Autore: John Darnielle
Titolo: Master Of Reality
Editore: Minimum Fax
Traduzione: Assunta Martinese
Pagine: 121
Prezzo: Euro 14
Era come se avessi un segreto e lo capissero solo persone che non potevano aiutarmi. Ecco perché amavo quelle persone che non potevano aiutarmi. Sconosciuti in Inghilterra. Musicisti che registravano cassette.

“VAFFANCULO ANDATE TUTTI ALL’INFERNO”.
Quando si dice un
incipit lapidario. Sulla pagina di diario c’è una data: 1 ottobre 1985. Dieci giorni dopo, la seconda pagina: “VAFFANCULO ANDATE TUTTI ALL’INFERNO”.
D’altra parte, che cosa scriveresti sul tuo diario se avessi sedici anni, ti avessero appena portato in un istituto psichiatrico e ti avessero tolto l’unica cosa che conta, ovvero il tuo walkman? “ANCHE SE MI COSTRINGETE A SCRIVERE OGNI GIORNO FINCHÈ NON MI FANNO USCIRE CI TROVERETE SCRITTA SOLO UNA COSA, ABITUATEVI”.
Il primo romanzo del
leader dei
Mountain Goats, John Darnielle, risale ormai al 2008. Gli avevano chiesto un volume su “Master Of Reality” dei
Black Sabbath per la collana "33 1/3", dedicata alle pietre miliari della storia del rock. Ma per parlare del disco lui ha deciso di fare quello che gli riesce meglio: raccontare una storia. Grazie a Minimum Fax, nei mesi scorsi è finalmente arrivata l’edizione italiana del libro (il suo secondo romanzo,
“Il lupo nel furgone bianco”, l’ha portato invece da noi Rizzoli nel 2018). Giusto in tempo per celebrare i cinquant’anni dalla pubblicazione dell’album, uscito il 21 luglio del 1971.
C’è una sola voce, in “Master Of Reality”, ed è quella del protagonista Roger, rinchiuso nell’istituto psichiatrico Santa Fe Springs dopo un tentativo di suicidio. Ma tutto il libro è un dialogo, o meglio un tentativo di dialogo, con il medico incaricato di leggere il diario, Gary. Non compare mai, eppure è presente in ogni pagina. Perché da lui dipende il destino di Roger, la sua possibilità di tornare alla vita normale. O almeno di riavere una cassetta dei Black Sabbath da ascoltare.
C’è molto della vita di Darnielle, in questo suo primo esperimento letterario. A partire dalla dedica a “tutti i ragazzi di cui mi sia mai preso cura, con la più sincera speranza che la vita vi abbia donato la gioia, l’amore e la libertà che da sempre vi spettavano di diritto”. Perché Darnielle ha lavorato veramente come infermiere in un istituto come quello raccontato nel romanzo, e ha incontrato decine di ragazzi come Roger. Rispecchiandosi nella loro adolescenza tormentata sotto il cielo della California degli anni Ottanta, come una mappa infinita di centri commerciali. E poi, naturalmente, c’è la passione di Darnielle per i Black Sabbath: nel corso degli anni, ha inanellato una vera e propria saga di canzoni dedicate a Ozzy Osbourne, da quelle dell’Ep “Marsh Witch Visions” fino a “Passaic 1975”, inclusa in
“In League With Dragons” (con l’aggiunta di un pugno di altri brani rimasti per ora inediti).

Una ventina di giorni dopo il ricovero, Roger ha un’idea: sfruttare il diario per parlare a Gary di “Master Of Reality” dei Black Sabbath, per fargli capire quanto quell’album sia importante per lui, per cercare di convincerlo a ridargli il suo walkman e quella cassetta, comprata per due dollari nello scaffale dell’usato della Rhino Records. Abbandona le proteste in maiuscolo e comincia a mettersi a nudo. Parte così il viaggio tra le dieci tracce del nastro, che è poi un viaggio alla ricerca del proprio posto nel mondo, a partire da quelle lettere ondeggianti del titolo in copertina: “Io credo che il loro intento fosse spingere la gente a chiedersi ‘Cos’è la realtà?’, e magari tu dirai che è una domanda stupida”.
Subito l’iniziale “Sweet Leaf” dà a Darnielle l’occasione di confessare la sua visione della musica, attraverso la schiettezza senza filtri del protagonista: “un
riff così semplice che saprebbe suonarlo chiunque”, annota nel suo diario. Ma proprio lì sta il segreto. “Alcune delle cose più violente del mondo sono molto semplici, come per esempio una spada o anche un grosso sasso”. È per questo che i Black Sabbath sono il gruppo preferito di Roger: perché “mettono tutta la loro energia in un singolo
riff che poi ti precipita addosso come una valanga”. In più, ovviamente, c'è la figura di Ozzy Osbourne, l’anti-eroe per eccellenza (“sembra quello che ti cambia gli spiccioli in sala giochi”), che anche quando sembra finito per caso davanti al microfono ti dà la certezza di essere pronto a giocarsi tutto, “anche non ci fosse stato nessuno ad ascoltare, anche avesse fatto schifo a tutti”.
Certo, una canzone sull’erba non è il massimo per cercare di persuadere un dottore della valenza terapeutica della musica rock… “Ma questo è il vostro problema con la musica. Voi pensate che quando la ascoltiamo facciamo solo due cose, leggere le parole come se per noi fossero la Bibbia e guardare le foto dei cantanti come se fossero Gesù”. La musica, invece, è un’altra cosa. “Se quando ascolti ‘Sweet Leaf’ non senti l’atmosfera creata solo da chitarra, basso e batteria, che non ha niente a che fare con l’erba, allora o sei prevenuto, oppure non stai ascoltando bene”.
Il cuore del libro sta in questo disperato tentativo di comprensione tra giovane e adulto, nella sfida impossibile di sfondare la barriera tra la confusione dell’adolescenza e la missione educativa della maturità. Una barriera che in fondo è quella dell’alterità che ci rende estranei gli uni agli altri. “Confidavo che tu vedessi quel pezzo di me, quella parte rovinata e spezzata, e la riconoscessi, come uno stato riconosce un altro. Invece tu hai fatto quello che fanno gli stati quando si rifiutano di riconoscersi a vicenda: hai fatto finta che non esistesse”.

Se nella prima parte del libro si resta con il fiato sospeso a chiedersi se Roger riuscirà a riconquistare quella mezz’ora di musica che potrebbe salvargli la vita, la seconda parte è una lunga lettera scritta dieci anni dopo dal protagonista a Gary. Una lettera in cui il riemergere di quella vecchia cassetta dei Black Sabbath lo porta a fare i conti con tutta la rabbia e la sofferenza irrisolta che si porta dentro, e che rischia ancora di distruggere tutto (“tipo Incredibile Hulk”).
Per Roger, “Master Of Reality” avrebbe potuto essere la chiave di volta, la stele di Rosetta. “All’epoca mi faceva impazzire: per quanto eravate bacchettoni tu e tutto il tuo sistema, il messaggio di Ozzy era più vicino al vostro modo di vedere le cose che a quello della maggior parte di noi”. Perché in fondo siamo fatti tutti dello stesso desiderio: “Make a home where love is there to stay/ Peace and happiness in every day”, canta Ozzy in “Into The Void”. “Pace, pace, pace, felicità, felicità, felicità. Questo era il messaggio che ‘Master Of Reality’ era venuto a portare. È lo stesso messaggio che ci trasmettono ogni volta a Natale dicendoci che dobbiamo portarlo con noi tutto l’anno. Ma alcuni di noi che vogliono disperatamente trovare questo messaggio finiscono per trovarlo in un posto dove i suoni sono cupi e le immagini sono spaventose ed esplosive”. Dire la stessa cosa in due lingue diverse, ed essere condannati a non capirsi: ecco la vera tragedia. “Ozzy era uno di voi! Era dalla vostra parte tutto il tempo, ma voi non vi siete nemmeno dati la pena di ascoltarlo e accorgervene”.
“Master Of Reality” è l’inno di Darnielle alla forza liberatoria della musica, a quella misteriosa alchimia capace di non lasciarci sopraffare dal marchio del destino che ci portiamo addosso, di farci strisciare fuori dal masso sotto cui ci siamo nascosti e di farci riassaporare per un momento la luce del sole. Ma soprattutto è il suo inno al grande buco nel cuore che lottiamo tutta la vita per riempire, e che ci fa dare al nastro di una cassetta il valore di una promessa.
A un certo punto, Roger racconta di essersi trovato di fronte a una strana chiesa, ricavata nei locali abbandonati di una catena di negozi di scarpe. Iglesia Esperanza Nueva. “Quando passo davanti a una chiesa sento un dolore dentro”, scrive a Gary come se solo a qualcuno verso cui prova così tanta rabbia potesse confessare la verità. “Sento il suono di quella gioia e vorrei provarla anch’io”. Sembra quasi di sentire la voce dell’Innominato farsi strada attraverso le nostre reminiscenze scolastiche: “Che diavolo hanno costoro? Che c’è d’allegro in questo maledetto paese?”. Le strade della domenica sono deserte, c’è solo quella gente fuori dal negozio di scarpe riconvertito. Roger entra, si siede su una sedia da cucina insieme agli altri. La luce delle candele, il suono metallico dell’organo elettrico. “Hanno qualcosa che io non ho. Voglio anch’io quello che hanno loro, ma temo di non avere nemmeno una vaga idea di cosa sia. La cosa più vicina che io possieda sono i Black Sabbath”. In fondo, come direbbe Ozzy, è solo un’altra via per arrivare a casa. La casa in cui l’amore è destinato a restare.