Kesang Marstrand

Il suono pił lieve

intervista di Francesco Amoroso

"And it was no kind of test/
We just chose the loneliness/
We bore the best"

La sincerità. Credo che la risposta giusta, l'unica possibile, sia questa.
Qualche tempo fa, su queste pagine, nel recensire l'esordio di una giovane musicista statunitense, Kesang Marstrand, ci si interrogava su quale fosse l'ingrediente "speciale" che aveva reso "Bodega Rose" un inaspettato concentrato di emozioni forti e persistenti e aveva regalato quella rara sensazione, tanto netta in quel caso, di trovarsi davanti a un piccolissimo, importante, "evento". E, in quella sede, si azzardava l'ipotesi che una delle ragioni di tali sensazioni potesse essere la sincerità della sua proposta musicale. Avendo avuto l'opportunità di conoscere di persona la giovane Kesang e di ascoltare una sua estemporanea e intensissima performance acustica a Roma, che la sincerità e la passione siano gli ingredienti segreti che la musicista newyorkese, ora di stanza, per ragioni sentimentali, in Tunisia, infonde nella propria musica, è qualcosa più che una semplice ipotesi.
Quello che segue è il resoconto dell'incontro avuto con la disponibilissima e piena di grazia Kesang in un primo pomeriggio domenicale romano, confortati da un ingannevole tepore primaverile e dalle cronache delle partite di calcio che arrivano dai balconi e dalle finestre aperte.


Sei ancora molto giovane. Quando hai iniziato a suonare e quando a comporre le tue canzoni?

Ho iniziato intorno ai 17-18 anni... Più o meno quando ho iniziato a suonare la chitarra. Solo allora ho cominciato a cantare e suonare canzoni mie. Prima, però, studiavo pianoforte e sin da bambina ho cominciato a cantare. Sono sempre stata molto interessata alla musica, ma è stato l'iniziare a suonare la chitarra che mi ha spinto a scrivere le mie prime canzoni.

E cos'è che ti ispira? Quali sono i sentimenti che ti aiutano a scrivere una canzone?

Mmhh, non è semplice rispondere: per me l'ispirazione più arrivare da tante diverse direzioni. Spesso ho un'ispirazione di tipo visivo: può venire tranquillamente per il solo fatto che io veda qualcosa di bello, così, passeggiando per Roma. Non saprei esattamente, potrebbe essere una statua, un monumento, ma anche un semplice edificio, anche solo l'abbinamento di colori di un palazzo. Spesso sono solo cose semplici come queste.
Quanto ai sentimenti, anche quelli non sono facili da definire: di solito sono sensazioni molto astratte, ma per lo più sono percezioni che hanno a che fare con lo spazio, con la vastità dell'orizzonte che ho davanti. A volte può sembrare magari un po' tetro, ma capita che siano i sentimenti provocati da una stanza vuota o da una strada deserta o una grande piazza dove non c'è nessuno.
O, ancora, quella particolare luce blu che si intravede all'alba: ecco! Quella luce mi rende particolarmente sveglia e pronta e mi ispira molto quando sto componendo.

Quindi non hai affatto bisogno di sentirti triste per trovare ispirazione, come tanti artisti sostengono?

No. Direi proprio di no. Le sensazioni che mi ispirano vanno, spesso, al di là dei miei stati d'animo momentanei.

Come inizi a comporre le tue canzoni? Parti sempre dalla chitarra?

Per lo più uso la chitarra. Qualche volta mi arrischio a usare anche strumenti diversi, ma sono più a mio agio con la chitarra. A volte capita che non abbia la mia chitarra e mi venga un'idea in testa, allora provo a suonare ciò che trovo sotto mano, anche perché non giro con un registratore per fissare le mie idee estemporanee. Ogni tanto, però, mi arrischio a registrare sull'I-Phone.

E i testi, invece? Segui un metodo preciso nella composizione delle liriche? Cosa arriva prima, i testi o le musiche?

Ho parlato piuttosto spesso dei metodi usati per scrivere i testi da persone che fanno canzoni, e, alla fine, ho compreso che ci sono parecchi artisti che fanno un po' come me. Ma più che di un metodo vero e proprio parlerei più di una sensazione. Non una sensazione che ha a che vedere con il senso delle parole, ma più con il loro suono, la loro forma, la loro lunghezza e consistenza. In qualche modo uso una sorta di intuito per trovare le parole giuste per ogni strofa e ogni verso e penso di riuscire a capire quando va bene oppure quando qualcosa non funziona come dovrebbe. Quando qualcosa non va lo sento e, più che un'idea sbagliata, è una mancanza di scorrevolezza nel fluire del brano che me ne fa rendere conto. Così molto del "metodo" consiste nel cercare e nel focalizzare determinate immagini: se le immagini che focalizzo attraverso le mie parole sono in armonia con la musica e non in contrasto con essa, allora forse ho trovato le parole giuste.
Di solito all'inizio arriva un po' di musica, ma poi le cose procedono di pari passo: testo e musica si sviluppano sempre insieme, anche quando, più raramente, il tutto parte da un singolo verso o da una frase.

Tuo padre viene dal Tibet, tua madre è danese. Tu sei nata a Woodstock, hai vissuto a New York e Seattle e ora vivi in Tunisia. In che modo il contatto con tutte queste culture diverse ha influenzato e influenza il tuo percorso artistico?

Credo che inevitabilmente tutto ciò mi influenzi in qualche modo. Ogni esperienza della vita è importante e formativa. Per me, ad esempio, anche vivere l'infanzia in Colorado, tra le montagne, è stato molto importante: ho vissuto in una cittadina piccolissima in mezzo al nulla fino ai sedici anni. Solo orizzonti vastissimi e enormi montagne davanti a me: credo che questo mi abbia dato quella sensazione di silenzio e di spazio di cui parlavo e sia stato fondamentale anche per la mia sensibilità artistica. E poi viaggiare, ascoltare musica di generi e stili diversi, proveniente da paesi a volte lontanissimi. Tutto questo mi ha decisamente influenzata e, in qualche modo, indirizzata.

Esiste un artista o una band, invece, che ti hanno particolarmente influenzato? Qualcuno alla cui ispirazione ti senti vicina?

Direi che ce ne sono stati tanti. Ma se ne devo nominare uno non ho dubbi: Joni Mitchell. Lei ha sempre avuto qualcosa che non saprei definire. Potrei dire che lei era sempre se stessa, faceva sempre le proprie cose, incurante delle mode. Aveva personalità. Il modo in cui le sue canzoni si sviluppano sembra non seguire delle regole precise, degli schemi preordinati, non sono mai necessariamente tradizionali, ma, in ogni caso, hanno degli sviluppi melodici eccelsi e originali.
E' comunque l'artista che, sin da adolescente ho ascoltato di più e in qualche modo mi ha formato nell'approccio: si può scrivere su qualsiasi argomento, cantare qualsiasi cosa, si può suonare la chitarra in maniera molto semplice o in maniera più complessa, ma, alla fine, ciò che davvero conta è far arrivare un messaggio, una sensazione, una immagine.

Ti piacerebbe collaborare con qualcuno per le tue canzoni? O senti che queste sono così tue e personali che non potresti condividerne la fase creativa?

Oh, sì. Mi piacerebbe. E ho, in effetti, una serie di progetti che coinvolgono dei collaboratori.
Ho una grande amica in New Mexico che suona il violoncello, probabilmente il mio strumento preferito, così accorato e profondo, e con lei abbiamo cominciato a suonare quando tutte e due vivevamo a New York. Formiamo un ottimo amalgama con lei che ha una preparazione classica e accademica e spesso canta anche le armonie. Mi piacerebbe molto finalmente incidere qualcosa con lei.
Quanto a collaborare con qualche nome famoso non saprei. Adoro Peter Gabriel e credo che sarebbe davvero molto interessante poter lavorare con lui e con la sua etichetta di World Music. Credo che avrebbe sicuramente qualche interessante suggerimento per me. Ma ci sono talmente tanti artisti che ammiro che non saprei davvero da dove cominciare.

Il
tuo secondo album, "Hello Night" è un album di lullabies, ma non tutti i testi sembrano essere dedicati e pensati per i bambini, come se ci fossero brani dall'argomento più intimo e personale, abilmente camuffati da ninna-nanna. E' vero o è solo una suggestione?
E' così, senza dubbio. Per quanto mi riguarda adoro la musica cosiddetta per bambini e amo anche tanta musica che, seppure non specificamente per bambini, è stata quella con la quale sono cresciuta: musical come "The Sound Of Music" ("Tutti insieme appassionatamente", n.d.r.) o "Fiddler On The Roof" ("Il Violinista sul tetto", n.d.r.). Insomma credo che le canzoni siano per tutti e non si rivolgano a un pubblico in particolare. Spesso si definisce musica per bambini qualsiasi brano non abbia testi tristi, disillusi, decadenti, ma forse ci sbagliamo.
Per esempio il brano "Among The Green Leaves". Beh, in quella canzone le prime due strofe le avevo scritte per me stessa: attraversavo un momento molto difficile e avevo bisogno di scrivere qualcosa che fosse mio e mi rappresentasse. Ero piena di paure in quel periodo, paure in tutti i campi della mia esistenza. Così scrissi, parlando a me stessa: "Don't be fooled by the shadows of trees/ Songbirds are sleeping among the green leaves". In fondo tentavo solo di convincermi che, anche se una situazione è davvero oscura e paurosa, possono esserci sempre nascoste sorprese confortevoli e piacevoli: gli uccelli canterini, le foglie sempre verdi. Solo successivamente, lavorando sull'album di lullabies ho ritrovato quei versi e ho deciso di usarli come una ninna nanna. Spero di aver risposto in qualche modo alla tua domanda.

kesang_marstrand3Per il tuo primo album hai lavorato con un produttore, mentre il secondo è stato inciso solo con l'aiuto di un tecnico del suono. Perché hai scelto questi procedimenti differenti?

Fondamentalmente il produttore del primo album, "Bodega Rose", Karl Berger, è una persona di famiglia. Lo conoscevo da sempre e l'ho sempre ammirato e rispettato come uomo e come musicista. L'ho contattato soprattutto perché ad essere sincera non sapevo neanche da dove cominciare per registrare un album. Così avevo bisogno di una persona fidata che mi aiutasse in tutto, anche a trovare uno studio adatto. Già l'idea di un produttore, all'epoca, era una cosa difficile da comprendere fino in fondo per me: non mi era nemmeno troppo chiaro che cosa esattamente un produttore dovesse fare, quali fossero i suoi compiti, quanto potesse e dovesse influire sulla mia musica.

E a che conclusione sei giunta? Pensi che un produttore sia importante per conferire alle tue composizioni un tocco differente? Oppure credi sia meglio lavorare da sola ed evitare troppe influenze esterne?

Credo che dipenda molto dalla persona con cui decidi di lavorare e da quello che cerchi. Prima di tutto se lavori con un produttore devi credere in lui profondamente. Credo assolutamente che un buon produttore possa fare di un album mediocre un grande album, qualcosa di davvero eccitante.
Il punto è che quando lavori sulle tue composizioni sei sempre in difficoltà nel giudicarle: le segui dall'inizio, dalla prima parola. Puoi essere troppo attaccata e affezionata a loro e così non ti rendi neanche conto se alcuni passaggi sono sbagliati, magari noiosi o prolissi. E hai bisogno di una persona che con distacco possa farti notare queste cose, magari suggerirti di mettere l'accento su alcuni aspetti di un brano piuttosto che su altri, fare sì che diversi aspetti di una canzone riescano ad emergere. In definitiva, quindi, credo che un produttore fidato e con il quale l'artista si trovi in sintonia possa essere di enorme aiuto.

Per il prossimo album, quindi, stai pensando di lavorare con un produttore?

In realtà non saprei ancora dire. Per ora mi sto divertendo a sperimentare con i miei arrangiamenti, le mie idee, con l'uso di nuovi strumenti. Ma ho buttato giù solo lo scheletro dei brani. Tra l'altro adesso che sono in Tunisia sto provando a usare strumenti locali, a farmi un po' permeare dall'atmosfera del luogo. Non so ancora. Vedremo.

Così il tuo nuovo album potrebbe essere influenzato dalla musica e dalla cultura tunisina?

Più che dalla musica tunisina credo che potrà essere influenzato dalle esperienze che sto vivendo lì. Dalle sensazioni che provo anche solo a camminare per strade così diverse da quelle cui ero abituata. Certo la cultura diversa mi influenza senza dubbio, ma sono le stesse cose che mi influenzano ovunque mi trovi: tutto ciò che mi circonda è parte della mia ispirazione. Poi, evidentemente, un cambiamento così repentino e un certo spaesamento, dovuto anche all'uso di una lingua diversa dalla mia, in qualche modo mi danno sensazioni nuove. E sono sensazioni belle e fresche.
Ciò che forse non mi aspettavo, andando in Tunisia, è che, dopo i primi mesi, durante i quali ero convinta di volermi immergere totalmente nella musica tunisina, imparare a suonare i loro strumenti tipici, conoscere i musicisti locali, mi sono sentita di nuovo attratta, come non mi accadeva da tempo, dalla musica country americana. Ho sentito il bisogno di ascoltare nuovamente artiste come Patsy Cline. Probabilmente per una sorta di nostalgia rispetto a ciò che avevo lasciato e che, in qualche modo, mi mancava. Così le prime cose che ho scritto in Tunisia sono molto più vicine a delle semplici canzoni country rispetto a qualsiasi cosa avessi mai scritto prima.

Non so se anche tu hai notato quante giovani artiste si siano avvicinate al folk negli ultimi anni.
Credi che il grande numero di cantautrici folk sia dovuto a una particolare sensibilità tipica dell'universo femminile?
Sinceramente l'ho notato anche io e mi fa un effettoì strano. E tutto così all'improvviso. Quando avevo diciotto anni non era facile trovare dei punti di riferimento contemporanei per una ragazza che si avvicinava a questo genere di musica. Ascoltavo così Joni Mitchell e Ani Di Franco e Susan Vega ed ero sempre in cerca di nuove artiste che mi ispirassero e che fossero vicine alla mia sensibilità. Ma non era semplice all'epoca. E ora, come dal nulla, ne sono spuntate decine. Ma non saprei dire quale possa esserne il motivo. Nel frattempo i miei gusti musicali sono un po' cambiati, così ascolto meno cantautrici folk.

Verso che genere si orientano i tuoi ascolti in questo periodo?

Sono sempre più interessata alla musica strumentale, anche se non saprei bene come classificare la musica che ascolto o cerco al momento. Direi jazz, ma non certo gli standard jazz e tanto meno quel jazz fatto di virtuosismi e un po' freddo. Amo molto Avishai Cohen, il pianista belga Wim Mertens, il contrabbassista italiano Ezio Bosso. La musica strumentale crea nella mia testa quel senso di spazio e quell'ambiente che mi sono anche necessari per comporre.

Entrambi i tuoi album sono autoprodotti. Hai mai pensato di proporre la tua musica a etichette affermate, siano esse indipendenti o major? E perché non l'hai fatto prima?

Sto cominciando a pensarci. Ma prima, semplicemente, non mi sentivo pronta. Ero sempre al lavoro per crescere, per migliorarmi, per essere finalmente all'altezza. E non credevo di esserlo ancora. E non so se lo sarò mai così come personalmente ritengo sia necessario.
Ho sempre pensato che prima di fare questo passo avrei dovuto trovare non necessariamente un mio stile, che, anzi, se rimanesse sempre mutevole non mi dispiacerebbe affatto, ma quantomeno di essere più a mio agio nella mia pelle, come artista.

kesang_marstrand2A proposito di sentirsi a proprio agio: come ti senti sul palco? Quando suoni
live sei rilassata?
Non particolarmente, a dire il vero. L'ho evitato a lungo, ma se voglio diffondere la mia musica suppongo sia un passaggio necessario, anche se mi sento ancora piuttosto timida. Ma la mia dimensione ideale rimane sempre lo starmene per conto mio e scrivere canzoni.

Ma non credi che suonare dal vivo sia il modo più efficace per condividere la tua musica con gli ascoltatori?

Credo di sì, almeno da un certo punto di vista. Ma per me, per quanto la musica sia la cosa più importante della mia vita, anche da semplice ascoltatrice o fan, non ho mai sentito così forte questa necessità. Quando vivevo a New York c'erano sempre tantissimi concerti interessanti, ma di solito me ne rendevo conto il giorno dopo e non me ne rammaricavo neanche troppo. Forse ha a che fare con il fatto che per me, per amare davvero una canzone, l'ho sempre dovuta ascoltare in solitudine, magari viaggiando.

E quale è, invece, il tuo rapporto con internet? Sai che tanta gente scarica la tua musica gratuitamente. Pensi che sia solo un'ottima opportunità per farla arrivare a più persone possibile, oppure questa idea ti disturba?

Per me va benissimo! E' una cosa che non si può evitare, del resto. E' il modo con cui la gente oggi si avvicina alla musica. E non mi da alcun fastidio. Magari se mi approcciassi alla musica in maniera diversa o affrontassi la questione da una diversa angolazione la mia reazione potrebbe essere differente, ma al momento mi fa molto piacere pensare che se qualcuno vuole sentire la mia musica possa averne immediatamente la possibilità. Se questa opportunità rende le persone felici, allora sono felice anche io.

Di recente si sono moltiplicate le tue collaborazioni con artisti elettronici (un remix di "Bodega Rose", un brano techno cui hai prestato parole e voce, un album elettronico, "Vast Days", nel quale hai scritto i testi di tre brani e li hai interpretati). E solo una coincidenza, oppure sei particolarmente interessata a questo versante della musica?

Si tratta per lo più di casi estemporanei: il remix di "Bodega Rose" è nato perché un dj tunisino ha visto un mio video, girato in un parco a Seattle, nel quale interpreto il brano tradizionale "Aman Aman" e così, dopo aver ascoltato l'album, mi ha chiesto di poter remixare quel pezzo. Negli altri casi anche si è trattato di richieste provenienti dagli artisti. Ma ho accettato soprattutto per curiosità: mi incuriosiva vedere se ero capace di prestare la mia voce su un brano da ballo. Ed è stato divertente. Ma non so se farò ancora cose di questo genere. Ho ancora tante cose che voglio davvero fare. Devo ancora raggiungere tanti risultati, con la mia chitarra!

Ti piacerebbe scrivere musica per un film? Oppure che qualche tua canzone fosse utilizzata come colonna sonora? Hai mai pensato a un film, o a un regista in particolare?

Credo che mi piacerebbero entrambe le cose. E collaborare con un regista come Michel Gondry sarebbe bellissimo.

Come immagini te stessa tra dieci anni? Un'affermata rock star? Una casalinga? Una mamma? Una domanda sciocca, forse.

No, assolutamente! Posso essere tutto quanto insieme? Sicuramente mi vedo come una madre. Ma mi piacerebbe avere la possibilità di fare esattamente ciò che voglio. Vorrei essere abbastanza coraggiosa da perseguire ciò che desidero e seguire il mio cuore sia dal punto di vista artistico che personale.
Karl Berger, il produttore di "Bodega Rose" e proprietario dello studio dove ho registrato i miei album, dice che il percorso di un musicista è un susseguirsi di esperienze: studiare, conoscere persone, andare avanti, incontrare altra gente, vivere situazioni diverse e trarne sempre insegnamento. In modo che il tuo sentiero nella vita possa schiudersi davanti a te in maniera naturale e così spero solo di avere delle opportunità nella vita e trovare la forza di coglierle.

Una risposta profonda ad una domanda stupida...

Un'ultima domanda: puoi spiegare a te stessa e agli altri quale è la ragione che ti spinge a comporre musica?

Credo di sì. La risposta è semplice: lo faccio perché devo farlo. Perché mi viene in maniera spontanea. Se non lo facessi per un po', se, per qualche tempo, non prendessi la mia chitarra e suonassi, per qualsiasi motivo, non mi sentirei più me stessa, mi sentirei vuota, nervosa. In un certo modo ha a che fare con l'essere me stessa, con l'esprimere ciò che sono, con il sentirmi a mio agio, con l'essere naturale.

(24/05/2010)

Grazie a Sebastiano Iannacchione per le fotografie