Steppenwolf: “Magic Carpet Ride: The Dunhill/ABC Years 1967-1971” (8Cd Esoteric Recordings, 2021)
Questa storia ha origine a Oshawa, Ontario, luogo d’insediamento della divisione canadese della General Motors Company. Fu qui che il bassista Nick St. Nicholas, nel 1964, si unì a una formazione locale dedita al beat conosciuta come Jack London and The Sparrows, assieme alla quale avrebbe raggiunto in breve tempo un discreto successo grazie al singolo "If You Don’t Want My Love".
Nel settembre del ’65 il gruppo decise di modificare il nome in “The Sparrows” e, dopo essersi rilocato a Toronto e aver arruolato il cantante/chitarrista John Kay e il tastierista Goldy McJohn, scelse di abbandonare ogni riferimento al beat britannico in favore di un blues-rock di chiara matrice statunitense.
Nel ’66 la band, ora nota semplicemente come “Sparrow” decise di tentare la fortuna negli Stati Uniti. Ottenuti ingaggi regolari in alcuni club di New York, fu notata e scritturata dalla Columbia. Il singolo "Tomorrow’s Ship", però, non riscontrò il successo sperato e il gruppo decise di trasferirsi in California, dapprima a Los Angeles, poi a San Francisco. Qui aderì all’estetica della controcultura del quartiere di Haight-Ashbury e ben presto si ritrovò coinvolta nella corrente del rock psichedelico. John Kay ricorda che “all’epoca eravamo sempre sballati, così come lo era il nostro pubblico; se avevamo voglia di fare lunghi assolo di chitarra, li facevamo senza che nessuno s’infastidisse”.
Nei primi mesi del ’67 gli Sparrow condivisero i palchi con formazioni come Doors e Steve Miller Band, ma in giugno il chitarrista Dennis Edmonton (che in seguito avrebbe adottato il nome d’arte di Mars Bonfire e avrebbe lasciato un segno indelebile nella storia del rock come autore di canzoni, tra cui “Born To Be Wild”) lasciò il gruppo e il suo posto fu preso dal giovane e talentuoso Michael Monarch. Dopo poco tempo, però, delusi dall’assenza di un contratto che gli potesse garantire stabilità finanziaria, i membri si espressero all’unanimità per sciogliere la band. La storia prese una piega inaspettata quando John Kay scoprì che un suo vicino di appartamento, Gabriel Mekler, era produttore per la Abc/Dunhill Records. Dopo aver ascoltato alcune registrazioni degli Sparrow, Mekler chiese a Kay di riformare la band e, ispirandosi al titolo del celebre romanzo di Hermann Hesse “Il Lupo della Steppa” (1927), gli suggerì il nome con cui si sarebbe ricavata un posto di rilievo nella storia del rock: Steppenwolf.
John Kay (voce, chitarra e armonica), Goldy McJohn (organo, piano), Jerry Edmonton (batteria), Michael Monarch (chitarra solista) e Rushton Moreve (basso) si ritrovarono nell’appartamento di Kay per comporre nuovo materiale e, sotto l’egida di Mekler, si rivolsero agli studi Union Western di Los Angeles per registrare il lavoro d’esordio. Dopo dieci giorni in studio, però, riuscirono a incidere soltanto quattro tracce e la responsabilità fu fatta ricadere sull’ingegnere del suono. Delusi, raccolsero i frammenti delle nuove canzoni e li portarono agli American Recording Studios, dove assieme ai fonici Bill Cooper e Richie Podolor, che li avrebbero accompagnati lungo tutto il percorso sotto la Abc Dunhill. diedero vita a “Steppenwolf” (1968). L’album conteneva almeno due canzoni epocali: “Born To Be Wild”, che raggiunse il secondo posto delle classifiche statunitensi, e la ruvida, immaginifica versione di “The Pusher”, brano composto anni prima da Hoyt Axton, che avrebbe trovato posto nell’iconica colonna sonora del road movie “Easy Rider” (1969).
Nonostante Gabriel Mekler sia accreditato come produttore dell’album, Cooper sostiene che la sua utilità si esaurì nel far ottenere un contratto alla band e di essere marginalmente coinvolto nella composizione di alcuni brani: furono infatti Podolor e lo stesso Cooper a immortalare il sound ruvido e aggressivo della band e a enfatizzare l’eco naturale presente nello studio, che caratterizzò l’atmosfera di alcune tracce tra le più rappresentative della loro discografia.
Nell’ottobre del ’68 gli Steppenwolf pubblicarono il solido “The Second”, in cui compare l’hit “Magic Carpet Ride”, a cui seguì, nel marzo del ’69, “At Your Birthday Party”. L’album, che prende definitivamente le distanze dal rock/blues in favore di sonorità più graffianti, segnò l’uscita di Monarch dalla formazione e la sua sostituzione con Nick Saint Nicholas, vecchia conoscenza dei tempi degli Sparrow. Nel luglio del ’69 fu dato alle stampe “Early Steppenwolf”, che raccoglieva registrazioni dal vivo di esibizioni tenute dalla band – che all’epoca non aveva ancora adottato il nome definitivo - nel maggio del ’67 al Matrix di San Francisco; da segnalare la versione di oltre venti minuti di “The Pusher”, con un lisergico Mars Bonfire alla chitarra.
Nel frattempo, dopo aver partecipato al Miami Pop Festival nel dicembre ’68 e al Newport ’69 Pop Festival nel giugno ’69, gli Steppenwolf declinarono l’offerta, rivolta loro dagli organizzatori, di partecipare al festival di Woodstock. “Monster” (novembre ‘69) è un concept-album in cui Kay manifesta il proprio impegno sociale e si schiera apertamente contro il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra in Vietnam. “Steppenwolf Live” e “Steppenwolf 7”, entrambi pubblicati nel 1970, segnarono la fine del successo del gruppo su larga scala.
Il debole “For Ladies Only” (novembre ’71) fu l’ultimo album pubblicato con Abc Dunhill, prima dello scioglimento ufficiale che avvenne nel febbraio del ’72. Da allora il progetto Steppenwolf fu accantonato fino al ’74, quando si procedette a una prima riesumazione. La band cambiò organico negli anni e, progressivamente, perse l’originalità e la grinta che fecero di lei un riferimento assoluto per gli appassionati di hard-rock.
A fine novembre 2021 la Esoteric Recordings, affiliata dell’ormai sempre più attiva Cherry Red Records, ha dato alle stampe “Magic Carpet Ride – The Dunhill/Abc Years 1967-1971”, cofanetto antologico che raccoglie in otto compact disc l’intero lascito degli Steppenwolf sotto la Abc Dunhill. In vendita su Amazon all’imperdibile prezzo di €51,90, il box è in edizione a tiratura limitata e propone una fresca e necessaria rimasterizzazione, effettuata dai nastri originali, di tutte le tracce contenute negli otto album ufficiali, 26 bonus track estratte da rari singoli e mix mono, un ricchissimo libretto di 52 pagine contenente una preziosa retrospettiva sulla band ad opera di Malcolm Dome, autentico pioniere del giornalismo musicale rock e metal recentemente scomparso, e, infine, un piccolo e inutile poster.
Visti il prezzo e la qualità dei contenuti, l’acquisto è consigliato a chiunque desideri sapere di più sull’evoluzione del rock di fine anni Sessanta in qualcosa di completamente nuovo, che avrebbe caratterizzato in profondità l’orientamento della musica popolare negli anni a venire.