Sui bretoni Dale Cooper Quartet girano tante leggende. C'è chi ne parla con convinzione come "il quartetto impro-jazz guidato da Dale Cooper", chi li definisce un "misterioso collettivo" e chi ancora ignora il radicatissimo background che i tre componenti effettivi che si celano sotto la sigla vantano sui loro curriculum. Il fu-quartetto divenuto trio dopo la dipartita di Arnaud Le Gall non è infatti che la naturale evoluzione dell'esperienza Tank, progetto a cavallo fra math-rock e psych-kraut capitanato dal chitarrista Christope Mevel. Proprio quest'ultimo aveva coinvolto in alcuni dei suoi lavori il sound designer Gaël Loison e il tastierista Yannick Martin: questa la formazione odierna del Quartet, a cui puntualmente i tre affiancano a nome Dictaphones una manciata di amici-colleghi, spesso partner o compagni di avventura dei singoli membri in altri progetti. Informazioni che restano parziali: l'unica certezza è che sotto questo nome, Denovali ha pubblicato due splendidi dischi, fra cui il capolavoro "Quatorze Pieces De Menace", per chi scrive il secondo disco più bello del 2013 e una delle prove dark più affascinanti dell'universo impro. A spiegare meglio il resto, ci hanno pensato direttamente loro, rispondendo alle nostre domande insieme, senza palesarsi, da vero trio. Il tutto in un'intervista iniziata fra (per loro) inattesi complimenti e ringraziamenti, e chiusasi con la promessa di arrivare un giorno a suonare in Italia.
Partendo dal fatto che anch'io come molti sono stato convinto per anni che foste un quartetto capeggiato da tal Dale Cooper, mi spiegate un po' chi sono i Dale Cooper Quartet e chi i Dictaphones?
Ti dirò, è molto ma molto più facile di quel che credi: abbiamo iniziato come quartetto live-only, anche se lavoriamo insieme da tempo in vari altri progetti (il primo fu Tank, il cui titolare è Cristophe Mevel, ndr). Poi il "quarto" (Arnaud Le Gall, ndr) è uscito, ma quartetto suonava meglio di trio, così abbiamo tenuto il nome.
Già più chiaro. Ma in sostanza Quartet e Dictaphones sono due gruppi diversi? O è l'intero nome di una band sola? Come vi spartite e organizzate il lavoro?
Noi tre (Christophe Mevel, Gaël Loison e Yannick Martin, ndr) componiamo il Dale Cooper Quartet e abbiamo tutti e tre approcci, techniche, umori e gusti diversi. Facciamo tutto questo separatamente, poi ci ritroviamo con tutto il materiale e ci scambiamo idee, magari completando qualcosa che avevamo lasciato indietro. Quando siamo sicuri di avere abbastanza materiale su cui lavorare, iniziamo a comporre tutti e tre insieme. Lavoriamo come in un puzzle, qualcuno inizia dagli angoli e altri dalla figura centrale, dipende da brano a brano. A quel punto in base a come sentiamo i brani decidiamo quali amici invitare a prendere parte al progetto per suonare e darci ulteriori spunti: Dictaphones è appunto questo gruppo di collaboratori che varia sempre. Non si tratta di una band, ma appunto di amici vicini alla nostra storia: ci piacerebbe fare anche delle date dal vivo con loro, ma è una cosa decisamente complessa da organizzare.
Quanto è stato importante per voi arrivare a incidere per un'etichetta su larga scala come Denovali?
Diciamo senza mezzi termini che loro ci hanno fatto capire che avremmo potuto andare avanti dopo il primo disco. Se abbiamo proseguito è solo perché Denovali ci ha contattato e ci ha proposto di farlo. Quindi gli dobbiamo tutto o quasi. Il primo disco per noi, come ti avevo detto, era una sorta di one-shot: dopo tanto tempo speso su altri progetti di varia natura, volevamo fare finalmente qualcosa tutti e tre insieme. Oggi sentiamo di avere una libertà, sia in termini artistici che di tempo, totale. E condividiamo in tutto la maniera in cui portano avanti l'etichetta: sono semplicemente fantastici, una sorta di dream team.
"Quatorze Pieces De Menace" è il vostro secondo lavoro grosso: dentro ci avete messo una varietà incredibile di stili, idee e passioni. Come avete sviluppato tutto questo?
Come abbiamo già detto, ci conosciamo da tempo sia personalmente che musicalmente, sappiamo bene chi di noi può sviluppare certe idee nella maniera migliore. Condividiamo la passione per la musica che è la nostra vita in tutti i sensi, datoché siamo tutti e tre coinvolti in più progetti a livello artistico e musicale, e con quelli ci guadagnamo da vivere. Questo ci aiuta molto, ed è per questo che non stiamo a far caso, mentre registriamo, a quando e come arriviamo a determinati risultati: cerchiamo di fare le cose al nostro meglio, e basta. E ci prendiamo il tempo necessario per fare ciò, anche se alle volte questo può tradursi in periodi davvero lunghi.
"Brosme En Dos-Vert" è una sorta di viaggio nel viaggio, un riassunto strutturale del disco che affronta però umori e direzioni completamente diversi dagli altri brani. Com'è nato?
Tutto è cominciato dall'idea di fare un brano forte, epico, che contenesse abbastanza elementi da non renderlo noioso. Quando ci stavamo lavorando, abbiamo capito che sarebbe stato possibile estenderlo e che era l'unico brano del quale potevamo raggiungere le profondità più basse. A quel punto eravamo sicuri sul segmento iniziale e su quello conclusivo, la partenza e l'arrivo: abbiamo creato il percorso solo assemblando idee e suoni, così che il brano solamente sapesse dove stava andando. Poi è stato anche il più difficile da elaborare e mixare, ma anche quello da cui è iniziata la costruzione di tutto l'album, visto che la sua natura di "traccia cuore" non avrebbe permesso di inserirlo in apertura o chiusura di tracklist.
C'è un filo conduttore che lega i brani in scaletta?
Credo siano i brani a costruire il filo e non viceversa! Non c'è un concept particolare che non sia quello di essere album e non successione di brani messi lì a caso.
Un mio amico ha definito "Quatorze Pieces De Menace" con l'espressione "diamante nero", e credo sia un'immagine davvero azzeccata, anche rispettto alla copertina...
Davvero una bella immagine, in effetti. Volevamo un terzo disco che fosse il più possibile nero: il nome, la copertina e il primo brano vanno non a caso in quella direzione, anche se poi altre tracce affrontano climi non altrettanto oscuri.
Come avete sviluppato il vostro sound dal puro jazz-impro del primo disco alla miscela fantastica di quest'ultimo?
Semplicemente non è più la stessa band, non abbiamo più lo stesso approccio e suppongo e spero che non arriveremo mai al punto di suonare per otto anni la stessa musica (ride). Credo sia di fondamentale importanza per la musica stessa il fatto di procedere in direzioni sempre diverse, di ricercare, di non limitarsi a riproporre quanto già fatto in passato da altri. Cercare di superare i propri confini è la cosa più eccitante del fare musica: per questo non suoniamo mai gli stessi strumenti, non usiamo mai gli stessi materiali, non sfruttiamo mai le stesse tecniche di registrazione: abbiamo bisogno di ricercare e che questo processo creativo resti sconosciuto e oscuro a noi in primis.
I cambiamenti nella vostra musica sono legati o riflettono evoluzioni dei vostri gusti, umori e interessi?
Suppongo di sì, ma è anche collegato con le performance live e il suono che abbiamo dovuto trovare per le stesse in questi tre anni. Si tratta di un processo molto diverso rispetto allo studio, sul palco abbiamo ruoli molto più definiti.
Ad oggi l'improvvisazione è ancora l'elemento chiave della vostra musica o ricorrete anche a vere e proprie forme di composizione?
Entrambe, diremmo, dal vivo è quasi tutto improvvisato ma sappiamo da dove partire e dove vogliamo arrivare dall'inizio. Nei live le parti di Christophe sono totalmente improvvisate, mentre noi altri utilizziamo più che altro sample le cui strutture possono essere modificate sul momento. A conti fatti, noi tre creiamo spazi per gli altri musicisti che si esibiscono con noi, per questo serve che tutti si ascoltino con attenzione. In studio, invece, almeno per quel che riguarda i punti cardine dei brani, musica e atmosfere sono composte nel senso classico del termine.
Da cosa è composta la vostra strumentazione e come combinate l'uso di strumenti diversi?
Sul palco per assurdo siamo davvero un quartetto: due chitarre, elettronica e sassofono tenore. Questa è la line-up base a cui poi si aggiungono vocalist o altri ospiti. Abbiamo provato più volte a cambiare formazione, ma il risultato non ci ha soddisfatto, per quanto siamo ancora aperti a esperienze diverse anche in questo senso. Ma questa è la modalità con cui riusciamo ad oggi a far suonare i brani come vorremmo, senza usare l'elettronica in forma di playback ma di vere e proprie esecuzioni dal vivo. In studio... beh, suoniamo un po' quel che ci pare.
Come costruite, più in generale, le vostre live performance?
Come abbiamo detto prima abbiamo una line-up regolare con cui cerchiamo di eseguire un mix di materiale recente e più datato. Una sfida, insomma: cerchiamo di costruire i concerti così da creare un'atmosfera diversa con pezzi diversi da anni diversi.
Siete mai venuti a suonare in Italia?
Cristophe e Yannick sì, ma con altri progetti (rispettivamente Pan&Me e Osaka). Di sicuro ci piacerebbe farlo presto, anche perché avremmo dovuto avere due date a Torino nel 2011, poi cancellate per l'uragano che ha colpito la città quell'anno. Speriamo di farcela prima della fine del 2014!
Avete altri programmi per quest'anno?
Sì, quest'inverno abbiamo registrato nuovo materiale e continueremo a farlo durante la primavera. Non so quando e a cosa porterà, ma siamo sempre in movimento.
DALE COOPER QUARTET & DICTAPHONES (CD & LP)(Christophe Mevel, Gaël Loison & Yannick Martin with guests) | |
CD & LP | |
Parole De Navarre (Diesel Combustible, 2006) | |
Metamanoir (Denovali, 2011) | |
Quatorze Pieces De Menace (Denovali, 2013) | |
Astrild Astrild (Denovali, 2017) | |
EP, 12", Split | |
Split (split with Witxes, Denovali, 2014) | |
TANK (CD, LP, CD-R, Split, Cassette)(Christophe Mevel with Gaël Loison, Yannick Martin, & Niko Lazarakopoulos) | |
66° Nord (cass, Diesel Comustible, 1997) | |
Upwards At 66° Nord (Earworm, 1999) | |
Bedtime For Rio (Alice In Wonder, 2000) | |
Pulsar Headlight Mass Dipped Eastwards (Alice In Wonder, 2001) | |
Annexe#01 (split, with Mils & Snarks, Annexe, 2001) | |
Rock To The Top, Rock Will Never Stop (La Crique Où Les Phoques S'Aiment) (Diesel Combustible, 2006) | |
Tank Vs Monstre (split, vs Monstre, L'Eglise De La Petit Folie, 2007) | |
Kantkino (CD-R, ltd, Diesel Combustible, 2011) | |
HF90(Christophe Mevel & Cyril Pansal) | |
Gris La Couleur (CD-R, ltd, Diesel Combustible, 2011) | |
PAN & ME (Christophe Mevel with Cyril Pansal) | |
Paal (OST, Diesel Combustible, 2011/Denovali, 2012) | |
TROISIÈME FONDATION (CD)(Gaël Loison) | |
Visita Interiora Terrae (T.F., 1998) | |
This Is Not A Garden You Can Sit In (Diesel Combustible, 2002) | |
Cruel (Géostructure, 2008) | |
MOREGEOMETRICO (CD, EP, CD-R)(Gaël Loison) | |
Geocaching Sessions Volume 1 (Diesel Combustible, 2006) | |
Un Mythe Moderne (with Arnaud Le Gouëfflec, CD-R, L'Eglise De La Petite Folie, 2008) | |
Rencontre Du Premier Type (with Arnaud Le Gouëfflec, CD-R, EP, L'Eglise De La Petite Folie, 2009) | |
THE ENSEMBLE CRUSTACÉS (CD-R)(Arnaud Le Gouëfflec & Gaël Loison with Catherine Bihan & Zalie Bellaccio) | |
Crustacello (EP, L'Eglise De La Petite Folie, 2009) | |
Live Au Locus Solus (L'Eglise De La Petite Folie, 2010) | |
Halogènes (EP, L'Eglise De La Petite Folie, 2011) | |
OSAKA (CD, 7'', 12'') (Yannick Martin & Sébastien Roué) | |
Lipstick Building (EP, Active Suspension, 1999) | |
Kalispera Ohio (7'', Myke Droner, 1999) | |
Life For Dead Spaces (Roisin, 2001) | |
Twisted Emirates Vol. One (12'', Active Suspension, 2001) | |
The Dynamics (Diesel Combulsible, 2003) |