Jamie “Magic Panda” Robson inizia la sua avventura con una trafila di apprezzati Ep, a partire da “Glass Mountain”, poi con “Days Are Numbered” e “Tokyo”, tutti alle prese con un patchwork di stili e tecniche raccolte dai generi più disparati. “Temple of a Thousand Lights” raccoglie parte di quelle composizioni ma soprattutto lancia Robson nel valhalla del filone, all’incrocio tra breakcore, glitch e rave-music.
Il produttore eccelle in pastiche come “Tokyo”, girandola techno Alan Parsons-iana, dal gusto prettamente melodico e progressivo, “A Perfect Circle” carillon elettronico su sincopi trance e poi progressione Giorgio Moroder-iana, e “Luna Rossa”, la più maestosa nel timbri e nella composizione (quasi jazz e post-rock), ma sempre con inquietudine pulsante.
Quindi indulge in suoni amorfi rinunciando quasi al ritmo, come in “Chiaroscuro”, quasi la versione ambient di “Tokyo” e la più creativa “Mothlight”, basata su suoni flipper, videogame, tastiere giocattolo, e cacofonie assortite a circondarli.
Più in profondità Robson scodella i saltarelli jungle di “Zwolf” e la title track, esempio supremo dei suoi giochi ritmici (con un certo riferimento ai primi M83), ma più poetici sono “Days Are Numbered”, bricolage di campionamenti gentili, arpeggiati in echi e contro-echi, e “Distant Places”, in cui un “blip” metallurgico e voci cosmiche trovano un’unione quasi mistica e febbrile.
Un po’ supino al genere, un po’ giocherellone a vuoto, ma il debutto su Tigerbeat6 del non-più-giovane produttore britannico trova lo zenith nello sfumare confini di mezzi e specifici, l’espressività analogica e l’espressività digitale, e nel rigenerare e ripetere ad libitum timbri e giri armonici fantasiosi. A un passo dall’avanguardia involontaria, ma conta soprattutto la delizia per le orecchie (produzione di Robson stesso). Due remix come bonus: “Distant Places” a cura di Max Cooper e “Tokyo”, Kid606.
09/09/2013