Ventuno anni, inglese, polistrumentista, Patrick Wolf incarna la figura dell'enfant prodige delle tensioni pop di prossima generazione. Già consacratosi nel 2003 grazie a "Lycanthropy", un debut album talmente apprezzato da conservare un'onda lunga d'attenzione che stenta ancora a esaurirsi, il giovanotto trapiantato a Londra rompe gli indugi due anni dopo con "Wind In The Wires", cimentandosi in un progetto incredibilmente ambizioso, di quelli tanto rischiosi da poter disarcionare persino affermate rockstar. E invece Patrick rimane saldo in sella, esibendo tredici canzoni talmente dense che non schierarsi, pro o contro, sarà arduo per chiunque vi si avvicinerà. Lo abbiamo intervistato in esclusiva...
Patrick, "Licantrophy" fu uno dei casi del panorama indie, due stagioni fa. Ci sono segnali che mi dicono che questo sia il disco del grande salto. E' stato un processo di maturazione per certi aspetti sorprendente, vista la tua giovane età. Cosa è accaduto in questi due anni?
Tutto ciò che so è che una volta realizzato "Lycanthropy", il disco successivo sarebbe dovuto arrivare in fretta, così il lavoro è cominciato molto presto. Era una sorta di "istinto di sopravvivenza", che mi spingeva a scrivere, a incidere e ad andare avanti. Quindi, durante quel periodo ho imparato molte lezioni. E' l'album dei miei 18-21 anni, così è naturale che ci siano grandi riflessioni sul mondo. Se da 11 a 18 anni combatti contro il mondo, da 18 a 21 cerchi di trovare il tuo posto nel mondo...
"Wind In The Wires" è un disco straordinariamente compatto. In "Lycantrophy" sembrava che avessi sin troppe cose da dire, un'orgia di pulsioni molto differenti fra loro. Quest'album sembra frutto di una maggiore meditazione, l'attenzione è focalizzata più sulle canzoni che non sui contorni. E' solo una mia impressione?
C'è sicuramente un'attenzione particolare su questo secondo disco che nel primo non c'era stata. In "Lycanthropy" non avevo molti scrupoli, non mi interessava quello che il mondo avrebbe pensato delle mie "verità" in tutta la loro volgarità. "Wind In The Wires" è ancora un lavoro impulsivo, ma, crescendo, penso di aver appreso qualcosa in termini di sottigliezza e di delicatezza.
Che ne pensi della scena mainstream? I Franz Ferdinand sono una band nata dall'indie che si è trovata in cima alle classifiche di vendita. Ti sentiresti a tuo agio, è una cosa che in qualche modo ti auguri, oppure preferisci la tua attuale dimensione più libera e svincolata dagli obblighi dello showbiz?
Il mio unico obiettivo è continuare a stare in un posto che è veramente mio, essere a mio agio nel comporre musica, non invidio né compatisco questo tipo di business.
In "Wind In The Wires" ci trovo un gusto fortemente dandy...Mi viene in mente, che so, Oscar Wilde, quando non il ricorrere di elementi classici e antichi, sia pur letti in un'ottica attuale... Il peso della storia della tua terra quanto ti influenza? O c'entrano in qualche modo le tue letture?
Odio la parola "dandy" e penso anche che Oscar Wilde fosse uno scadente scrittore. Una persona così presa da se stesso nel modo più mondano ed egoistico possibile... Il presente senza passato è un deserto arido, ma io mi sento attratto soprattutto dai suonatori di violino medievali così come dagli Atari Teenage Riot, non so perché e non mi interessa scoprirlo.
Ad ascoltare questo disco mi rimbalzava nella testa il nome di Marc Almond , ma anche quello di David Bowie dell'inizio degli anni Settanta, e pure Scott Walker , perché no! Sono paragoni che ti lusingano oppure ti infastidiscono? Li trovi almeno pertinenti?
Non conosco niente di loro, sul serio.
Khonnor in America, Maximilian Hecker in Germania, tu in Inghilterra. Il comune denominatore è quello di musicisti giovani (quando non giovanissimi: Khonnor ha 17 anni!) che fanno tutto da sé, o quasi. E' più una scelta la tua o una necessità? Non credi che una band potrebbe aiutarti a stimolare la tua creatività, anche in studio?
Non ho mai scelto di lavorare da solo, i miei progetti per il futuro includono ballerini di tip tap, nuotatori sincronizzati, death metal, quintetti di clarinetti, cori di bambini e lavorare con il mio collaboratore preferito, Andrew John Brown, il mio batterista.
Tre dischi che ti hanno cambiato la vita....
"Blue" di Joni Mitchell, "Kontakte" di Karlheinz Stockhausen e "The Art Of The Theremin" di Clara Rockmore.
C'e' una canzone di altri che avresti voluto scrivere tu?
No.
Patrick Wolf e le altre forme d'Arte. La nostra webzine, ad esempio, si occupa anche di cinema, lo segui oppure sei uno spettatore distratto? C'e' un regista che ami particolarmente, e perché? Un film che ti sentiresti di consigliarci...
"The Man Who Cried" di Sally Potter, "La Belle et La Bete" di Jean Cocteau, "Street of Crocodiles" dei Brothers Quay e "Winning London" di Mary Kate e Ashley Olsen.
Hai già progetti in testa, oltre al tour che promuove il nuovo album?
Libri per bambini, raccolte di poesie, due nuovi album, bambini, il matrimonio e una casa in Cornovaglia...