Ragazzina innamorata della musica. L'incontro, a 13 anni, con Dave Matthews e la prima band. Il successivo incontro fulminante con Jeff Buckley e il primo disco, a 17 anni ("Megiddo", nel 1997, per la Virgin), appena dopo la tragica morte del talentuoso figlio di Tim. Il seguito, targato due anni dopo ("From the Blue House"), e poi l'improvvisa scomparsa dalle scene. Lauren Hoffman è tornata a far parlare di sé tre anni fa con un Ep, ("Out of the Sky, into the Sea") e con qualche collaborazione eccellente (Bella Morte, Camper Van Beethoven). Finalmente oggi è arrivato il terzo disco, "Choreography", per Fargo.
Ad aprirlo è "Broken", un canto etereo su tappeto di tastiere soffici e pulsanti e colpi di batteria, con qualche sventagliata di chitarra elettrica. Segue "As the Stars", una serenata notturna pennellata da chitarre acustiche. A fornire a pieno la cifra stilistica del disco è però la quarta traccia, "Ghost You Know", piano e chitarra a dipingere un'atmosfera tra l'amoroso e il desolato, un synth spazzino a muovere l'aria, un sorprendente inserto festoso con violino folle, poi di nuovo la quiete a colorare il tutto. Sono canzoni garbate, con una vena lievemente malinconica, ma in definitiva capaci di trasmettere gradevolezza. E se è vero che mai incantano, è altrettanto vero che costituiscono un buon sottofondo. A confermarlo contribuiscono "Another Song About the Darkness", con i suoi violini sommessi e drum machine a segnare il passo, figlia di un'interpretazione sussurrata in tono amichevole, e "Joshua", terminale ballata per piano e fiati.
Nonostante ciò, il disco non riesce a salvarsi. A far scendere il livello al di sotto della sufficienza sono gli inspiegabili momenti in cui la Hoffman gioca a traverstirsi da rocker. Che il rock'n'roll sia lontanissimo dalle corde della Hoffman-autrice lo dimostrano i fatti. "White Sheets" è un orrido rock finto aggressivo, via di mezzo fra i Garbage più scadenti e un'Avrile Lavigne con un minimo di consistenza in più. "Riding in Plain Sight" è un pop-rock all'acqua di rose, roba che in confronto i Nickelback sono i Led Zeppelin. "Solipsist" riesce a fare giusto un filo meglio, indovinando una melodia almeno decente (al contrario del suono del brano).
"Choreography" in pratica ha due difetti: pecca di consistenza e sceglie soluzioni a volte sballate. Peccato, perché si intravedono buone qualità e anche un pizzico di talento, come suggerisce "Out of the Sky, into the Sea" (ripescata dall'omonimo Ep), un'esecuzione teatrale a passo di danza, fra chitarre scandite, intrusioni di violino e ritmi di nacchere, l'unico, vero, highlight del disco.
20/12/2006