Ci sono ambiti artistici entro i quali è difficile misurare il raggio d'influenza di un certo autore rispetto a chi gli fa seguito. In materia di musica del Novecento si era fatto un discorso analogo per John Cage, il cui lascito si misura, più che nei fatti, in un pensiero dalle potenzialità illimitate. Trattando di musica elettroacustica, si penserà invece a un gruppo di padri fondatori che per primi hanno scoperto la possibilità di creare musica astratta (anzi "concreta", nella dicitura tecnica) a partire da elementi sonori naturali. La storia ci ha consegnato, oltre alle incisioni discografiche, svariate immagini di questi manipolatori del suono, i quali concretamente mettono mano a valvole, campionatori e sintetizzatori per dare vita ai suoni del futuro, antenati di una materia che ancora oggi non smette di evolversi e che possiamo ascoltare tanto negli auditorium quanto, soprattutto, nei club.
Al di là degli schieramenti che volevano ben distinta la frangia elettronica (Stockhausen il capostipite) da quella concretista di Pierre Schaeffer, la musica contemporanea non sarebbe certo così sfaccettata e inesauribile senza il contributo di maestri come il francese Bernard Parmegiani, che pochi giorni fa è venuto a mancare alla rispettabile età di 86 anni.
Con alcuni amici lo incontrammo alcuni anni fa grazie al festival bolognese Angelica, nell'ambito del quale l'ormai anziano compositore diresse la spazializzazione di due tra le sue opere più significative, tramite un vasto impianto di speaker disposti circolarmente nell'Aula Magna dell'ex-chiesa di Santa Lucia. Era non soltanto il mio primo contatto col suo fervente immaginario, ma anche uno dei primi in assoluto con le sonorità elettroacustiche. E una tale iniziazione non avrebbe potuto essere migliore: certo, rimasi alquanto colpito dal celebre “De Natura Sonorum” (1976), tra i capolavori che anticipano in modo sbalorditivo certe derive non-musicali, che ancora oggi rintracciamo tanto nella EAI quanto nel noise più introspettivo; ma ancor più intensamente fui rapito e confuso dalla ricchezza di suoni – e il loro visionario assemblaggio – contenuti ne “La Création du Monde” (1996), in grado di dipingere nello spazio fiorenti concrezioni di particelle, la cui dispersione tra le arcate dell'Aula vi ha conferito una valenza quasi espressionistica dinanzi alla quale non ho potuto far altro, banalmente, che chiudere gli occhi e lasciarla germinare nella mente.
Fortunatamente ebbi da subito la possibilità di frequentare anche il resto della produzione di Parmegiani, poiché solo di recente essa è stata riedita in modo consistente: dapprima col box onnicomprensivo pubblicato dall'originale INA-GRM (Groupe de Recherches Musicales), fondato dallo stesso Schaeffer e presso il quale Parmegiani condusse studi determinanti per il suo percorso artistico a venire; ultimamente, altresì, nelle ristampe a cura dell'emerita Editions Mego, nel cui catalogo troviamo ad oggi i titoli “L'œil écoute / Dedans-Dehors” e il succitato “De Natura Sonorum”. Ciò nonostante, non posso certo dire di conoscere a fondo la musica di Parmegiani, così come credo che nessuno ne abbia ancora sondato in modo esaustivo tutta la complessità, propria di un innovatore del suo livello. So soltanto che dal giorno in cui, a pochi metri di distanza da me, quell'ottuagenario sperimentatore faceva rivivere la sorprendente densità della sua opera, la mia curiosità per le avanguardie musicali – d'ogni genere ed epoca – non ha mai smesso di alimentarsi(mi).
Tornando alla questione di partenza, oggi le diramazioni di una simile eredità sono talmente numerose e imprevedibili che, appunto, nessuno è in grado di stabilire l'ampiezza della progenie spirituale di questo ed altri maestri. Ma se anche non è facile – o perlomeno immediato – discernere quali artisti abbiano fatto "scuola", risulta assai meno arduo individuare coloro che hanno saputo mostrare prima di tutti le meraviglie che i nuovi strumenti elettronici sono in grado di produrre, se maneggiati con sapienza e creatività – in una parola, visione. Bernard Parmegiani era uno di questi, ed è doveroso ricordarlo.