Takka Takka

Migration

2010 (LiLi Is Pi)
alt-rock

Un disco dall'impronta rock ma dal suono e dal mood più sognanti che energici, anche grazie all'intervento di elementi digitali in funzione di accompagnamento agli arpeggi di chitarra e alla sezione ritmica. Quante volte negli ultimi anni avremo letto descrizioni come questa in relazione a nuove uscite? Senz'altro parecchie, ma questo "Migration" - primo disco "ufficiale" sulla lunga distanza, dopo un'autoproduzione del 2006, per i newyorkesi Takka Takka - è un altro degli esempi, per fortuna sempre più frequenti, di come si possa riuscire ad avere una propria personalità pur facendo cose già provate da tanti altri. È necessario premettere che questo lavoro è uscito nel 2008 e viene ora ripubblicato per il mercato europeo da un'altra etichetta, ma ai fini della chiave di lettura finora proposta poco cambia, dato che la massiccia presenza di dischi della tipologia descritta era tale anche due anni fa.

La band riesce a tracciare una propria identità tramite alcuni accorgimenti che di certo non denotano particolari abilità tecniche né una spiccata fantasia compositiva, ma risultano estremamente funzionali proprio per lo scopo di smarcarsi dal rischio di un'eccessiva somiglianza ad altre proposte recenti. Uno di questi è il particolare dinamismo degli arrangiamenti, che cambiano in modo dolce ma significativo nel corso di ogni canzone, salvo poi riprendere, nella seconda metà dei brani, alcuni degli elementi che inizialmente erano stati lasciati per strada, così da assicurare una continuità che non risulti però una mera circolarità. Un altro è l'accoppiamento di uno sviluppo compositivo lineare con melodie mai troppo aperte ma sempre, invece, piuttosto sfuggenti, solitamente adatte ad andamenti a più ampio respiro ma concretamente calate alla perfezione nel contesto. Un altro ancora è la varietà nel modo di utilizzare gli elementi digitali, con i sintetizzatori che ora sono presenti in modo costante, ora invece intervengono sporadicamente ma con riff più marcati e con la sezione ritmica che talvolta è composta dai soli basso e batteria, mentre altre volte l'elettronica la rende decisamente più ricca e articolata. Tutto questo si traduce in dodici brani che coniugano in modo sempre molto centrato la classe di un suono morbido, ricco e vellutato con la vitalità del miglior indie-rock.

Non c'è molto altro da aggiungere. Chi si imbatterà in "Migration" magari non salterà dalla sedia al primo impatto, ma è probabile che rimetterà spesso il disco nel lettore e/o ci metterà molto tempo a toglierlo dall'i-pod. Del resto il fatto che questo disco sia riuscito a sbarcare Oltreoceano due anni dopo la sua pubblicazione dovrebbe già essere un segno credibile della sua potenziale longevità.

21/10/2010

Tracklist

  1. Monkey Forest Road
  2. Silence
  3. The Takers
  4. Everybody Say
  5. (The Optimists Were Right)
  6. Homebreaker
  7. Fall Down Where You Stand
  8. Lion In The Waves
  9. One Foot In A Well
  10. (The Optimists Were Wrong)
  11. Change, No Change
  12. You And Universe

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