In memoria di Terry Hall (1959-2022)
Fine anni Settanta. Da qualche parte nelle West Midlands sta nascendo qualcosa di nuovo, destinato a lasciare un segno indelebile nel presente e nel futuro. Nella periferia di un paese dilaniato da dissidi irrisolti e che si sta infilando nell’epoca Thatcher-iana senza sospettare che ci resterà a lungo, c'è una scena musicale che fa dell'inclusività e della mescolanza di stili, influenze e generi un tratto distintivo, per certi versi anche politico nel suo voler iniettare, quasi ostentare, una multiculturalità che rispecchia l'ambiente da cui questa musica proviene. Una sfida al razzismo e a una certa Inghilterra profonda, se vogliamo vederla così. Tutto nasce da un luogo ben preciso, Coventry, da un’etichetta appena nata, la Two-Tone Records, e (anche) dalla band in cui suona il fondatore dell’etichetta stessa, nei panni di tastierista: il suo nome è Jeremy David Hounsell Dammers e il suo gruppo ha da poco deciso di chiamarsi The Specials. Il connubio tra la città, la label e le band che ne stanno animando la scena, per quanto apparentemente piccola, per quanto teoricamente periferica, dà vita a una nuova corrente che consiste nell’iniettare nel rock britannico agenti fino a non molti anni prima esogeni quali lo ska e i suoi discendenti - il reggae e il rocksteady - in una formula che verrà poi chiamata second wave ska o, più semplicemente, 2 tone.
Un altro grande protagonista di questa vicenda è Terence Edward Hall, per tutti semplicemente Terry, frontman degli Specials. Sarà lui, anni dopo, a raccontare che cosa volesse dire crescere in quegli anni a Coventry e, in un certo senso, a spiegare perché il movimento 2-Tone sarebbe nato proprio lì: “Coventry è stata costruita sugli immigrati perché era una città industriale alla ricerca di manodopera a basso costo. Non credo sia un caso che da quel contesto sia uscito un gruppo come The Specials”. Formatasi in quel 1977 in cui il punk esplode, la band esordisce nel 1979 a braccetto con Two Tone Records che pubblica il singolo “Gangsters”. Il brano raccoglie subito un grande successo – per l’ennesima volta c’è anche lo zampino di John Peel - ed è seguito a ruota dall’omonimo album di esordio, “The Specials”, prodotto nientemeno che da Elvis Costello. Il singolo trainante, ancora oggi ben noto alle nostre latitudini, è una cover di un precursore del reggae inglese, Dandy Livingstone: “A Message To You Rudy”.
È una partenza al fulmicotone, con tanto di primo posto nelle classifiche Uk. Due anni dopo, tuttavia, per The Specials è già tutto finito. Attriti e tensioni all’interno della band hanno preso il sopravvento sull’entusiasmo iniziale, e di lì a breve il progetto si scioglierà. C’è ancora tempo, però, per un’ultima hit da rilasciare sul mercato discografico, dove in effetti rimarrà – almeno in patria – al numero uno per undici settimane consecutive. Si chiama “Ghost Town” e rappresenta meglio di qualsiasi altro brano coevo lo spirito del tempo, denso di rivolte urbane, nubi all’orizzonte, futuri post-industriali nei quali città come Coventry sembrano ormai fuori posto, decontestualizzate. Città fantasma, appunto, popolate di locali ormai chiusi, di scazzottate che hanno come teatro il luogo dove un tempo si ballava, con un ritornello che dice tutto: “Do you remember the good old days before the ghost town? We danced and sang as the music played in any bathroom”. Un attacco frontale al nuovo status quo al potere, in quello che è forse il più politico tra i pezzi scritti dalla band.
Il medesimo spirito di rabbia e frustrazione, intinto in una goccia di condiscendenza e di compiaciuta ironia, permea anche il lato B del singolo, e in particolare un brano destinato a restare, a posteriori, tra i più iconici degli Specials: “Friday Night, Saturday Morning”. È il viaggio al termine della notte di Terry Hall, una cartolina in chiaroscuro spedita direttamente dal ventre proletario e solo apparentemente felice della Gran Bretagna. Come in un lungo piano-sequenza, il cantante degli Specials si innesta sopra uno ska/reggae mai così agrodolce, soltanto vagamente spensierato, per mettere in fila una serie di diapositive che descrivono il fine settimana della working class inglese a cavallo degl anni 70/80, dominato dagli stereotipi di un divertimento spiccio e posticcio al quale subentrano, forse inevitabilmente, sentimenti di noia e di apatia.
Le prime strofe dicono già tutto: la sveglia presto la mattina, il lavoro che manda fuori di testa nel giro di poche ore, un venerdì sera che arriva cogliendo l’ipotetico protagonista nelle condizioni di uno zombie (“I can’t talk and I can’t walk”), tuttavia determinato a cercare un divertimento a ogni costo (“But I know where I’m going to go/ I’m going watch my money go/ At the Locarno”) all’interno di un copione imposto, sempre uguale (“that’s what I do at weekends”).
Interrotta periodicamente dall’arrivo di un ritornello cantilenante e facile da memorizzare, sorretta dalla linea di basso e incorniciata da uno splendido assolo di organo, la sequenza di immagini che Terry Hall inquadra in “Friday Night, Saturday Morning” prosegue incessante nel descrivere con poche ma efficaci parole una routine che sembra scivolare costantemente verso il basso, seppure la voce narrante continui a confondere un divertimento causato dallo stordimento (“I like to venture into town/ I like to get a few drinks down”) con una riflessione spietata sullo stato delle cose (“I don’t like life when things get dull”).
Dopo aver passato al setaccio ogni singolo momento della nottata che scorre sotto i nostri occhi come un’epopea normale eppure a suo modo mitologica, scoccano le due del mattino e per Hall è tempo di “lasciare questo paradiso”. Ma non è ancora tempo di chiudere il sipario. La tappa al negozio di patatine fritte da mangiare mentre si inciampa nel vomito di qualcuno passato poco prima, vagheggiando di poter aver vissuto un incontro amoroso (“Wish I had a lipstick on my shirt”) per ritrovarsi invece a constatare la presenza di macchie di piscio finite chissà come sulle proprie scarpe. È ormai sabato mattina, e il rito – al tempo stesso personale e collettivo - è concluso, almeno fino al weekend successivo.
Terry Hall se n’è andato nel novembre del 2022, all’età di 63 anni. Dopo l’esperienza con The Specials, con i quali sarebbe poi stato protagonista di successive reunion, ha fondato vari altri progetti, e in particolare i Fun Boy Three e i Vegas (con Dave Stewart degli Eurythmics). Soprattutto, non si è negato a collaborazioni di ogni genere e tipo, in uno spettro che va da Lily Allen ai Gorillaz. E proprio questi ultimi, tra tutti, sembrano avere raccolto l’eredità e lo spirito del Two-Tone, aggiornandolo ai nostri tempi, per mano di un Damon Albarn che ha sempre parlato di Hall come del suo vero, grande maestro. Poche ore dopo l’annuncio della scomparsa, nel novembre del 2022, sui canali social del leader dei Blur compare un video con Albarn che rintocca al pianoforte le note inconfondibili di “Friday Night, Saturday Morning”. Come didascalia, un saluto da brividi: “Terry, you meant the world to me. I love you”.