
Una serata speciale quella che ci attende la prima domenica di marzo a Santandreadegliamplificatori. Dopo un lungo tour nel Belpaese, approda a Bologna per l'ultima data italiana il chitarrista dei mai dimenticati San Augustin. David Daniell è qui per presentare i suoi lavori per chitarra effettata e liquida, che si prestano perfettamente all'atmosfera raccolta del piccolo sotterraneo nella quale prendiamo posto.
Il set si apre con un drone che sibila sicuro tra i muri della location; la chitarra ferma del nostro parte per un viaggio che evochiamo insieme a lui chiudendo gli occhi, alternando lunghi rumori minacciosi a psichedeliche cavalcate controllate con cura e poco slabbrate; ci aspettavamo invero una maggiore uscita da certe strade ormai collaudate dal musicista di Atlanta, Georgia, ma dobbiamo ammettere che l'amalgama è comunque efficace. Riconosciamo una arpeggiata "Sunfish", tratta dal precedente lavoro "Coastal" e sembra quasi di sentire John Fahey che litiga con i volumi di un amplificatore difettoso e dal volume troppo alto. Ma l'act è sapientemente dosato da pezzi più droning alternati a jam nebulose ed ellittiche, tratte dai suoi ultimi lavori autoprodotti usciti per Antiopic e intitolati "Los Jacintos" e "The Hideout".
Non dimentichiamo poi che Daniell ha collaborato e suonato con musicisti del calibro di Loren Mazzacane Connors, e fatto parte della orchestra aperta di Rhys Chatam, senza tralasciare poi i prestigiosi sodalizi con David Maranja e Douglas McCombs, insomma il meglio della scena guitar-avantgarde mondiale.
Le coordinate del concerto di questa placida serata sono i rassicuranti lidi degli spiriti aleatori ed elettrici di gente che risponde al nome di Quicksilver Messenger Service e del migliore, ma ormai e per forza di cose lontano nel tempo, Neil Young, come se quest'ultimo, in preda a un autistico effetto stordente procuratogli da un cattivo acido, si perdesse solitario tra le maglie di un suono che si fa via via sempre più space-rock, ma, come impedito nei movimenti, rimanesse immobile davanti a sonorità che ha creato quasi incoscientemente. Non a caso ascoltiamo con piacere alcuni pezzi del maestro prima e dopo il concerto.
E' forte la sensazione di straniamento sensoriale e temporale che si avverte durante il set di questo allampanato e schivo personaggio, che pare uscito da una sperduta casa di legno dei monti Appalachi, e sembra solo ascoltare la voce della sua anima senza curarsi minimamente di quello che gli avviene attorno.
Daniell sembra sfidare con i suoi strumenti il vento e la tempesta perfetta, come a ingabbiare nel suo suono tutte le inquietudini e le sue paure personali. E il risultato è onesto e discreto, senza tanti fronzoli, tipicamente americano, pragmatico, direttamente nei nostri accoglienti cervelli, che accettano di buon grado questa piccola sfida e si augurano di naufragare dolcemente in questo mare di mellifluo torpore che ci coglie però preparati, come ad affrontare sicuri un viaggio dalla destinazione sconosciuta. Partiamo, ma non sappiamo dove approderemo. Col sorriso sulle labbra e la voglia di perdersi...