Fin dal suo titolo (invariato nella distribuzione italiana) "One to One: John & Yoko" rende manifesta la sua natura di opera sulla coppia e su una coppia in particolare, quella formata da John Lennon e Yoko Ono, i cui componenti sono posti sullo stesso piano, senza che la seconda sia una semplice comparsa o un’appendice del primo. Il che non è scontato, considerate le personalità coinvolte e il fatto che Yoko Ono sia stata spesso accusata di essere una delle principali cause dello scioglimento dei Beatles, portandosi dunque addosso lo stigma di chi asseritamente distrugge (un uomo e la sua carriera di successo) anziché costruire (la coppia, prima, e la famiglia, poi).
Siamo agli inizi degli anni Settanta e quando ancora risuona l’eco di tali accuse John Lennon e Yoko Ono si trasferiscono dall’Inghilterra a New York, nel Greenwich Village, diventando punti di riferimento della controcultura. Al loro fianco vediamo soprattutto Allen Ginsberg e Jerry Rubin, con i quali la coppia organizza eventi, raccolte fondi e concerti, accomunati dal filo conduttore della critica all’establishment (in allora rappresentata principalmente dal presidente Nixon) e alla guerra in Vietnam. Con Rubin, l’attivista che era stato uno dei "Chicago 7", si arriverà qualche anno dopo alla rottura, per divergenze legate all’uso della violenza nelle manifestazioni, cui Lennon e Ono erano assolutamente contrari.
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Il film di Kevin Macdonald si concentra dunque su un periodo specifico, la prima metà degli anni Settanta (e in particolare dalla fine del ‘71 all’inizio del ‘73), differenziandosi dai precedenti documentari musicali girati dal regista scozzese, "
Marley" e "Whitney", che avevano affrontato a tutto tondo la vita, la carriera e la morte di due protagonisti della musica moderna (rispettivamente
Bob Marley e
Whitney Houston). Qui, invece, viene scelto un periodo limitato e ci si focalizza su di esso, tralasciando il passato e accennando poco o nulla al futuro: i
Beatles sono a malapena nominati in una manciata di occasioni e non si parla, ad esempio, se non indirettamente, della morte di Lennon, sebbene il documentario si concluda con il trasferimento della coppia dal Greenwich Village all’Upper West Side di New York, nel Dakota Building ove il cantante inglese verrà assassinato.
Per questo motivo "One to One: John & Yoko", pur essendo un film sulla coppia, non può ritenersi un film
biografico sulla coppia, se si considera che non vengono approfonditi - e in realtà nemmeno citati - momenti fondamentali come quelli della conoscenza, dell’innamoramento e del matrimonio. Si tratta, dunque, più che altro, di un’opera sul ruolo di quella coppia nel contesto del fermento attivista post-‘68, come sembrerebbe dimostrare il fatto che venga omesso del tutto anche il periodo successivo alla nascita del figlio Sean (1975), in cui Lennon e Yoko si allontaneranno dall’attivismo politico.
Precisare la contestualizzazione cronologica nei primi anni Settanta è peraltro importante, perché si tratta di una fase calante del movimento della controcultura. I fasti del ‘68 sono ormai lontani e a quel momento apicale rappresentato da Woodstock (agosto 1969) è seguita la macchia di Altamont (dicembre 1969), il concerto organizzato dagli
Stones che verrà ricordato principalmente per la morte del giovane Meredith Hunter, accoltellato da un membro degli Hells Angels, incautamente chiamati a svolgere il ruolo di
security dell’evento.
La
silent majority che alla fine del 1968 aveva consegnato la presidenza a Richard Nixon era sempre più intollerante nei confronti della controcultura e dei suoi presunti eccessi, come emerge in varie parti del documentario in cui Macdonald intervista alcuni passanti o semplicemente si limita a mostrare le loro espressioni, talvolta rivelatrici di un malcelato disgusto. Insomma, il
flower power aveva fallito, ma c’era ancora chi pensava di poterci riprovare, come riconosce esplicitamente Lennon in alcuni momenti.
Il regista, oltre alle consuete immagini di repertorio, propone con una certa frequenza l’ascolto di telefonate, non accompagnate da immagini ma dalla mera trascrizione delle parole. Si tratta, principalmente, di telefonate di Lennon, che in una di esse precisa di averle iniziate a registrare temendo di essere intercettato dall’Fbi (sospetto alimentato dagli strani rumori che in effetti si sentono durante le chiamate e poi puntualmente confermato). Siamo del resto in un periodo ben preciso della storia americana, in cui la paranoia politica era tornata a imperversare: se da un lato il maccartismo era ormai un ricordo lontano (e infatti nel film si fa cenno al rientro negli Stati Uniti, dopo circa un ventennio, di
Charlie Chaplin, cui nel 1952 era stato revocato il visto), dall’altro lato, dopo gli omicidi di Martin Luther King e dei fratelli Kennedy (e in particolare di JFK), quelle sensazioni erano tornate di attualità e verranno confermate dall’
affaire Watergate (1972) che porterà alle dimissioni di Nixon (1974). La stessa persecuzione nei confronti di Lennon, messa in atto dal governo federale, che si stava muovendo per espellere il cantante approfittando di una vecchia condanna in Inghilterra per possesso di marijuana, è in realtà emblematica di un nuovo clima di accanimento e oppressione, analogo a quello del maccartismo. Una reviviscenza di spiacevoli situazioni del passato la cui paradossalità è sottolineata dal regista proprio con il raffronto tra il ritorno di Chaplin e l’avvio del procedimento di espulsione nei confronti di Lennon.
Da un punto di vista tecnico-stilistico, la particolarità di una fonte (la registrazione telefonica) che da semplice strumento o mezzo assume una rilevanza diegetica è sicuramente una delle specificità teoriche più interessanti di un regista da sempre attento alle questioni sollevate dal cinema
non-fiction (eppure i suoi geni avrebbero lasciato intendere una propensione per la finzione, visto che è nipote del grande Emeric Pressburger).
Suggestiva, sebbene tutt’altro che originale, anche la decisione di riprodurre fedelmente l’appartamento di John e Yoko al Village, con una scelta che richiama contemporaneamente - e per certi versi in maniera contrastante - un approccio di tipo museale e uno tendenzialmente feticista.
In quel piccolo appartamento spiccava una televisione collocata ai piedi del letto dove John e Yoko trascorrevano buona parte del loro tempo: era la loro "finestra sul mondo", che permetteva alla coppia di restare aggiornata sull’attualità, scoprendo situazioni come quella della Willowbrook State School, un istituto per ragazzi con disabilità psichica che Lennon e Ono decideranno di sovvenzionare concependo il concerto "One To One" che dà il titolo al film e di cui vengono riportati ampi stralci.
Ma la tv è anche il
medium che sta iniziando a dominare un’epoca, con la sua estrema varietà, che diventa centrale nel film grazie alla scelta di dare ampio risalto a quelle immagini, che siano spot pubblicitari, notiziari o trasmissioni di varietà, in una sorta di lungo e accattivante zapping.
Pur trattandosi di un’opera su commissione (il progetto è stato affidato a Macdonald dai produttori Peter Worsley e Alice Webb, entrambi molto attivi nell’ambito del documentario musicale, che sono stati successivamente affiancati dalla Plan B di Brad Pitt e dallo stesso Macdonald) il regista riesce comunque a infondere una sua anima al progetto, costruendo un’opera con una sua specificità, narrativa e di linguaggio, pur in un ambito già battuto da precedenti opere
non-fiction (il periodo di Lennon a New York è dettagliatamente raccontato, tra gli altri, dai documentari "
U.S.A. Contro John Lennon" di John Scheinfeld e David Leaf, del 2006, e "LennoNYC" di Michael Epstein, del 2010, in cui però il ruolo di Yoko Ono è sicuramente secondario - a partire, non a caso, dall’assenza di una citazione nel titolo).
Va infine evidenziato come l’
editor Sam Rice-Edwards sia accreditato quale co-regista, dando rilievo all’importanza del montaggio in opere di questo tipo, qui ancor di più per la scelta di mostrare ampi scorci di televisione dell’epoca per contestualizzare al meglio il periodo storico.
22/05/2025