Denzel + Huhn

Paraport

2007 (City Centre Offices)
elettronica

La fulgida ricchezza semantica di “Paraport” mostra, ove mai ve ne fosse bisogno, la padronanza nel rielaborare i linguaggi dell’elettronica moderna, che Denzel + Huhn applicano alla prassi costitutiva di una musica che sia il più possibile scevra da schemi prestabiliti. Se il precedente “Time Is A Good Thing” giocava su registri discretamente decifrabili, architettando un’originale sintesi di quei minimalismi digitali che caratterizzarono la seconda parte degli anni ’90, in questo frangente il duo pare orientarsi verso la sperimentazione di texture via via più complesse, in cui ciascun elemento acquista significanza nell’ottica di un divenire cinematico, di un narrare immagini per, e attraverso suoni.

“Paraport” decanta il movimento in un’apparente staticità ritmica, in un looppare all’infinito brandelli filmici, nell’esibire pudico frammenti di corpo che, disseminati nella rizomaticità della rete, muovono verso un’irraggiungibile integrità bramando un senso. Cosicché “Korre” acquisisce compiutezza nel suo schizofrenico sfaldarsi e ricomporsi, nel tentativo di coercizzare una sorta di coerente linearità, cucendo in corsa i propri tessuti connettivi, che tuttavia si disgregano continuamente in immateriali pulviscoli ambientali.

Stupisce “Paraport”, non tanto nel prefigurare scenari alien(ant)i, quanto nel tentare, vanamente, di esorcizzarli mettendo in rilievo qua e la visioni residuali di un’umanità perduta. E’ il caso di “Kleiner Bruder”, non a caso opening track , che si snoda in un incedere claudicante di chitarra acustica, o nella robotica “Cauka” dove si odono echi appena percettibili di una ritmicità tribale. Trattasi però di segnali illusori o di simulacri illusoriamente interpretati, subitaneamente devastati dall’atrocità tecnocratica dei pezzi successivi, dall’oscuro hellraiser “NDR”, dall’opprimente deep house “New Kerwe”, da rumori che richiamano qualcosa di familiare ma sfuggente.

Perché “Paraport” è Fennesz, i Pole, Dopplereffekt di “Linear Accelerator”, suggestioni proto techno, residui downtempo della Bristol alternativa. E’ Burroughs che detourna se stesso in HTML realizzando abomini metalinguistici, è Daniel Clowes che si cimenta (finalmente) in fiabe per bambini, è Wong Kar Wai che legge Pynchon e cita Guènon mentre avanza pensoso verso un 2046 che mai arriverà. E’ tutto questo (ed altro), seppur trasfigurato, irriconoscibile.

Perché “Paraport” rappresenta il suono della postmodernità al suo meglio, quando la deumanizzante protervia della tecnologia, nel celebrare se stessa, abusa di una frenesia citazionista che, accanendosi sul corpo sventrato della musica, trama per edificare nuovi codici comunicativi.

23/01/2007

Tracklist

  1. Kleiner Bruder
  2. July
  3. Targo
  4. Korre
  5. Karlsruhe
  6. Dorian
  7. Cauka
  8. NDR
  9. Paraport
  10. New Kerwe
  11. Lope
  12. Senet
  13. Erinnye
  14. Treibel
  15. Offane

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