RIVA – Le Nostre Vacanze Sono Finite (2014, Full Heads)
pop
I tre napoletani Riva facevano tutti parte degli Onirica e si presentano ora con questa loro nuova formazione. La loro proposta è pop nel senso più puro del termine, ovvero che punta su immediatezza e freschezza di tutti gli elementi, ovvero melodie, suono, timbro vocale e testi. Chitarre, tastiere, ritmica tradizionale oppure digitale, i Riva non si fanno mancare niente ma misurano l’utilizzo di tutti gli strumenti allo stretto indispensabile per far sì che le canzoni risultino leggere e catchy ma non banali, con le diverse linee strumentali che confluiscono in armonie lievi ma capaci di colpire anche l’orecchio dell’ascoltatore più scafato. Ci sono canzoni con arrangiamenti più dettagliati e altre invece più essenziali, in alcuni casi si fanno sentire un po’ di più le tastiere mentre in altri sono le chitarre a essere protagoniste e in un paio di episodi emerge il pianoforte; in tutti i brani il timbro vocale è soffice e delicato ma non etereo e i testi sono improntati a momenti nostalgici oppure da vorrei ma non posso, sempre senza drammatizzare e con attitudine contemplativa con un pizzico di speranza che le cose migliorino. Soprattutto, al qualità è alta per tutta la durata del disco e in particolare tre canzoni, ovvero la title track, “Io&Te” e “Normale” sono particolarmente trascinanti e efficaci. Questo è un disco di cui non si trovano molte recensioni in Rete e noi stessi lo trattiamo in ritardo, ed è davvero un peccato perché merita molta più attenzione. Speriamo che il tempo sia galantuomo. Registrato, mixato e co-prodotto da Giuliano Dottori nel suo Jacuzi Studio. (Stefano Bartolotta 7,5/10)
SONARS – Jack Rust and the Dragonfly IV (2015, autoprodotto)
pop-rock
I fratelli David e Frederick Paysden (quest'ultimo già nei Plastic Made Sofa), inglesi di origini ma da anni trapiantati a Bergamo, varano in compagnia di Serena Oldrati il progetto Sonars, ispirato a sonorità pop-rock britanniche. Dopo una già nutrita serie di apparizioni a contest e palchi prestigiosi – uno su tutti: il main stage dell'Heineken Jammin Festival – il terzetto lombardo esordisce sulla breve durata con “Jack Rust and The Dragonfly IV”, breve concept ispirato al viaggio galattico intrapreso dal leggendario Jack Rust con la sua fidata navicella. Ciò che stupisce è la maturità sonora già in possesso dei Sonars, autori di uno stile elegante e coeso, votato alla melodia sia quando si bazzicano i territori della psichedelia (“Desert Moon”), sia quando ci si imbarca in ballate al fulmicotone (“Dragonfly IV”). Se il buongiorno si vede dal mattino, i Sonars non potranno che regalarci altre gioie in futuro (Fabio Guastalla 7/10)
FANTASMI – Fantasmi (2014, Bravo Dischi)
pop-rock
Abbiamo qui parlato recentemente dell’Ep a firma Bravo Dischi che contiene anche due canzoni da questo debutto. L’ascolto del disco non fa che confermare le buone impressioni e ai punti di forza del buon dinamismo sonoro e dell’espressività vocale si aggiunge la capacità di variare tra una canzone e l’altra per quanto riguarda sia il suono stesso che la struttura compositiva del singolo brano. La band fa convivere gomito a gomito attitudini diverse tra loro ma in qualche modo contigue: una forte intensità chitarristica (la “Notte” che già conoscevamo), un bel tocco elettronico (l’iniziale “L’Amore”), atmosfere sospese quasi da quiete prima della tempesta (“Bianca”), influenze dark-wave (“L’Ultima Febbre Romantica”). Per quanto riguarda la scrittura, ci sono canzoni nelle quali il testo è sempre in evoluzione (“All’Uscita Del Circo”) e altre in cui invece le parole sono ripetute ma non per mancanza di fantasia, bensì come espediente per enfatizzare meglio il concetto (“Le Nostre Vite”). La prova è ampiamente superate e tra l’altro un disco così mette tanta voglia di ascoltare queste canzoni dal vivo. Speriamo che riescano a suonare tanto e ovunque (Stefano Bartolotta 7/10)
TOMMASO TANZINI - Piena (2014, autoprodotto)
songwriting
Già co-fondatore dei Criminal Jokers, Tommaso Tanzini si ripresenta sulle scene con un progetto tutto nuovo che porta il suo nome e si sviluppa attorno a un cantautorato che fa dell'imprevedibilità il suo tratto distintivo. A fronte di una scena piuttosto stereotipata, Tanzini (pisano, classe 1986) preferisce declinare il suo sound attraverso atmosfere oscure e rarefatte, più sintetiche che acustiche, più esistenzialiste che autoreferenziali, finendo col bazzicare territori tra new-wave e canzone d'autore con naturale sfrontatezza e lucidità. Ciascuna delle dieci canzoni si insinua pian piano sotto pelle, trascinando con se melodie che di sovente paiono abbozzi di brani lasciati volutamente incompleti. L'arpeggio de “L'immagine” fa pensare a Jeff Buckley, mentre nelle linee vocali riecheggia Fabrizio De Andrè. “Musicista alla ribalta” ricorda il repertorio più recente proprio dei Criminal Jokers, “In bici” si adagia sull'arpeggio più emozionante del disco. Lontano dai riflettori e dalla strada maestra, Tommaso Tanzini ci consegna un esordio sofisticato eppure lieve, scarno ma ricco di suggestioni. Consigliato (Fabio Guastalla 7/10)
ALESSANDRO GRAZIAN – L’Età Più Forte (2015, autoprodotto)
songwriting, alt-pop
Ad un paio d’anni di distanza dal precedente “Armi”, ecco il nuovo disco di Alessandro Grazian. Stilisticamente non troppo distante dai lavori solisti di Roberto Dell’Era (“Satana”, “Quasi come me”), Grazian è protagonista di un cantautorato che all’occorrenza sa afferrare il giusto piglio rock (“Lasciarti scegliere”, “Se io fossi una band mi scioglierei”), ma anche immergersi in placide armonie (“Corso San Gottardo”, “Anastasia”), e cimentarsi su ritmati tappeti sintetici (“La meglio volgarità”). Il parterre di musicisti è di primissimo piano, vista la presenza di Enrico Gabrielli, Rodrigo D’Erasmo e Leziero Rescigno a comporre una backing band all star. Coprodotto da Grazian, Rescigno e Antonio “Cooper” Cupertino, “L’età più forte” contribuirà ad alimentare la notorietà di Alessandro, oramai considerabile fra i cantautori in lista d’attesa per spiccare il grande salto. Uno sforzo reso possibile grazie ad una campagna di crowdfunding realizzata fra settembre e ottobre del 2014 attraverso la piattaforma Musicraiser (Claudio Lancia 6,5/10)
SORRY, HEELS – Distances (2014, autoprodotto)
wave, alt-rock
Avevamo parlato (e bene) dei Sorry, Heels da queste parti già in occasione dell’Ep d’esordio “Wasted”. Il nuovo “Distances” rappresenta la seconda prova del quartetto, che si muove dalla parti di certa wave, ora più ipnotica (“Where The Heart Is”), ora più spedita (“The Lapse”), attualizzandola ad uso e consumi dei nostri tempi. “A Song From Below”, “ Secretly Done” e “Longing For Distance” sono le ulteriori tre tracce che completano il processo di delineazione artistica della formazione laziale. Basterebbe unire i due Ep sin qui pubblicati per ottenere un album di tutto rispetto. Un piccolo assaggio di quanto i ragazzi potrebbero riuscire a fare proseguendo su questa strada (Claudio Lancia 6,5/10)
PLASTIC MAN - Don’t Look At The Moon (2015, Black Candy)
power-pop
Affiatato terzetto di Firenze, Plastic Man propongono nel loro primo Lp “Don’t Look At The Moon” l’ennesimo revival psych-pop anni 60. Per fortuna canzoni come “Blue And Black Dream”, la sorprendentemente acrobatica, quasi post-hardcore “Black Hole”, “Mike The Center Of The World” e una “Paroxetine” dal ritornello solo strumentale, diffondono magia circense Barrett-iana oltre le loro risapute movenze. La title track è il brano baricentrico, perché in grado di spaziare da una stereotipata e freddamente calcolata ricostruzione d’epoca a una più fantasiosa operetta alla Bonzo Dog Band. Sul fronte dei refrain acchiappanti, il migliore è quello Buddy Holly-iano di “He Didn’t Know” (un pelo sotto sta il chiassoso rockabilly di “Tom’s Tree”). Più moderne sono il vaudeville satanico di “Sun Is Going Mad”, che piacerebbe ai Jennifer Gentle e soprattutto “Rolling Machine” che punta dritta al neo-garage in velocità dei Thee Oh Sees. Scandaloso sentire certe sonorità nel 2015. I groove di basso-batteria ricombinanti e una certa scattante essenzialità, però, sono dalla loro parte: se ne ricavano dodici piccoli gioielli d’antiquariato. Preceduto da un Ep omonimo (2012) (Michele Saran 6/10)
MACH SHAU! – Things Happen In Winter (2014, Moquette Records)
brit-pop/rock
Quartetto brianzolo attivo da molti anni ma non molto prolific dal punto di vista delle pubblicazioni discografiche, i Mach Shau! Tornano a farsi sentire con questo disco di sette tracce. Il loro pop-rock è di matrice chiaramente britannica sotto tutti i punti di vista: stile melodico, timbro vocale e utilizzo delle seconde voci, suono delle chitarre e modalità con cui esse vengono usate. Tutte le canzoni puntano sul classico mix tra pulizia e robustezza, che alle volte sfocia in aggressività e che in un brano invece diminuisce di intensità, il songwriting è molto legato alla forma canzone tradizionale e il cantato è ovviamente in inglese. Tutto a posto se non fosse che non c’è nulla in questo disco che faccia sì che l’ascoltatore possa ricondurlo a questa band piuttosto che a un’infinità di altre. Non ce la sentiamo di bocciarli perché le canzoni in sé sono discrete, nessuna di esse assomiglia troppo alle altre e probabilmente andarli a vedere dal vivo dev’essere divertente, ma è difficile immaginarsi chiunque aver voglia di riascoltare il disco dopo una o due volte al massimo (Stefano Bartolotta 6/10)
FREAK OPERA - Il Libro Nero Della Rivoluzione (2015, autoprodotto)
folk-pop
I campani Freak Opera debuttano con “Restate umani”, all’insegna di un pop alla Perturbazione, che nel canto imita fin nelle virgole De Andrè. Il secondo “Il libro nero della rivoluzione” propone la medesima zuppa, ma almeno nella parte iniziale dimostra una discreta maturità. A parte il breve crescendo orchestrale di “Action For Happiness”, vi sono una mazurka folk-punk con tracce noir come “Paura del sangue”, un picco di selvaggio suono punk e registri esacerbati come “Fino a domani”, e un picco di trascendenza privata come “Leggera come una piuma”, un Ligabue che si accompagna con strepiti rumoristi alla Bob Mould, senza batteria. E’ qui che la compagine guidata da Rocco Traisci (voce), Claudio Cesarano (chitarra) e Ilaria Scarico (basso e flauto), rifondata ora con l’aggiunta di Mario Paolucci, Dario Patti, un turnover di batteristi e un “uomo lavagna” (Antonio Mosca), trova un giusto vitalismo. Troppe canzoni sprecano però questi buoni elementi in deja vu amatoriali, come ad esempio “La Grandeur”, una versione light - basata sul canto monotono - di “Paura del sangue”. Unica eccezione: il flusso di coscienza “leopardiano” di “Avere 90 anni” (Michele Saran 5,5/10)
SECRET TALES - L’Antico Regno (2014, Black Widow)
epic-metal
Il debutto lungo “L’antico regno” della band-idea Secret Tales, fondata dal navigato Roby Tav, è un buon esempio di come si possa ambire all’opera rock senza possedere le credenziali minime. Plot cartapestaceo e imbarazzante abbuffata di cliché: passando dall’inetto metal operistico ai numeri più acustici le cose non migliorano ma nemmeno peggiorano, rimangono banalmente grevi (“Il canto delle sirene” più che un riferimento all’Arabia sembra uno spot d’agenzia di viaggi che non ha un infinitesimo della grazia di Loreena McKennitt). C’è anche più di qualche dubbio sull’effettiva capacità tecnica, dal mediocre, disomogeneo missaggio alle mezze stecche della cantante Tiziana Radis. Le tastiere del leader, perno degli arrangiamenti, cercano di salvare il salvabile e fanno quantomeno tenerezza (Michele Saran 3,5/10)