23/02/2016

I Cani + Calcutta

Atlantico Live, Roma


Assieme, la stessa sera, sullo stesso palco, due fra i maggiori casi musicali indipendenti esplosi in Italia negli ultimi anni, protagonisti di un sold out più che annunciato, uno dei tanti durante questo giro di concerti. Nelle ore che precedono l’evento è un continuo postare messaggi da parte dei fan sulla pagina Facebook appositamente allestita, alla disperata ricerca di un tagliando per entrare. Ma chi ce l’ha se lo tiene ben stretto, perché l’hype stasera è qui, dentro le mura del locale, fra le tubature d’acciaio dell’Atlantico, mai visto stracolmo di gente già alle ore 21,10, quando sale sul palco Edoardo Calcutta.
Sulla carta un opening act, in concreto un set alla pari, visto che tutti, ammiratori o semplici curiosi, sono qui stasera anche per lui, un personaggio al quale è impossibile non voler bene, vestito di quella fragilità che è la stessa di gran parte di coloro che lo seguono con sconfinato affetto, in maniera sempre più numerosa. In pochi mesi si è ritrovato costretto a trasferire il proprio spettacolo itinerante dai minuscoli live club di provincia ai palchi più acclamati del circuito alternativo nazionale; stasera suona a pochi chilometri dalla sua città, Latina, la stessa finora conosciuta giusto per la palude bonificata, per le hit e i coming out di Tiziano Ferro e per le tette di Manuela Arcuri.

Sicuramente fra il pubblico questa sera ci saranno molti suoi vecchi amici, per festeggiare il successo di Edoardo, un ragazzo di ventisei anni che con disarmante e contagiosa semplicità ha costruito canzoni facili e dirette, conquistando tutti, non solo i teenager (o poco più) raffigurati nei suoi testi, ma anche persone più adulte che lo trovano un abile cantautore, e persino navigati critici musicali che scorgono in lui la capacità di tradurre su disco in maniera compiuta la miglior espressione possibile della contemporaneità giovanile. Canzoni sincere perché l’autore è parte integrante della realtà che racconta, in istantanee uscite dalla cameretta e divenute patrimonio di tutti.
Calcutta canta appoggiato alla sua chitarra, accompagnato da synth, basso e batteria, e parte senza timori infilando subito il meglio del suo “Mainstream”, ovverosia “Frosinone” e “Gaetano”: la folla canta all’unisono, dimostrando di sentirsi perfettamente rappresentata da quelle liriche che raccontano le giornate di ognuno di loro, descrivendo malesseri e incertezze, sogni e difficoltà.

La vera sorpresa, ma oserei dire conferma, di questa serata è proprio lui, timido ma in grado di affrontare l’importante platea come se stessimo ancora nel rustico di un amico, cercando di imbastire delle frasi fra una canzone e l’altra, e se l’emozione è così forte da rompere le parole, poco importa, tutti oggi sono qui per ascoltare i suoi pezzi e per cantare a squarciagola la tanto invocata “Cosa mi manchi a fare”.
Calcutta si dimostra una sorta di moderno menestrello in grado di trasformare emozioni e stralci di vita vissuta in parole e musica. Se erano in molti a chiedersi quale risultato avrebbe portato la prova live per questo giovane musicista, che doveva sdoganarsi dalla solitudine del cantautore per portare dal vivo i nuovi arrangiamenti a capo di una band vera, beh, direi che ogni dubbio è stato assolutamente dissipato.

Mezz’ora o poco più di canzoni tanto fragili quanto efficaci, cambio palco e si parte con il set degli osannatissimi Cani, venti canzoni pensate non più soltanto per ballare (“Protobodhisattva”, “Le coppie”, poste fra le prime in scaletta, danno il tono all’intero set, che risente poco della serenità spaziale di “Aurora”, il lavoro pubblicato da pochi giorni), ma anche di tanto in tanto per fermarsi a riflettere su sé stessi e sul mondo che ci circonda. Niccolò Contessa è cresciuto molto, e molto in fretta: già nel precedente “Glamour” non intendeva più soltanto dar vita ai manifesti programmatici della propria generazione, ma si fermava a riflettere in maniera più introspettiva, partendo dal personale per diventare universale, un cambio di prospettiva, dal distaccato al coinvolto, che generava non più soltanto nitide fotografie dell’ambiente circostante ma l’uso cosciente della prima persona singolare, per trasformare tutto in una sorta di autoanalisi.
Con “Aurora” si cambia di nuovo registro, l’esplorazione avviene dall’alto, gli uomini diventano piccolissimi, atomi indistinguibili che procedono nell’universo, l’angolazione si fa distaccata e fanno un deciso ingresso temi più sentimentali.
Dietro l’hype c’è sostanza compositiva, compressa in scatti neorealisti, realizzati da qualcuno che parla la stessa identica lingua di chi ascolta, parla di WhatsApp, Google, Playstation, pariolini e serate trascorse al Circolo degli Artisti. E nella trasposizione live i brani guadagnano in energia e orecchiabilità. Fra l’altro oggi I Cani possono dar vita a un live set migliore rispetto al passato, con molta più varietà, eliminando i pezzi meno incisivi dei tre dischi sin qui pubblicati, selezionando una sorta di greatest hits, affiancando al synth-pop ballabile di “Asperger”, “Hipsteria” e “Sfortuna” alcuni momenti più introspettivi, come quando Niccolò si siede al piano per l’intermezzo soft-malinconico composto da “Aurora”/ ”Una cosa stupida”/ “Sparire”. E tutto funziona, a parte i problemi tecnici che hanno provocato due false partenze all'ingresso sul palco della formazione romana.

Nella parte centrale lo show raggiunge lo zenit, grazie all’esplosione di “Corso Trieste” (la fredda e sferzante resa dei conti adolescenziale con lo slogan ripetuto all’infinito “L’unica vera nostalgia che ho”), le storie viziate de “I pariolini di diciott’anni” e il possente closing strumentale di “Post Punk”. Tutto resta inserito nelle architetture elettroniche, che nella trasposizione live sono sorrette da tre synth, oltre alla sezione ritmica.
“Non c’è niente di Twee” e “Come Vera Nabokov” mantengono altissima l’attenzione, le successive “Questo nostro grande amore e “Finirà” chiudono il set con grande intensità. Sono previsti due bis, dei quali il secondo è riservato a due fra i pezzi più attesi della serata, “Velleità” e “Lexotan”, i veri inni de I Cani, poi giù il sipario, ma nell’osservare dall’alto la folta platea, a colpire è soprattutto il sentimento di grande appartenenza e condivisione che trasuda da ognuno di questi corpi, che si muovono all’unisono (cantando, sbracciandosi, e persino pogando) e scandiscono ogni singola parola di tutte le canzoni, quasi si trattasse di un’unica sola grande voce.

Calcutta e Contessa sono fra i personaggi più aggreganti degli anni 10, in grado di sancire la medesima cementificazione che negli anni 90 fu realizzata da band come Afterhours e Marlene Kuntz in Italia e dagli eroi del grunge in tutto il mondo, in grado di unire e saldare assieme l’intera Generazione X. La stessa forza che ebbero qualche anno più tardi Verdena e Baustelle, altri splendidi cantori di gioventù passate, la stessa unione aggregante che scaturiva durante le serate trascorse fra amici attorno a un giradischi negli anni 70 e 80, scartando e divorando centinaia di vinili, studiando i testi e memorizzando ogni singolo dettaglio.
Il tempo passa, le abitudini cambiano, e i mezzi anche, ma questa sera era possibile rivedere quelle stesse identiche emozioni riflesse negli occhi dei tanti presenti, che costituiranno una parte del futuro del nostro paese. Un futuro probabilmente difficile, fatto di precariato e insicurezze, ma se questi ragazzi sapranno essere anche nella vita di tutti i giorni tanto uniti come al cospetto di questi giovani cantautori, un filo di fortissima speranza esiste. Una canzonetta non può cambiare il mondo, né le nostre vite, ma di sicuro può aiutare a sorridere e a stare meglio, anche solo per cinque minuti. Se l’intento di giovani musicisti come I Cani e Calcutta è questo, mi sento di poter affermare che l’obiettivo è stato pienamente raggiunto.

Setlist

Setlist I Cani


Baby soldato

Protobodhisattva

Le coppie

Asperger

Hipsteria

FBYC (sfortuna)

Aurora

Una cosa stupida

Sparire

Corso Trieste

I pariolini di diciott’anni

Post Punk

Non c’è niente di Twee

Come Vera Nabokov

Questo nostro grande amore

Non finirà

…. ….

Il posto più freddo

Calabi-Yau

…. ….

Velleità

Lexotan

 

Setlist Calcutta


Intro
Frosinone

Gaetano

Fari

Le barche

Milano

Cosa mi manchi a fare
Del verde

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