Pioneers.

Vorrei comprare un basso
Quello è davvero un bel basso, amico!
(Steve Marriott)
Questa storia inizia nel 1965, quando il giovane Ronnie Lane viene accompagnato dal padre Stanley a comprare una nuova chitarra basso al negozio di strumenti musicali J60 Music Bar. L'area è quella di Manor Park, sobborgo residenziale a est di Londra. Al bancone del negozio sta lavorando Stephen Marriott, che ha da poco mollato il suo ultimo gruppo, The Moments. Ronnie e Steve parlano di musica, scoprono subito di avere tante passioni musicali in comune, come ad esempio i dischi della Stax o della Motown. Dopo aver acquistato il suo basso, Lane accetta l'invito di Marriott: si reca a casa sua per ascoltare musica, ma soprattutto a parlare di quanto sarebbe fantastico dare vita a una nuova band. Il caso vuole che Ronnie abbia già un amico pronto, il batterista Kenney Jones. E un altro tizio chiamato Jimmy Winston, che accetterebbe di mollare il suo primo strumento, la chitarra, per spostarsi alle tastiere. Sembra tutto subito perfetto, anche perché i genitori dello stesso Winston gestiscono un pub, il Ruskin Arms, dove i quattro possono iniziare a provare nella loro prima formazione con Lane al basso e Marriott alla voce solista e chitarra.
Nella piccola sala da ballo sul retro del Ruskin Arms, Winston cerca di fare pratica con un nuovo organo Vox, mentre Marriott si schiarisce l'ugola cercando di imitare i suoi innumerevoli idoli statunitensi, da Ray Charles a Buddy Holly. Il fratello di Winston si offre di guidare un van per portarli in giro a suonare per l'area est di Londra. Fervidi seguaci del movimento mod, i quattro scelgono il nome Small Faces per due motivi: da una parte la minuta statura di tutti (small), dall'altra il concetto di faccia (face) che nella stessa cultura mod richiama il concetto di leader, di qualcuno che ha un bel viso, degli abiti alla moda e tante belle ragazze tra le mani.

Agli inizi, la band si concentra sui grandi classici dell'R&B e della soul music - tra i tanti, "Stand By Me" di Ben E. King e "Please Please Please" di James Brown - ma i suoi componenti, in primis la coppia formata da Lane e Marriott, sono già fin troppo pronti per il grande salto. Già seguiti da una nutrita schiera di mod nell'East End di Londra, gli Small Faces si lanciano subito in un primo tour tra Manchester e Sheffield, anche se non guadagnano un soldo, pressati in quel van ricavato da un vecchio veicolo della polizia inglese. Tornati a Londra, i quattro si mettono subito a lavorare sui primi brani originali, che partono proprio dalle architetture rhythm & blues, ma con un approccio molto più nevrotico, veloce e pesante, guidato dall'ottima tecnica della sezione ritmica. A completare il quadro, ispirato da uno dei suoi eroi, Otis Redding, Steve Marriott ha uno stile vocale unico, di grande potenza e versatilità. Le prime esibizioni degli Small Faces attirano l'attenzione a Newham, in particolare del manager Don Arden, che decide senza pensarci troppo di farli mettere sotto contratto alla Decca Records.

L'esordio Decca
Durante il periodo con la Decca, la maggior parte del materiale veniva dalla penna di Steve, diciamo il 99% del materiale
(Kenney Jones)

Small Faces - Steve MarriottClasse 1926, Don Arden - all'anagrafe Harry Levy - viene da una famiglia ebrea di Manchester e ha iniziato la sua carriera nella musica a soli tredici anni, come cantante. In pochi si ricordano di lui per le esibizioni sul palco, mentre scimmiottava Elvis Presley in una versione di "Blue Suede Shoes" per l'etichetta Embassy. Nel 1954 capisce che il suo futuro non è l'arte canora, bensì il business musicale, decisamente più profittevole. Sei anni dopo mette sotto contratto il rocker americano Gene Vincent, ma i problemi di alcolismo di Gene minano il rapporto professionale. A Londra, Arden è noto per le sue maniere aggressive e per le sue strategie di business al limite della legalità. Viene soprannominato "Mr. Big" o "Yiddish Godfather".
Nel 1965 avviene l'incontro decisivo con gli Small Faces, nel suo ufficio a Carnaby Street: nemmeno mezz'ora di tempo e Marriott e soci sono sotto contratto per la Decca Records. Il singolo con cui la band debutta sul mercato discografico si chiama "Whatcha Gonna Do About It": esce il 6 agosto 1965 ed è firmato da Lane e Marriott con un evidente "prestito" del riff di "Everybody Needs Somebody To Love" di Solomon Burke. Il brano funziona e scala la classifica della Top 20 Uk Singles Hit, seguito a ruota dalla ballad sincopata "I've Got Mine", che incarna perfettamente lo stile mod-soul portato avanti dalla band, trascinato dal basso insolitamente prepotente di Lane e dalla voce anfetaminica di Marriott. Il brano viene anche inserito nella colonna sonora del film crime "Dateline Diamonds" (1965), ma la mossa non frutta la pubblicità sperata.
In seguito all'apparizione nel film "Dateline Diamonds", le frizioni interne al gruppo portano all'abbandono di Winston, non solo perché troppo anziano (e alto) per gli standard della band, ma anche (e soprattutto) per i suoi innumerevoli tentativi di scavalcare Marriott nel ruolo di leader. In realtà, Winston è un adattato alle tastiere - il suo strumento naturale è la chitarra - e lo stesso Steve si è trovato più volte a spiegargli i fraseggi. Don Arden si convince che Winston sia da sostituire, così viene chiamato per un'audizione il tastierista professionista Ian McLagan, su suggerimento di Lane che lo ha visto esibirsi con i Boz People.

Con l'avvento di McLagan, Marriott e Lane possono concentrarsi definitivamente sulla propria verve compisitiva, potendosi affidare a un tastierista esperto. All'inizio del 1966 parte un primo tour europeo, tra Belgio, Olanda e Germania. A gennaio esce il singolo "Sha-La-La-La-Lee" che scuote l'ambiente inglese con il suo pop-beat orecchiabile arrivando al numero 3 nella classifica dei singoli. È il preludio alla pubblicazione del primo album Small Faces, uscito per la Decca nel maggio 1966.
Aperto dalla batteria tribale di "Shake", Small Faces è un esordio da manuale per la band di Lane e Marriott, pietra angolare del mod sound e diretto avversario di "The Who Sings My Generation", titolo scelto dalla stessa Decca Records per la versione Usa del disco di Townshend e soci. Molto simili nello stile vocale, Steve Marriott e Roger Daltrey si contendono il ruolo di primo frontman del movimento mod, con il primo ad avere dalla sua una temperatura maggiore sul termometro soul ("Come On Children" e "You'd Better Believe It", con l'ottimo lavoro all'organo di Ian McLagan). "It's Too Late" e "The Good's Gone" - quasi impossibile capire chi ha copiato chi - sono i brani, che nell'anno della Regina 1966, fanno a cazzotti per decretare chi tra Small Faces e Who è il gruppo principe di Londra.
Come quello degli Who, il sound della band di Marriott è ai limiti dello spaccatimpani (il breve beat distorto "Own Up Time") e di fatto rivista la musica afroamericana aprendo alla stagione hard-rock con alcuni anni d'anticipo, come nella mastodontica "You Need Loving" che verrà trasformata dagli Zeppelin in "Whole Lotta Love". L'album è un piccolo capolavoro del suo tempo, un disco seminale per il beat inglese e per il futuro stesso del rock più aggressivo.

L'album Small Faces ottiene un buon riscontro sia dai critici musicali che dai comuni ascoltatori inglesi, portando la band a diventare protagonista di programmi estremamente noti in quegli anni come Ready Steady Go! e Top Of The Pops. Nell'autunno 1966, i quattro si preparano per il primo tour negli States, a due anni di distanza dalla British Invasion dei Beatles. Il gruppo è spinto dal nuovo singolo "All Or Nothing", altro numero beat in formato ballata con una performance canora da brividi per Marriott. Negli Usa, il gruppo dovrebbe fare da supporting act a Lovin' Spoonful e Mamas & Papas, tra i massimi esponenti del movimento flower power. Il grande sogno sfuma presto: Don Arden calcola costi troppo alti e Ian McLagan viene beccato all'aeroporto di Heathrow con un bel po' di cannabis in tasca. Per le leggi statunitensi sull'immigrazione, gli Small Faces non potranno mettere piede al di là dell'Atlantico.
Il mancato tour statunitense lascia un segno, prima del peggio. Alla fine del 1966, mentre il gruppo sta rientrando a Londra da un concerto a Newcastle, l'ex-fidanzata di Steve, Adrienne Posta, viene intervistata alla radio. I quattro si sintonizzano per curiosità, prima di apprendere con sommo stupore l'uscita esclusiva del nuovo singolo degli Small Faces, la power ballad a firma Marriott, "My Mind's Eye". Il brano che esce in radio non è altro che una demo, una prova che lo stesso Marriott aveva affidato a Don Arden per fargli capire la direzione del nuovo lavoro della band. Arden, senza pensarci due volte, ha consegnato il singolo alle radio. È l'ultima goccia: gli Small Faces, che già lamentavano pagamenti non ricevuti da Arden, rompono con "Mr. Big" e di conseguenza con la Decca Records.

Here Come The Nice
Fu solo successivamente, con la Immediate, che Ronnie fu più coinvolto nel processo creativo. Il primo album che abbiamo realizzato con la Immediate era composto al 50% da canzoni di Steve e al 50% da canzoni di Ronnie. Non collaboravano come molte persone pensano. Infatti, quando lo facevano, finivano sempre per litigare e fare a botte
(Kenney Jones)

Small FacesAnno 1967. Gli Small Faces sono in un limbo, non hanno un manager e manca il nuovo contratto discografico. Ci pensa Mick Jagger, che organizza un incontro nell'appartamento di Ronnie Lane a Earls Court con il manager degli stessi Rolling Stones, Andrew Loog Oldham. Due anni prima, Oldham ha fondato la Immediate Records, tra le prime etichette indipendenti nel Regno Unito. Dopo il disastroso rapporto con Arden e Decca, la band stabilisce subito un feeling naturale con Andrew, che parla lo stesso linguaggio di Marriott e soci, capendo davvero il tipo di musica che stanno producendo. "Liberatevi completamente, e vediamo che cosa succede", è quello che Oldham dice ai quattro. Il 10 febbraio 1967, gli Small Faces firmano per la Immediate Records e si guadagano la possibilità di lavorare con uno dei migliori ingegneri del suono in circolazione, Glyn Johns.
Il 2 giugno 1967 esce il primo singolo per la Immediate, "Here Come The Nice". Firmato dalla coppia Lane-Marriott, il brano è il primo passo intrapreso dalla band verso il pop psichedelico, pur restando fedele al mod-beat degli esordi. Letta da molti come un inno alla droga - in effetti si parla di speed, l'anfetamina molto in voga tra i mods alla metà dei Sixties - "Here Come The Nice" è quel tipo di brano che il vecchio manager Don Arden non avrebbe mai rilasciato, ora invece spinto da Oldham e soprattutto da Johns che sostituisce il classico fade-out finale con un effetto sonoro che ricorda il tipico saliscendi vissuto in prima persona dai consumatori di droghe.

"Here Come The Nice" è il preludio all'uscita del secondo album della band, nuovamente intitolato Small Faces, quasi a voler cancellare completamente la prima esperienza con la Decca. Pubblicato per la Immediate alla fine di giugno, Small Faces è un'altra gemma sonica che proietta l'estro compositivo e canoro di Marriott nella troposfera dei grandi musicisti.
Fin dalle prime schitarrate psichedeliche di "(Tell Me) Have You Ever Seen Me?", l'opera è la versione anfetaminica e beat portata dagli Small Faces alle porte psichedeliche della Summer of Love del 1967. Da "Become Like You" a "Green Circles", la band attraversa i confini del pop psichedelico restando fedele all'architettura mod-soul-beat che li sta consacrando ad est di Londra.
Amatissimo negli anni da tutti i fan del gruppo, Small Faces è un lavoro che lascia grande spazio alla sezione ritmica - in particolare il basso di Lane in "All Our Yesterdays" e "Eddie's Dreaming" - costruendoci sopra delle piccole cattedrali pop-beat (la killer-song "Talk To You" e "Things Are Going To Get Better", che merita una menzione speciale perché è l'embrione di certe sonorità inglesi che verranno più tardi catalogate con il termine britpop) in particolare grazie al lavoro di McLagan all'organo. Anche noto come "The Debut Immediate Album" - mossa dei fan per distinguerlo dal primo e soprattutto per seguire la band nella rottura violenta con Arden e Decca - Small Faces è in definitiva il disco che allarga gli orizzonti, che trasforma un gruppo di mod piccoletti in veri e propri artisti.

Per ripicca, e per sabotare il successo del secondo Small Faces, la Decca fa uscire nello stesso mese la compilation From The Beginning, che presenta moltissimo materiale non ancora uscito su disco. La raccolta è perciò quasi un disco nuovo di zecca, come una sorta di B-album del primo Small Faces. Il sound è quello del recentissimo esordio, un beat frastornante imbevuto di soul e rhtyhm & blues. Dal basso imperioso di "That Man" alla balbuzie di quella "Baby Don't You Do It" ripresa anche dagli Who, From The Beginning fa da completamento a Small Faces e permette di comprendere al meglio il nuovo fenomeno mod londinese.

Nell'agosto 1967 gli Small Faces rilasciano il nuovo singolo "Itchycoo Park", prima canzone inglese in cui viene utilizzato il flanger, un effetto musicale elettronico realizzato mediante l'impiego di una linea di ritardo, con tempi elevati, attraverso cui viene fatto passare il segnale da trattare. Il brano contiene stili molto diversi tra loro, tra la psichedelia pop e lo stornello folk, e ottiene un rapido successo sia in Uk che negli Usa. Seguito a dicembre dal pregevole beat corale (quasi orchestrale) di "Tin Soldier", il singolo entra nell'album successivo per la Immediate, il primo a essere distribuito negli Stati Uniti.
There Are But Four Small Faces viene pubblicato nel marzo 1968 e prosegue sul percorso intrapreso dalla band di Marriott e Lane verso il freakbeat, ovvero un mix tra mod-beat e psichedelia pop. Capostipiti di questo nuovo genere ibrido sono appunto "Itchycoo Park", ma anche brani fondamentali come l'agrodolce "Up the Wooden Hills", la demenziale "I Feel Much Better" e la drogata "Here Comes The Nice". L'album, che è pensato per aggredire il mercato statunitense dopo il successo di "Itchycoo Park", contiene comunque brani già sentiti in Inghilterra come "Green Circles" e "My Way of Giving", per questo non è nemmeno corretto parlare di un "nuovo album", così come non è propriamente giusto indicare From The Beginning come una semplice compilation.
Ma il meglio, per gli Small Faces, deve ancora arrivare.

La favola di Happiness Stan
Le band inglesi hanno avuto un approccio insolito alla psichedelia sin dall'inizio, spesso preferendo assumere diverse "personae" musicali nei loro album o fingendo ruoli effettivi nel contesto di uno spettacolo di varietà (come in "Sgt. Pepper's"), o semplicemente come narratori alla maniera dei Pretty Things in "S.F. Sorrow", o attori/performer come in "Tommy". Gli Small Faces hanno provato tutti questi approcci, ma non hanno mai ammorbidito il loro suono
(AllMusic Guide)

Small FacesGennaio 1968. Gli Small Faces sono in tour con gli Who nel cosiddetto "Big Show", che sbarca in Oriente, prima in Thailandia e poi in Australia e Nuova Zelanda. La fama guadagnata con il singolo "Itchycoo Park" porta folle di giovani urlanti alla maniera dei Beatles. Pur giocandosela tranquillamente alla pari come suprema mod band di Londra, il gruppo di Townshend e Daltrey è decisamente più avvezzo alla dimensione live, mentre gli Small Faces sembrano quasi impacciati, abituati più che altro a continue comparsate in tv e lavoro in studio. Probabilmente, avessero avuto più elettricità nei live, staremmo parlando ora di una band molto più conosciuta e amata nella storia del rock.
Una notte, al vecchio Sydney Stadium, il pubblico aussie non gradisce l'esibizione della band e inizia a tirare monetine verso la base del palco. Marriott è fuori di testa e inizia a insultare e minacciare tutti, promettendo di far scorrere del sangue. Se il rapporto con Lane non è già idilliaco, quello con il pubblico è da brividi.
Tornati a esibirsi in Europa - in Italia c'è una data allo storico Piper Club di Via Tagliamento, a Roma - gli Small Faces scoprono ancora una volta l'uscita di un singolo a loro insaputa. All'inizio di aprile esce per la Immediate "Lazy Sunday", che è come un vigoroso calcio in culo a tutti i fan del mod-beat. Ispirato al sound da music-hall dell'East End di Londra, "Lazy Sunday" scatena tutta la verve teatrale di Marriott che decide di cantare (o recitare) in puro accento cockney. Scritta dallo stesso Marriott dopo continui litigi con i vicini di casa - oltre che con i membri degli Hollies che lo accusavano di non saper cantare nel suo stesso accento - "Lazy Sunday" è uno spartiacque nella musica del gruppo, fatto uscire subito da Loog Oldham che ne ha intuito il grande potenziale.
Da vecchia volpe del music business, Oldham azzecca la mossa, pur facendo infuriare il gruppo. "Lazy Sunday", con il suo andamento da vaudeville sboccato, arriva al numero due delle classifiche d'Albione. Svariati anni dopo, un certo John Joseph Lydon ammetterà il notevole impatto della voce sboccata di Marriott sul suo modo di cantare.

Ogdens' Nut Gone Flake è il primo concept album degli Small Faces, uscito per la Immediate il 24 maggio 1968 e per ben sei settimane al numero uno della Uk Album Chart dell'anno. Registrato in circa cinque mesi agli Olympic Studios di Londra, il disco rappresenta l'apoteosi della creatività di Marriott e Lane, un capolavoro assoluto della psichedelia freakbeat applicata al formato rock-opera. L'album è aperto in maniera geniale dalla title track strumentale, che in realtà è un remake del secondo singolo "I've Got Mine" (un flop nel 1965) con la sovrascrittura di parti orchestrali floreali guidate dal mellotron e dagli archi guidati da David McCallum senior.
L'intera prima parte del disco contiene un mix di generi solo apparentemente slegati tra loro, dalla ballad soul che proviene dallo spazio, "Afterglow", a "Long Agos And Worlds Apart", altra ballata psichedelica firmata da Ian McLagan. Inizialmente distribuito in uno speciale package che riproduce la scatola di metallo contenente il tabacco - Ogden's Nut-brown Flake è infatti una marca di tabacco introdotta a Liverpool nel 1899 da Thomas Ogden - il disco prosegue con il primo numero di vaudeville in stile cockney "Rene", che si snoda come un serpente da palcoscenico tra armonica blues e una impareggiabile coda strumentale psichedelica. Che Ogden's Nut Gone Flake sia un capolavoro lo si capisce dalla successiva "Song Of A Baker", che cambia completamente tonalità e accelera verso un proto-heavy; prima di tornare nell'East-End con la già citata "Lazy Sunday".
La seconda parte del disco è basata su una favola originale che narra le vicende di un ragazzo chiamato Happiness Stan, in sostanza un gruppo di sei brani interconnessi e narrati dall'attore comico inglese Stanley Unwin in un linguaggio nonsense chiamato unwinese. Dagli accordi orientali di "Happiness Stan", la fiaba segue la sua ricerca per trovare la metà mancante della luna. Lungo la strada, salva una mosca dalla fame e in segno di gratitudine l'insetto gli dice che c'è un uomo saggio che può rispondere alla sua domanda e anche raccontargli la filosofia della vita stessa. Seduto sulla schiena della mosca gigante, Stan intraprende un viaggio psichedelico alla grotta di "Mad John", il quale gli spiega che la scomparsa della Luna è solo temporanea, dimostrando che Stan ha trascorso così tanto tempo nella sua ricerca che la Luna è ora di nuovo piena. Poi canta a Stan una canzone allegra sul significato della vita. Tra l'hard-rock di "Rollin' Over" e gli psych-folk "The Hungry Intruder" e "Mad John", la seconda parte di Ogden's è qualcosa di completamente diverso, una piccola fiaba in musica che entra di diritto tra i lavori più importanti degli anni 60, non così inferiore a lavori ben più blasonati e portati in trionfo dal music business dell'epoca.

Ogdens' Nut Gone Flake si rivela un album troppo difficile da portare in tour, forse troppo grande per una band che dal vivo non ha mai trovato grande alchimia. L'unica versione live - e solo della seconda parte del disco - viene trasmessa al programma Bbc Late Night Line Up: Colour Me Pop, ma non rende giustizia all'originale perché sono troppi gli effetti e le orchestrazioni registrati in studio, per non parlare degli interventi narrativi impossibili da replicare sul palco.
Orgogliosi del lavoro prodotto, gli Small Faces tornano in tour, ma si accorgono presto che la loro reputazione non è affatto cambiata. Vengono ancora visti come una teen band accolta da ragazzini urlanti, che non hanno nessuna intenzione di ascoltare davvero la loro musica. I dissidi interni crescono, perché dopo "Ogdens'" sembra impossibile capire quale dovrà essere la loro nuova direzione compositiva. A complicare la situazione, altri dissidi con la Immediate per le royalties, proprio come qualche anno prima con Arden e la Decca Records.

Carattere già complicatissimo, Steve Marriott decide di registrare da solo lo strambo singolo country-rock "The Universal", che nel luglio 1968 si ferma al 16° posto in classifica prima di sparire nel vuoto. In realtà, il tentativo di Steve è molto migliore di quanto si creda, perché di fatto cerca di avvicinare gli Small Faces al sound che avrebbe fatto la fortuna degli Zeppelin pochi anni dopo. Ma la situazione è ormai incandescente, e lo stesso Marriott comincia a collaborare sempre più frequentemente con il chitarrista Peter Frampton. A novembre, la band inizia una serie di concerti inglesi insieme agli amici Who e Joe Cocker, prima di spostarsi in Francia dove, a Parigi, Steve comunica al resto di gruppo l'intenzione di aggregare Peter Frampton. Ronnie è furioso e non vuole nemmeno considerare l'idea.
Subito dopo Parigi, gli Small Faces si esibiscono all'Alexandra Palace insieme al bluesman Alexis Korner. Qui arriva la catastrofe: Marriott chiede a Korner di suonare "Lazy Sunday", cosa abbastanza impossibile per il Muddy Waters inglese. Alla fine del brano, Steve butta la chitarra a terra e si allontana. Mentre il resto del gruppo continua a suonare sperando in un ritorno, cala un silenzio irreale tra gli spettatori.
La parola fine sull'avventura dei quattro mod di Londra est.

Cosa successe dopo
Abbiamo ottenuto qualcosa di molto speciale con i Faces. Siamo stati benedetti per i bei tempi che abbiamo vissuto
(Ian McLagan)

Small FacesDopo la rottura alla fine del 1968, Steve Marriott segue Peter Frampton nel supergruppo Humble Pie, formato insieme al bassista degli Spooky Tooth Greg Ridley e il diciassettenne batterista Jerry Shirley. La band si lega ancora alla Immediate di Loog Oldham e pubblica quattro album di ottimo blues-hard-rock fino all'abbandono di Frampton nel 1971. Marriott continuerà a portare avanti il progetto Humble Pie fino agli anni 80.
Meno pronti a ripartire, Ronnie Lane, Kenney Jones e Ian McLagan si legano artisticamente al sodalizio Ronnie Wood-Rod Stewart, prima suonando nei primi dischi da solista di Rod The Mod e poi dando vita al progetto Faces.
Nel frattempo, il 1 maggio 1969 esce l'album In Memoriam: come per From The Beginning, la compilation "postuma" degli Small Faces contiene diversi inediti, soprattutto brani realizzati durante i mesi di produzione di "Ogdens'". Tra gli originali degni di nota, le cover blues-rock di "If I Were A Carpenter" (Tim Hardin) e soul di "Every Little Bit Hurts" (Ed Cobb) nella prima parte registrata dal vivo a Newcastle. Più succulenta la seconda parte di inediti registrati in studio, dalla fanfara funky-soul "Collibosher" alla potente giga blues "Call It Something Nice". Menzione speciale per lo stornello psych-folk in stile Syd Barrett, "The Autumn Stone", ultima perla dalla penna di Marriott, che dimostra ancora una volta come, al di là del suo carattere fumantino, resti uno dei compositori più sottovalutati della storia della musica inglese dei Sixties. Sebbene In Memoriam non rappresenti il giusto addio discografico agli Small Faces, "The Autumn Stone" è la degna, straziante firma conclusiva.

Per spremere all'osso la recente eredità di Marriott e soci, la Immediate pubblica un'altra compilation, questa volta doppia, nel novembre 1969. The Autumn Stone è però una retrospettiva azzeccata, perché in quattro facciate racchiude tutta l'arte del gruppo di Londra. Interessante il ripescaggio dei singoli del periodo Decca e Immediate, inclusi alcuni brani inediti che avrebbero fatto parte del quarto album, mai realizzato, dal titolo "1862". Dalla cover folk-blues di Tim Hardin, "Red Balloon", alla sottovalutata "The Universal", il doppio album contiene una diversa versione di "Afterglow Of Your Love" e, sul finale, la fanfara strumentale "Wide Eyed Girl On The Wall" e il proto-glam "Wham Bam, Thank You Mam".
The Autumn Stone è un'ottima retrospettiva, e molto meglio di In Memoriam dimostra al mondo quanto ancora avrebbero potuto innovare gli Small Faces, finiti troppo presto per diventare leggenda.

Anno 1977. Dopo la rottura dei Faces, i quattro piccoli mod tornano insieme per un video di "Itchycoo Park", che torna a dominare in classifica a dieci anni di distanza dalla prima pubblicazione in Uk. Marriott propone di tornare in studio, ma Lane - che nel frattempo vede peggiorare le sue condizioni di salute a causa di una sclerosi multipla - litiga con tutti e se ne va. I restanti membri del gruppo sono però determinati a tornare sulle scene e decidono di assoldare l'ex-bassista di Peter Frampton, Rick Willis. Ad agosto esce per la Atlantic Records l'attesissimo Playmates, che probabilmente verrà ricordato dagli storici del rock più per la sua orribile copertina che per la musica proposta dal gruppo. Marriott torna sulle tracce soul ("High And Happy") senza mordere, mentre McLagan ammorbidisce troppo l'organo fino a renderlo innocuo ("Never Too Late"). Nel pieno dell'esplosione punk, Playmates è un disco completamente anacronistico, come dimostra l'insulsa pop ballad "Tonight" o il numero rock and roll da vaudeville "Saylarvee". Mentre "Find It" scimmiotta una versione già in pensione degli Stones, solo le caldane soulful "Playmates" e "Lookin' for a Love" riescono almeno a scaldare il cuore dei vecchi fan.

Flop per la critica e per il pubblico, Playmates viene seguito a ruota nel 1978 da 78 In The Shade, che vede inserirsi la chitarra di Jimmy McCulloch, appena uscito dagli Wings di Paul McCartney. Ancora pubblicato dalla Atlantic, l'album è un altro disastro sonico, intriso di rhythm & blues scialbo come in "Over Too Soon" o "Too Many Crossroads".
Per fortuna, gli Small Faces capiscono presto che la loro creatività come band è finita da un pezzo e, mortificati da critiche impietose, decidono di sciogliersi nuovamente. Ai fan non resta che godersi l'album della serie Bbc Sessions che copre diverse esibizioni all'emittente radiofonica nazionale tra il 1965 e il 1968. Ovvero gli anni in cui la band ha dimostrato di poter competere tranquillamente con Kinks, Who e Beatles per un posto nella storia del rock.

Small Faces

Discografia

Small Faces (Decca, 1966)

8

From The Beginning (Decca, 1967)

7

Small Faces (Immediate, 1967)

8,5

There Are But Four Small Faces (Immediate, 1968)

7,5

Ogden’s Nut Gone Flake (Immediate, 1968)

9

In Memoriam (antologia, Immediate, 1969)

The Autumn Stone (antologia, Immediate, 1969)

Playmates (Atlantic, 1977)

4

78 In The Shade (Atlantic, 1978)

4

BBC Sessions: 1965-1968 (live, Strange Fruit, 1999)

7

Pietra miliare
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