Quel punk di Roger Waters

Gli 80 anni di un rocker scomodo

Roger Waters, oggi fresco ottantenne, è sempre stato un punk. Uno vero, anche senza bisogno di creste e spille. Faccia tosta, anarchico, ghigno beffardo, sboccato, esagerato: Roger non scende mai a compromessi e manda affanculo tutto e tutti perpetuando con infuocato vigore le sue battaglie. Mi fa morire quando lo sento parlare, col suo accento di Cambridge e i sui continui fuck, il suo atteggiamento, la sua risata, la sua forza, il suo scagliarsi contro potenti e benpensanti sbattendosene di tutto e tutti, sempre fiero e convinto. Lo sento a pelle che tutto il suo essere è punk.
Del resto, ci vuole sicurezza nonché ambizione per diventare in breve testa di ponte di un gruppo chiamato Pink Floyd. Partita con grandi aspettative e un ottimo successo di classifica, in capo a un anno la band rischiava di sfaldarsi a causa del compositore/cantante/chitarrista troppo sensibile per lo spietato mondo del music business, stato d'animo che lo spingeva a esagerare con gli acidi fino a perdere ogni cognizione di realtà.
Questo è l'altro Roger del gruppo, che di cognome faceva Barrett e che da tutti era chiamato Syd. Il ragazzo carismatico e geniale che in capo a pochi mesi aveva preso le distanze dal mondo senza che ci fosse modo di farlo continuare a suonare e cantare in maniera decente. In quel frangente Waters si era preso le palle in mano e aveva capito che doveva fare l'impossibile per tenere le redini di un progetto che sentiva destinato a enormi traguardi, non potendo fare affidamento sui caratteri meno reattivi dei compagni Nick Mason e Richard Wright, rispettivamente batterista e tastierista.

Roger invece suona il basso, è autodidatta ed è contento di esserlo, suona esattamente con lo stesso spirito di coloro che nel 1976 irromperanno sulle scene: supplisce con le idee lì dove non arriva con la tecnica e se ne frega di essere un virtuoso, lui quel basso lo fa urlare con la sola forza delle sue grandi mani.
In capo a poche settimane a Syd Barrett viene dato il benservito, al suo posto l'amico David Gilmour, che paradossalmente gli aveva insegnato i primi rudimenti alla chitarra. Gilmour suona divinamente, con uno stile assai personale, canta con voce fatata ed è anche attraente, cosa sempre utile quando si opera nel mondo del pop. Ma il regista dei Pink Floyd resta Roger Waters che con la sua cocciutaggine e certi modi dittatoriali che sempre più si fanno vivi (atti solo a spronare i suoi più placidi compagni, non certo a vessarli, almeno per ora) si prende la briga di offrire la sua visione quando si tratta di mettere in cantiere i nuovi album affinché siano sempre originali. Ad esempio, sua è l'idea di incidere un doppio come “Ummagumma”, con un disco registrato dal vivo e l'altro contenente quattro sezioni distinte a cura dei singoli componenti.
In concerto poi è il più appariscente, canta, urla, emette suoni incredibili con la bocca, spesso molla il basso e violenta i piatti della batteria durante i momenti di improvvisazione. Lo si può vedere a Pompei, col sole infuocato dietro alle spalle a dare mazzate violente al gong, appassionato, rabbioso, in un tutt'uno con il delirio e la potenza della musica.

Col tempo Waters scopre anche di essere particolarmente portato nella scrittura dei testi, che dalle visioni psichedeliche degli esordi si spostano a esplorare con attenzione l'animo umano, l'empatia tra le persone, il loro ruolo all'interno della società, l'alienazione, la follia e la mancanza di comunicazione. Dotato di uno stile poetico che con poche frasi comunica immediatamente ciò che deve, Roger scrive i testi accompagnandoli con sue musiche, diventando in breve il compositore più prolifico in seno alla band.
Da questo momento saranno molte le perle composte da Waters che da “The Dark Side Of The Moon” in avanti diventa ufficialmente il leader della band. Tale picco in termini artistici e commerciali è anche il punto di non ritorno di un'armonia da sempre traballante all'interno dei Pink Floyd, fatta di cose dette e non dette, nonché di invidie. Visto che come bassista è sporco e impreciso, ci pensa Gilmour a eseguire le sue parti in studio. Anche alla voce, rispetto ai melodiosi chitarrista e tastierista, Waters pare sgraziato, imperfetto, cosa che dà adito a critiche quando si tratta di interpretare le sue canzoni. Questo fa montare in lui la rabbia, nonostante tutto quello che ha portato in seno al gruppo decretandone il successo stellare, si sente poco compreso dai suoi compagni e così facendo diventa ancora più cinico, scostante e dittatoriale.

Orfano di guerra, con un padre morto quando aveva appena cinque mesi, figlio di una madre schierata ardentemente col partito laburista inglese, frequentatrice di cortei e di personaggi che rappresentavano il fior fiore della politica e della cultura dell'epoca, Roger Waters sente che le sue idee musicali, sociali e politiche crescono e diventano mature e dirompenti, mentre Wright, Mason e Gilmour pensano solo a sperperare i guadagni senza porsi problemi. Tutto questo mentre lui li ha coinvolti nel concept sulla non-comunicazione di “Wish You Were Here” e ha diviso gli esseri umani in cani, maiali e pecore in “Animals”, un album violento, abrasivo, che addirittura porterà a definire la band Punk Floyd (ecco che tutto torna).
Gli altri però non provano il suo ardore e questo farà maturare una rabbia accesa, specie nei confronti di Richard Wright, che verrà licenziato per la sua scarsa produttività. Mason è uno che non cerca lo scontro e Gilmour prova a rimanere a galla dando il suo apporto musicale e facendo ottimi passi avanti come compositore nel momento in cui viene pubblicato “The Wall”, calderone di tutte le migliori idee floydiane e allo stesso tempo delirio paranoico da parte di un Waters in crisi matrimoniale che si sente sempre più schiacciato dai meccanismi dello show business, esattamente ciò che aveva spinto l'amico Syd a sprangarsi in un angolo del suo cervello e a buttare la chiave.

Da qui non c'è ritorno, i Pink Floyd rinnovano il loro successo ma la macchina si ingrippa definitivamente. Resta lo spazio per uno splendido post scriptum come “The Final Cut” che vede Waters scolpire la parola fine nella lapide del gruppo. Ma Gilmour non ci sta, se Roger pensa di avere detto tutto sono fatti suoi, se ne vada e i Pink Floyd continuino a suonare con nuovi musicisti.
Così sarà, Waters perderà la causa per il nome e gli altri tre, alleggeriti della figura ingombrante-angosciante del bassista, daranno alle stampe due dischi fatti di molto fumo e poco arrosto, con la mancanza del fuoco watersiano che si avverte in ogni nota.
Fattosi una ragione della disfatta Roger si dedicherà a una carriera solista fatta di pochi (ma prestigiosi) album e molti concerti nei quali riproporrà le pagine della band alle quali ha maggiormente contribuito, ovvero quelle di più ampio successo. Nel contempo, il suo fervore politico prenderà sempre più piede. Anti-capitalista e fiero uomo di sinistra, detesta tutto ciò che è sopraffazione, egoismo e sete di potere. Celebri le sue invettive (amplificate nei concerti da immensi slogan luminosi) contro Bush, Trump, Biden, Margaret Thatcher e il suo intervento nelle Isole Falkland. Ha espresso il suo dissenso verso la barriera di separazione israeliana, ha dato il suo supporto alla Marcia per la libertà di Gaza e alla causa palestinese (con reattive accuse di antisemitismo, infuocate dal suo indossare una sorta di divisa nazista durante la rappresentazione live di “The Wall”) e ha cercato di stimolare le comunicazioni tra Russia e Ucraina, cosa che lo ha reso oggetto di critiche avvelenate da parte di Polly Samson, coniuge di David Gilmour, particolarmente sensibile alla tragedia ucraina visto che la nuora Jana Pedan, moglie del figlio adottivo Charlie, è originaria proprio di quei luoghi.
Ma Waters se ne fotte delle critiche di chiunque, perpetua con le sue battaglie con tenacia e coraggio, convinto fino al midollo che solo il dialogo possa portare gli uomini a compiere un gradino in più verso la pacifica convivenza.

Ce la farà? È nel giusto? Sbaglia? Ognuno potrà farsi la sua idea, a lui sicuramente le idee non mancano, sono molte e sono frutto di uno spirito critico sempre acceso. A 80 anni appena compiuti ha addirittura la faccia tosta di uscire con una versione nuova di zecca di “The Dark Side Of The Moon” rivisto secondo i suoi canoni e le sue prospettive, musicali e non. A dimostrazione del suo essere più che mai agguerrito da tutti i punti di vista e tutt'altro che propenso ad arrendersi all'età e alle ingiustizie.
Se non è punk Roger, ditemi chi dovrebbe esserlo.