Squirrel Bait

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Caos in Paradiso

Passati quasi inosservati all'epoca, gli Squirrel Bait hanno partorito una quantità di suoni (e di band) fondamentali degli anni 90. E il loro "Skag Heaven" resta un punto di approdo per tutto il punk-rock

di Tommaso Franci

Nel 1986 le chitarre degli Slint (Brian Mecmahan) e dei Bitch Magnet (David Grubbs: anche in Bastro e Gastr del Sol), supremamente coadiuvati dalla voce di Peter Searcy, la batteria di Ben Daughtrey e il basso di Clark Jhonson, furono insieme per i 25 minuti di Skag Heaven. Che bastarono a lasciare un segno indelebile nella musica rock.

Ampiamente finita la prima stagione di punk, hardcore e no-wave, a metà anni '80 si speculò, da parte di tutta una serie di gruppi grandiosi, su ciò che di intellettivamente stimolante vi era in quegli stili dirompenti: ne vennero fuori lavori contaminati (nelle forme), estremi, totali, apocalittici (nei contenuti); i figli si dimostrarono più maturi e degni di maggiore stima dei genitori; sconteranno l'ignominia dell'impopolarità, dato lo sfilacciarsi temporale della loro azione, il suo non concentrarsi e/o ridursi a movimento, dato il nichilismo anarchico di fondo che li "guidava". I Minutemen portarono l'hardcore nel jazz, i Flipper nel noise alla Velvet Underground (genialmente ribattezzato e sviluppato dai Sonic Youth), i Mission of Burma lo imbrigliarono nel rock new-wave dei Television, gli Husker Du in un pop tragico, i Fear mischiarono (per primi) il tutto, aprendo i due paralleli e opposti binari dei podisti Faith No More e dei più grandi di tutti, i Pixies.

Nel mezzo, in quell'86, stanno gli Squirrel Bait: per 25 minuti, ma sono 25 minuti di gruppo, di affiatamento e solidarietà totale alla causa del più alienato e drammatico nichilismo autoflagellante. I Prong (tanto più nobilmente sommi quanto più inascoltati) porteranno avanti questo discorso per 10 anni (dall'86 al '96), gli Helmet per 7 (dal '90 al '97).

Una lentezza metallica ossessiva e deflagrante alla Swans, un giro di pianto roco e sconfortato alla Husker Du (l'urlo lamentoso di Searcy non è meno toccante e totale di quello di Mould: e stupendamente raffinato, in un'eleganza di dolore e compassione che trova imbarazzo, come ogni altra del resto, solo dinanzi all'inarrivabile Francis Black): sono gli Squirrel Bait, che dall'unica volta del loro apparire sono destinati ad approdare a quella del sempre negli animi di coloro capaci di apprezzarne l'esclusività tutta intima di sgomento.

"King Dynamite" è subito capolavoro: giri e rigiri di lamenti su se stessi, nell'effetto, non inferiori alla commistione di dramma ed elegia, violenza e raffinatezza, di Nick Cave. Ben Daughtrey si dimostra uno dei migliori batteristi al mondo. La voce fioca, sempre al limite, sfiatata, adolescenziale, commovente e patetica di Searcy impera.

"Virgil's return" cambia schemi e tempi e svela il segreto della classe estrema degli Squirrel Bait: non rumore + melodia (velocità-lentezza) in contrapposizione prevedibile e telefonata, rumore e velocità così fissi da sortire un effetto lento, poi, bisbigliata, nascosta, come scrigno prezioso, la lacrima che immortala ogni loro maledettamente fascinoso e polveroso schizzo.

"Black light poster child" conferma, in altra e non inferiore forma, quanto appena detto.

"Choose your poison" articola un secondo capolavoro: nell'inafferrabile economia dell'insieme rimane solo da spellarsi le mani o per applaudire o per accecarsi e graffiarsi il volto, ritenendo di aver, con questo, già visto tutto.

"Short straw wirs" è un terzo capolavoro: alla deriva, perdutamente inarrestabile nel suo incedere mortalmente delicato, muore chi canta chi suona, ma non chi ascolta che non è in nessun modo aggredito o sopraffatto da questa grazia del diavolo.

"Kick the cat" è una mitragliata nuvola-forme nell'impianto e nell'affaccendarsi multiplo che sostiene originalissima, ricca zeppa di espedienti tutti poi ripresi negli anni a seguire. Con questa musica siamo in anticipo di 10 anni su quello che poi, falsi "alternativi" propineranno a pseudo-intenditori.

"Too close to the fire" è il ritorno al pianto dirotto, lamento tanto più catartico per chi ascolta quanto più esiziale per chi lo compita.

"Slake train coming" è l'irruenza dei Motorhead interrotta da singhiozzi lancinanti in effetto noise.

"Rose Island road" è uno strumentale che ruba l'accordo a un già immortale Killing Joke: in uno degli album più influenti e rivoluzionari di sempre compariva, tra l'altro, "S.O.36".

"Tape from California" è l'inevitabile struggersi in un ennesimo (il quarto) capolavoro. Gronda della superiorità di chi, da sempre, è iniziato alla miseria: un ultimo scrollarsi di spalle prima della chiusura di un album che voleva consolare chi lo ascolta (e alla fine dell'ascolto si è soli senza più consolazione) e costituire requiem per chi ne è stato l'autore (e alla fine dell'opera non aspetta che la morte, già troppo spesso tentatrice).

Dalla diaspora degli Squirrel Bait nasceranno band del calibro di Slint, For Carnation, Bitch Magnet, Bastro, Gastr Del Sol, King Kong e Palace.

Squirrel Bait

Discografia

Skag Heaven (Drag City, 1986)

8,5

Pietra miliare
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